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Le banche tedesche e gli scheletri nell’armadio

Il sistema bancario tedesco presenta risultati economici e finanziari negativi a tutti i livelli dimensionali e geografici, con una situazione che non appare troppo distante dalla bancarotta

Nonostante alcuni rilevanti successi ottenuti negli anni recenti, l’economia tedesca presenta indubbiamente molti scheletri nell’armadio. Alcuni sono più noti e di essi si parla molto di frequente: ci riferiamo, in particolare, alle negative conseguenze sociali delle leggi Schroeder-Hartz dei primi anni del nuovo millennio, nonché ai pessimi risultati attenuti dalle politiche di austerità predicate e portate avanti da tempo in patria e fuori. Molto meno si discute invece della difficile situazione del sistema bancario tedesco, nonostante anche essa sia una vera mina vagante per il paese e, almeno in parte, per la stessa eurozona.

La struttura del sistema bancario

Il sistema bancario tedesco può essere suddiviso in tre principali comparti: le banche private, compresi i pochissimi grandi istituti ancora in essere, che coprono peraltro una quota ridotta del mercato finanziario nazionale; le banche di diritto pubblico, che hanno in particolare al loro interno da una parte le Landesbank, una sorta di istituti regionali, forma praticamente unica al mondo e, dall’altra, le casse di risparmio e casse rurali; infine, le banche di credito cooperativo.

Tra le altre caratteristiche del sistema ricordiamo la persistenza del modello della banca universale, poi il tradizionale rapporto di prossimità tra banche e imprese, che si traduce, tra l’altro, in una relazione molto stretta con la banca di riferimento, la Hausbank, mentre si è molto ridimensionato di recente l’intervento delle stesse banche nel capitale delle imprese, infine lo stretto e attualmente perverso legame tra gli istituti di piccole e medie dimensioni e il sistema politico.

Un aspetto del funzionamento del sistema che viene sempre più alla luce è quella che oggi esso presenta risultati economici e finanziari molto negativi a tutti i livelli dimensionali e geografici, con una situazione che in diversi casi non appare troppo distante dalla bancarotta.

L’impiego dei surplus

In Europa le banche tedesche sono state tra le più toccate dalla crisi, totalizzando, secondo una valutazione, circa il 40% delle perdite della zona euro nel periodo 2007-2009, come sottolinea un recente testo, peraltro molto velenoso, nei confronti del modello tedesco (Mélenchon, 2015).

Come è noto, la Germania ottiene ogni anno imponenti surplus dalla sua bilancia commerciale. Ora, gli investimenti domestici sono da tempo abbastanza depressi e gran parte di tali surplus è stata impiegata, in particolare negli anni del boom, all’estero. Così sono le banche tedesche, insieme molte volte a quelle francesi, che hanno a suo tempo irresponsabilmente prestato molti soldi alla Grecia, così come, negli anni d’oro, agli immobiliaristi spagnoli e irlandesi ed hanno impiegato anche molte risorse nei titoli spazzatura statunitensi.

Dopo lo scoppio della crisi il sistema bancario è riuscito a recuperare almeno una parte di tali imprudenti prestiti grazie all’intervento del governo, che da una parte ha immesso molti soldi nel sistema per favorire il salvataggio di alcuni istituti (vedi anche più avanti), dall’altra è riuscito a manovrare in diversi casi a Bruxelles la partita delle ristrutturazioni finanziarie dei paesi in difficoltà per far sì che esse volgessero a favore degli istituti nazionali. Nel caso greco, in particolare, i verbali del fondo monetario internazionale stanno lì a testimoniare come la ristrutturazione del debito del paese mediterraneo sia stata a suo tempo studiata in modo da favorire tali istituti e così una parte molto consistente delle risorse destinate a “salvare” la Grecia sono finite nelle casse della banche tedesche (e francesi), che hanno così limitato i guasti generati dalle loro politiche sconsiderate.

Le grandi banche

La situazione delle poche grandi banche private che erano in piedi qualche anno fa non ha cessato di peggiorare nell’ultimo periodo. La Postbank è finita già da tempo nelle mani della Deutsche Bank, così come la HypoVereinsbank in quelle di Unicredit. La Dresdner Bank è entrata in difficoltà con lo scoppio della crisi ed è stata presto assorbita dalla Commerzbank.

