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Le alternative di EuroMemorandum

Incertezza, polarizzazione, paralisi politica: i rischi dell’Europa e dell’Italia illustrati a Roma dall’economista Trevor Evans alla presentazione del rapporto EuroMemorandum 2018, tradotto da Sbilanciamoci.

Il valzer dello spread tra titoli di Stato italiani e Bund tedeschi – il costo aggiuntivo che ha l’Italia per finanziare il proprio debito pubblico – suona come la colonna sonora dei primi passi del governo di Giuseppe Conte, incerto su come prendere le misure del confronto con l’Europa e la finanza sul terreno della politica economica.

Nel frattempo la musica in Europa, e non solo in Europa sta cambiando ritmo, più rallentato: ristagna il commercio globale con l’annunciarsi di dazi e contro dazi, le attività di intermediazione bancaria declinano e la globalizzazione sembra scemare, spostandosi verso un nuovo centro in Asia. L’asse tra Stati e Europa per la prima volta vacilla, con le politiche di Donald Trump

aumentando l’incertezza mondiale. Nel vuoto politico che sta emergendo il potere di multinazionali, finanza e agenzie di rating – che ne proteggono gli investimenti – si rafforza ulteriormente.

In questo deprimente balletto, per l’Italia si annuncia una prova molto dura a breve. Già nella riunione del consiglio direttivo della Bce prevista a Riga il 14 giugno, o al più tardi in quella successiva del 26 giugno, potrebbe essere ufficializzata la fine del ‘quantitative easing’ (Qe), la politica di espansione monetaria messa in campo da Mario Draghi nel 2015. Dallo scorso dicembre, e fino alla fine del settembre prossimo, era già stato ridotto. Ma a quanto pare la “coda” non si prolungherà nel 2019, come sembrava, e il termine ultimo del Qe non andrà oltre Capodanno, a prestar fede agli annunci fatti da un autorevole membro del board dell’Eurotower come Peter Praet e dallo stesso Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, per altro accreditato come più probabile successore di Draghi alla Bce, ma con una visione opposta sulla politica monetaria della banca centrale, molto più restrittiva.

Negli ultimi tre anni sono stati immessi da Draghi nel circuito bancario quasi 2 mila miliardi di euro attraverso l’acquisto di titoli – in prevalenza pubblici, ma anche privati – da banche e investitori privati; questa liquidità ha risanato i bilanci delle banche e ha consentito il rifinanziamento del debito di paesi come l’Italia, ma ben poco è arrivato all’economia reale, con una debole ripresa della domanda aggregata che ha lasciato largamente fuori l’Europa del Sud.

Le prospettive dell’economia europea sono state al centro della presentazione – tenuta il 5 giugno a Roma – del rapporto 2018 del Gruppo EuroMemorandum “L’Unione europea può ancora essere salvata?”  che Sbilanciamoci traduce ogni anno, mettendo a disposizione le analisi di una rete di economisti che da vent’anni propongono alternative alle politiche europee. A presentare il rapporto Trevor Evans della Berlin School of Economics and Law. Accanto all’incertezza su quanto avverrà nei paesi della ‘periferia’ europea come l’Italia, Trevor Evans ha sottolineato anche la debolezza del ‘centro’ tedesco dell’Unione. Gli ordinativi dell’industria tedesca continuano a calare e in modo più marcato del previsto: l’ultimo dato disponibile, quello di aprile, segnala una diminuzione di quelli domestici del 4,8 per cento e di quelli esteri dello 0,8 per cento sul mese precedente per un totale di meno il 2,5 per cento sul mese precedente. Si tratta del quarto mese consecutivo con il segno meno e il giornale tedesco Handelsblatt sottolinea come sia il trend negativo più prolungato dalla crisi del 2008. Soffrono in particolare la cantieristica navale, le costruzioni di treni e di aerei: in questi settori il calo è stato addirittura del 36 per cento mese su mese.

