Eccoli, alla fine, i corpi di pace schierati contro la guerra. Quella d’Ucraina, e quelle di ogni dove.
Ma la guerra d’Ucraina prima di tutto, perché chi la conduce punta a farne il fulcro e il modello della nuova guerra dei mondi che a Est e a Ovest viene già smerciata come scontro di civiltà. È certamente il progetto di Vladimir Putin, che ha dato inizio alla nuova fase del cozzo e ne porta più di tutti la gravissima responsabilità. E rischia di diventare per remissività, insipienza e calcolo anche il progetto di quell’Occidente del quale noi italiani ed europei siamo parte.
Ma c’è chi dice no alla logica e alle pratiche della guerra. E non è solo il Papa di Roma che, mentre Roma si animava finalmente del popolo della pace, era in terra d’Arabia, in Bahrein, con uomini e donne di un altro (e per qualcuno inconciliabile) mondo a dire, a fare e a invocare la pace che i politici non vogliono o non sanno pensare e realizzare.
No, papa Francesco non è solo a chiamare folle e ripugnante, bestiale e sacrilega la guerra. La guerra che continua a insanguinare incessantemente la Terra e che, a partire dallo scontro “sul nuovo ordine mondiale”, ha ora trovato grazie a Putin il suo tragico epicentro nelle immense pianure dell’Est europeo e sulla pelle di ucraini e russi. La guerra che sta cominciando a saldare i suoi tanti atroci «pezzettini». Quei frammenti terribili e apparentemente minuscoli di «guerra mondiale» (o, forse, meglio dire «globale») che hanno permesso a noi – occidentali liberi e sviluppati e pacifici, ma anche ai russi e ai cinesi – di far finta di non riconoscerla, lasciandola correre nelle vene dell’umanità e continuando a farci sopra tutti i possibili affari e, magari, disprezzandone i profughi.
Con la guerra d’Ucraina non dobbiamo neanche far più finta di piazzare le nostre armi “perché la guerra non c’è”, ma di nuovo – come ai tempi delle grandi carneficine orgogliosamente organizzate – possiamo ricominciare a farlo perché “la guerra c’è”. E dobbiamo armarla e vincerla. Vincerla col petto degli altri, quelli mandati in battaglia “perché la vogliono fare”. Anche se ormai sappiamo – o dovremmo sapere – tutti che le guerre non si vincono più e che più s’inzeppano di armi le case e le nazioni, meno le violenze e le guerre hanno fine.
E però, quelli che dicono no ci sono. E ci sono quelli che non si fanno tacitare e incantare. Ci sono con l’anima e con limpide obiezioni di coscienza. Ci sono con i canti, con le preghiere e con gli slogan per darsi coraggio e dare coraggio, dando la sveglia a chi, invece, alla guerra inclina a rassegnarsi. Ci sono con i loro corpi. E per le strade di Roma, ieri li abbiamo visti questi corpi di pace che non si ha il senso civico e la lucidità politica di organizzare neanche nel nostro strano e straordinario Paese che ha saputo scrivere in Costituzione l’impegno a «ripudiare la guerra». Ma ieri si sono riuniti per davvero, spalla a spalla, quelle e quelli che hanno dato vita alla miriade di iniziative e di incontri di resistenza alla guerra che hanno segnato questi mesi in ogni angolo del nostro Paese. Donne e uomini, ragazzi e ragazze, persone esperte che ne hanno viste troppe e persone giovani che ne hanno viste già abbastanza. Un vero fiume in piena lungo vie camminate con libertà, decisione e nonviolenza. Sino a che, a piazza San Giovani in Laterano, il fiume è diventato mare, come altre volte in momenti speciali della storia civile e morale d’Italia. E il 5 novembre 2022 è, e resterà, una data da ricordare. Per questo mare di persone, di parole e di colori con addirittura il suo doppio tutto intorno in vie altrettanto gremite, a perdita d’occhio.
Donne e uomini, ripetiamolo, che ne hanno viste troppe e già abbastanza. Troppe stragi, troppe desolate diaspore, troppi spietati saccheggi. E abbastanza propaganda, abbastanza affarismo e abbastanza cinismo. I signori della guerra e della pace tradita, continuano a tradire. E a non ascoltare. Hanno riempito il mondo di armi, e l’hanno chiamato sicuro.