Politica della domanda interna e accordi di libero investimento: c’è qualcosa che non torna nei progetti statunitensi
Il piano di Obama per la creazione di nuovi posti di lavoro si è ormai ridotto a questo: uno stimolo basato su una politica di tagli alle tasse e l’impegno a raddoppiare le esportazioni in cinque anni. Il primo è stato approvato dal Congresso durante una sessione dell’anatra zoppa (lame duck session)1 mentre il secondo è semplicemente zoppo.
Prendendo a prestito una pagina del programma dell’amministrazione Clinton, l’amministrazione Obama è al momento intenta a promuovere l’attuazione di accordi di libero scambio e il ripristino della competitività americana come soluzione chiave a tutti i nostri problemi economici e occupazionali. Nonostante la dilagante retorica dichiari il bisogno di maggiori investimenti in America e la necessità di creare posti di lavoro all’interno dei confini nazionali, l’amministrazione Obama continua a spingere per i cosiddetti accordi di “libero scambio” che, nonostante alcuni miglioramenti sulla tutela del lavoro, sono in realtà accordi di “libero investimento”, accordi che aiutano ad aprire i paesi in via di sviluppo agli investimenti diretti esteri delle grandi imprese multinazionali americane e ai rischi finanziari e speculativi delle banche e degli istituti finanziari americani, gli stessi che ci hanno portato alla crisi.
Questa strategia, evidentemente, non tiene conto dei tagli ai posti di lavoro negli Usa che sono stati causati dall’outsourcing dei prodotti all’estero e che saranno verosimilmente replicati o peggiorati da accordi come quelli che l’amministrazione Obama vuole attuare. In un recente paper, James Burke, Seung-Yun Oh ed io abbiamo stimato la perdita di posti di lavoro avvenuta nel settore manifatturiero statunitense a causa dell’outsourcing all’estero nel periodo 1990-2005. Noi misuriamo l’outsourcing in termini di importazioni di prodotti intermedi come i macchinari, acciaio e altri prodotti che sono classificati nella produzione di beni manifatturieri.
Come prima cosa, ci sono alcuni fatti ben noti ma estremamente crudi. L’occupazione nel settore manifatturiero negli Stati Uniti è salita a 19,4 milioni di lavoratori nel 1979 per poi crollare a quasi 12 milioni di lavoratori nel 2009. Negli ultimi dieci anni si è registrato il crollo maggiore: tra il 1999 e il 2009 la forza lavoro del settore manifatturiero si è contratta del 31% con una perdita di almeno 5 milioni e mezzo di posti di lavoro. L’attuale crisi economica ha avuto un forte impatto sul settore manifatturiero – l’occupazione è diminuita di quasi tre volte il crollo dell’occupazione avuto nell’intera economia tra la fine del 2007 e il 2009.
I nostri risultati dimostrano che l’outsourcing ha avuto un ruolo significativo nell’occupazione del settore manifatturiero. Circa il 17% – cioè circa uno su sei posti di lavori persi – dei 3,5 milioni totali di posti di lavoro tagliati nel settore manifatturiero può essere fatto risalire ad un aumento dell’outsourcing.
Ad ogni modo, Obama ha ragione su un punto. La domanda estera per esportazioni statunitensi di prodotti manifatturieri può avere un impatto significativo sull’occupazione: la crescita della domanda estera di prodotto del settore manifatturiero tra il 1990 e il 2005 ha infatti contribuito tra il 3 e il 4,7% alla crescita totale dell’occupazione nel settore manifatturiero nello stesso periodo. Tuttavia, promuovere accordi di “libero investimento” che non fanno niente per espandere le esportazioni delle imprese locali o migliorare la capacità delle multinazionali di avviare ulteriori processi di outsourcing dei prodotti importati non fa altro che danneggiare l’occupazione nell’industria manifatturiera.
Il nostro studio conferma inoltre quello che gli economisti sanno, o almeno dovrebbero sapere, sin dai tempi di Keynes: un fattore chiave della crescita dell’occupazione è la crescita della domanda interna. Il nostro studio dimostra che la crescita della domanda interna è in grado di creare occupazione nel settore manifatturiero tanto quanto lo è la crescita delle esportazioni: essa ha infatti contribuito a circa il 4% dell’occupazione totale del settore manifatturiero durante il periodo 1990-2005.
Ancora, promuovere una crescita della domanda interna è molto più facile che promuovere una crescita delle esportazioni. A suo merito, il Presidente Obama ha cominciato a proporre investimenti in infrastrutture – notoriamente generatori di domanda e offerta interna – specialmente in tecnologia verde, come strumento per la creazione di posti di lavoro a livello nazionale.
Il bilancio di Obama, appena reso pubblico, prevede: la ricostruzione delle infrastrutture nazionali con un sostanziale utilizzo dei fondi federali per lo sviluppo di ferrovie ad alta velocità e connessioni wireless per l’intero paese; la creazione di una Banca Nazionale per le Infrastrutture; un aumento di 28,6 miliardi (il 68%) nella progettazione e costruzione di autostrade; lo sviluppo di tecnologie basate sull’energia pulita con l’obiettivo di avere, per il 2015, un milione di auto elettriche sulle strade.
Una tale quantità di investimenti pubblici – accanto ad una spesa continuativa che impedisca agli Stati e alle amministrazioni locali di tagliare le pensioni e le spese pubbliche essenziali – sembra essere un meccanismo più certo di creazione di occupazione che i “patti di libero investimento” che porteranno solo a un maggior outsourcing o a un incerto tentativo di convincere i cinesi a rivalutare la loro moneta con dubbi risultati per la crescita dell’occupazione negli Stati Uniti.
Robert Pollin, tra gli altri, ha dimostrato con ottimi argomenti il potenziale degli investimenti “verdi” e in istruzione per la creazione di nuovi posti di lavoro. James Heintz, del Political Economy Research Institute (Peri), ha calcolato i notevoli benefici alla produttività e all’occupazione degli investimenti in infrastrutture. Per esempio, Heintz stima che un programma di investimenti in infrastrutture possa creare circa 18.000 posti di lavoro per ogni miliardo di dollari speso in nuovi investimenti. Al contrario, un taglio delle tasse, come quello approvato durante l‘ultima sessione dell’anatra zoppa, genererà solamente 14.000 posti di lavoro e alla fine lascerà probabilmente il paese con minor capitale produttivo per migliorare la produttività e lo sviluppo rispetto a quello che si sarebbe potuto creare investendo in infrastrutture. Per esempio, un programma di investimento di 87 miliardi di dollari per anno genererebbe 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti.
Gli “accordi di libero investimento” non potrebbero nemmeno avvicinarsi a un risultato del genere. E il sogno di raddoppiare le esportazioni in cinque anni potrebbe anche non essere un blaterare a vuoto, ma come intervento per creare posti di lavoro, non sta in piedi.