La causa del raffreddamento degli ordini in Germania è chiaramente da ricercare nella debolezza della domanda aggregata, interna e internazionale, non soltanto europea. Un segnale di ciò che l’ultimo rapporto EuroMemorandum descriveva come il portato di dieci anni di “persistente perseveranza di politiche di austerity non anti-cicliche” tutte basate sull’ossessione tedesca a tenere l’inflazione più bassa possibile nel mercato dei beni, puntando l’intera locomotiva industriale tedesca verso le esportazioni, che ora però sono in netto ristagno sia all’interno dell’Unione europea, a causa di queste stesse politiche che hanno depresso la domanda, sia sui mercati emergenti, incluso la Cina che punta ora soprattutto sui consumi interni oltre che sul progetto geo-economico della Via della Seta

Non c’è neanche da sperare che il nuovo governo a Berlino cambi strada. Secondo Trevor Evans “il nuovo ministro delle Finanze della Spd – Olaf Scholz – ci potrebbe far rimpiangere il predecessore Wolfgang Schäuble” quanto a rigorismo neoliberale, visto che il bilancio dello stato federale dovrebbe chiudersi addirittura con un avanzo dell’1% del Pil.

Trevor Evans nella disamina degli ultimi vent’anni in Europa, dall’introduzione dell’Euro a oggi, ha rimarcato che in tutta la prima fase, prima del 2008, sia i paesi del Nord che, in misura minore, nell’area Sud, hanno avuto un Pil in crescita. “La Germania in quella fase rappresentava un caso a sé – ha precisato l’economista berlinese – perché agli inizi degli anni Duemila mentre gli altri stavano crescendo, era un paese con un Pil stagnante da alcuni anni”. La crescita tra il 2001 e il 2008 in paesi come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo ha aiutato l’export tedesco. Ma quando, nel 2008, la crisi finanziaria nata negli Usa ha contagiato le banche tedesche e francesi, i prestiti verso i paesi del Sud sono stati bloccati e a quel punto il declino della periferia meridionale europea “è stato netto”. È da rimarcare come fino al 2008 il tanto temuto spread tra titoli tedeschi e italiani fosse vicino allo zero; è diventato un’ossessione quando gli investitori privati hanno capito che i titoli di Stato su cui avevano puntato non erano garantiti allo stesso modo dall’eurozona.

In questi dieci anni dalla crisi del 2008 si è allargata cosi la polarizzazione. Dentro l’Europa tra il ‘centro’ intorno alla Germania che riprendeva a crescere e chi, come l’Italia e il Sud Europa, ha perso un quarto della sua capacità produttiva. E, a livello mondiale, tra un’economia reale che ristagna e una finanza che continua una corsa speculativa, che ha gonfiato i valori di Borsa fino a livelli senza precedenti – e senza giustificazione nei valori delle imprese quotate.

Una traiettoria del tutto insostenibile, come ci mostrano anche i dati sul continuo aumento delle disuguaglianze, iniziato 40 anni fa con le politiche neoliberiste di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione; una divaricazione aggravata da politiche come gli sgravi fiscali ai pià ricchi introdotti da Trump negli Usa e proposti in Italia dal nuovo governo con la proposta di ‘flat tax’. Si tratta di sviluppi che hanno un serio impatto negativo su crescita e stabilità delle economie avanzate e – paradossalmente – sono ora Fmi, Banca mondiale e Ocse a riconoscere l’insostenibilità delle diseguaglianze di reddito e ricchezza.

Gli economisti di EuroMemorandum propongono un’agenda alternativa che parte dalla fine dell’austerita nelle politiche di bilancio, passa per una forte regolamentazione dei mercati finanziari e la tassazione delle transazioni speculative, e arriva a un grande programma di investimenti. L’Unione Europea ha lanciato un modesto ‘Piano Juncker’ nel 2014: 21 miliardi di fondi europei per garantire 330 miliardi di investimenti privati che, secondo Evans, “seguendo i tradizionali modelli di business ci sarebbero stati comunque ed erano in gran parte già pianificati, dagli aeroporti alle autostrade”. Il rapporto di EuroMemorandum propone di aumentare il bilancio Ue dall’attuale 1% del Pil europeo al 5% e con questi maggiori fondi dare corso a interventi per cambiare le strutture produttive verso una economia sostenibile, evitando il cambiamento climatico e rilanciando le politiche di coesione messe in forse dai cambiamenti previsti nel bilancio dell’Unione.

Nel frattempo, quasi nulla si muove ai vertici dell’Europa, con il presidente francese Emmanuel Macron che punta alla creazione di un ministro europeo delle Finanze e la cancelliera tedesca Angela Merkel che si dichiara disponibile solo a mettere a disposizione qualche briciola per la politica fiscale comune. In questo caso il prossimo giro di valzer potrebbe tradursi in un poco elegante casqué delle economie europee più fragili e di ciò che resta del welfare dei paesi membri.

Qui potete scaricare la traduzione italiana dell’EuroMemorandum2018