Quest’ultima a sua volta, avendo tra l’altro digerito male la fusione, è stata salvata dal governo tedesco, che ha dovuto a suo tempo investirci 18,2 miliardi di euro. Per poi stare a galla l’istituto ha anche chiesto, dal 2010 ad oggi, 17,4 miliardi di euro di capitali freschi ai suoi azionisti. Nel marzo del 2015 esso è stato poi costretto a pagare 1,5 miliardi di dollari per chiudere delle indagini federali statunitensi che stavano esplorando il suo coinvolgimento in attività di riciclaggio del denaro sporco. Nel frattempo la sua redditività viaggia a livelli molto bassi (Shotter, 2015).

Resta la Deutsche Bank, la più grande di tutte e sino a poco tempo fa l’emblema del miracolo economico tedesco e delle sue prodezze. All’inizio essa era sembrata uscire dalla crisi meglio degli istituti rivali, ma dal 2012 sono cominciati i guai ed essi non sono certo ancora finiti.

Nel 2012 la banca si trovava con un basso livello di mezzi propri cui ha dovuto far fronte con due aumenti di capitale; la redditività rimane ancora oggi molto bassa. E’ anche essa incorsa in costi molto rilevanti a causa delle controversie aperte con le autorità statunitensi e europee; tali costi sono ammontati, tra il 2012 e il secondo trimestre 2015, a circa 10,5 miliardi di euro, una cifra enorme. E restano ancora molte accuse aperte, tra cui quelle della manipolazione dei tassi di cambio e dei prezzi del mercato delle materie prime, nonché della non osservanza del sistema delle sanzioni statunitensi verso alcuni paesi.

Nel marzo 2015 il regolatore americano le ha proibito di distribuire dividendi a causa delle numerose carenze nella sua struttura del capitale, nel sistema di valutazione dei rischi, nei controlli interni (Mélenchon, 2015).

Nell’aprile sempre di quest’anno la banca ha poi dovuto preannunciare una riduzione sostanziale delle sue attività nell’investment banking e la cessione della Postbank, a suo tempo acquistata dal governo. In maggio, alla normale assemblea di bilancio, c’è stata una ribellione dei suoi azionisti.

In giugno i due amministratori delegati, schiacciati probabilmente dai problemi in essere, hanno annunciato le loro dimissioni. Il futuro resta molto incerto.

E questo per quanto riguarda i grandi istituti.

Le altre banche

Ma le grandi banche e quelle private più in generale controllano una parte molto ridotta del mercato. Quelle piccole e medie, oltre ad essere numericamente molto più numerose, possiedono una quota che si aggira intorno al 90% del totale.

Come è noto, il progetto di unione bancaria europea è uscito a suo tempo molto ridimensionato rispetto ai suoi obiettivi iniziali per l’opposizione su diversi punti della Germania. Da una parte essa si è rifiutata di inserire nell’accordo un adeguato principio di soccorso finanziario comune in caso di difficoltà di qualche banca, dall’altra essa ha anche ottenuto che l’attività di controllo della BCE fosse limitata alle banche più grandi, rendendo anche per questa via abbastanza monca l’operazione.

Il fatto è che molte banche medie e piccole, in particolare molte casse di risparmio, anche se esse svolgono anche un ruolo fondamentale nel finanziamento dell’economia locale, si trovano oggi mediamente in condizioni molto penose ed hanno bisogno di una radicale ristrutturazione.

Anche diverse Landesbank sono in situazione sostanzialmente fallimentare, anche se in questo caso un paio di istituti, per le loro dimensioni, sono stati inseriti di forza e tra molte proteste nel sistema di controllo di Draghi. Anche le Landesbank sono state colpite dalla crisi del subprime e le loro difficoltà, secondo delle cifre non ufficiali, sono costate al governo circa 23 miliardi di euro. Ancora negli scorsi mesi abbiamo appreso che la HSH Nordbank ha bisogno, secondo le stime, di circa 2,1 miliardi di risorse statali e che la Bayern LB registra una perdita di 1,32 miliardi in alcune operazioni.

Ecco che il governo tedesco, dal momento anche che i piccoli e medi istituti sono strettamente legati ai poteri politici locali, vuole portare avanti l’ulteriore processo di ristrutturazione in famiglia, senza che degli estranei, come quelli della BCE, se ne immischino. Ne andrebbe per la verità di mezzo anche l’immagine del paese.

Naturalmente le risorse necessarie per salvare il sistema, vista la rigida politica di pareggio del bilancio adottata da tempo dal governo, andrà a scapito di altri interventi, sul fronte sociale come su quello degli investimenti.

Alla fine, non si tratta di un cattivo auspicio per la costruzione di un sistema finanziario europeo.

Testi citati nell’articolo

-Mélenchon J.-L., Le hareng de Bismarck (le poison allemand), Plon, Parigi, 2015

-Shotter J., Commerzbank set to pay dividend for first time since crisis, www.ft.com, 24 maggio 2015