Impressionante concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi è il frutto del drammatico rovesciamento di forze che i lavoratori hanno subito negli ultimi decenni, nei quali abbiamo assistito a una contro-offensiva sul piano della conquista dei diritti, dell’uguaglianza, della fraternità (o della solidarietà) che è stata devastante. Non è una contro-offensiva che ha colpito “la […]
È passato un po’ troppo sotto silenzio il rapporto sulla ricchezza mondiale (e sulla sua distribuzione) che il Credit Suisse ha rilasciato nel 2014. Leggiamo un po’ di dati: la ricchezza tra il 2012 e il 2013 è aumentata del 4,9% e nel mondo ha raggiunto 241mila miliardi di dollari. Tra metà 2013 e metà 2014 ha registrato un aumento dell’8,3 per cento, e nei prossimi cinque anni la ricchezza globale dovrebbe crescere ancora del ulteriore 39 per cento. Nel mondo, sono 98.700 le persone che dispongono di un patrimonio di più di 50 milioni di dollari, delle quali 24.800 sono in Europa. Quelli che invece possono godere di una ricchezza pari o superiore ai 500 milioni di dollari, sono nel mondo 3.100.
Torniamo in Italia, e scopriamo che ci sono 29 milioni di persone che detengono una ricchezza di più di 100mila dollari e oltre un milione e mezzo che hanno “in banca” più di un milione di dollari.
In Europa ci sono 338.648 persone che hanno tra i 10 e i 50 milioni; 20.269 persone che detengono tra i 50 e i 100milioni di dollari; 10.024 persone che hanno tra 100 e 500 milioni; 650 persone che hanno tra 500 milioni e un miliardo di dollari e 411 iper-ricchi che dispongono di una ricchezza di più di un miliardo di dollari.
Questa impressionante concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi è il frutto del drammatico rovesciamento di forze che i lavoratori hanno subito negli ultimi decenni, nei quali abbiamo assistito a una contro-offensiva sul piano della conquista dei diritti, dell’uguaglianza, della fraternità (o della solidarietà) che è stata devastante. Non è una contro-offensiva che ha colpito “la sinistra”, ma le condizioni materiali di vita di tanta parte del mondo che la sinistra nel secolo scorso era riuscita a migliorare.
Una controffensiva non del berlusconismo o del renzismo che sono, anche per la maggioranza delle persone con diritto di voto, degli epifenomeni. Ma di quella piccola parte della popolazione mondiale che è sempre esistita e ha sempre (seppur in diverse misure) detenuto potere e ricchezza, entrambi costruiti sulla pelle e spesso sul sangue del resto della popolazione mondiale. E che ha sempre lavorato, con ogni mezzo, compreso il favorire l’astensionismo qui e altrove, perché il manovratore fosse il meno possibile disturbato
Oggi si dice che ci sia “la crisi”, ed è per colpa della “crisi” che milioni di persone perdono diritti sociali e anche civili. Ma non è una crisi, questa è più semplicemente una mostruosa diseguaglianza sociale, della quale si accorge – un po’ tardi – anche l’Ocse.
Una analisi sulla fase e sulle prospettive non può che partire da questo dato: la ricchezza aumenta e contemporaneamente la povertà (e con essa la mancanza di diritti civili e sociali) si allarga a macchia d’olio. E di questo dato il renzismo oggi e il berlusconismo ieri sono appunto epifenomeni. O al massimo delle tattiche utilizzate nella lotta per l’esproprio dei diritti, della ricchezza, della solidarietà ai lavoratori. Una tattica da sempre chiamata propaganda: la confusione di ruoli, la distrazione di massa, l’ottundimento delle coscienze individuali e collettive.
Per raddoppiare la “ricchezza” dei tre miliardi di esseri umani più poveri sulla faccia della Terra, ci dice il Credit Suisse, basterebbe diminuire dell’8 per cento quella dei 31 milioni di persone che dispongono di poco più di 3 milioni di dollari a testa. Un obiettivo non così impossibile da raggiungere. Per cui il punto da cui ripartire, da cui partire, non può che essere, ancora una volta, “come costruire una nuova offensiva in grado di estendere diritti e redistribuire ricchezza”, un tema generale che comprende il lavoro, la finanza e lo stato sociale (scuola, ricerca, sanità, pensioni ertc), ma anche la riqualificazione del territorio, l’utilizzo comunitario dei beni, insomma tutto ciò che sottrae impropriamente alle persone ricchezze ed è ostacolo a quello che in America Latina si chiama Buen Vivir o ancor meglio sumak kawsay, il principio di reciprocità tra gli esseri viventi con e nella natura.
Costruendo un programma comune, ma molto pratico, che metta o rimetta insieme quel vastissimo mondo (dal Papa ai movimenti sociali, che non a caso si sono incontrati) che già oggi rifiuta le palesi disuguaglianze e le mancanze di diritti del XXI secolo e che – soprattutto – contamini e coinvolga chi questo subisce maggiormente.
Da Voltaire a Gramsci fino alla Teologia della Liberazione non mancano certo le basi teoriche. Sarebbe utile aggiornarle alla luce delle nuove conquiste dell’etologia, da Lorenz passando per Goffman per finire a Bateson, che ci aiutano a dire che diritti, fratellanza, redistribuzione della ricchezza sono specie-specifiche e indispensabili alla permanenza dell’essere umano sul pianeta terra. Non sono le “basi” che mancano per dire che il progresso dell’umanità non sono gli iPhone, ma uguaglianza e diritti per tutti.
Manca la capacità di dire cose semplici: dobbiamo riappropriarci del maltolto (la ricchezza enorme concentrata in poche mani), e riconquistare diritti.
Se è vero che vedere il conflitto diretto tra lavoratori e padroni è oggi assai difficile, perché i padroni si sono nebulizzati nella globalizzazione finanziaria, è altrettanto vero che oggi possiamo avere gli strumenti per sapere chi sono quei pochi che detengono la maggior parte della ricchezza (con nomi e cognomi) e cercare gli strumenti per imporre attraverso leve fiscali o altro una più equa ripartizione delle ricchezze.
Il Credit Suisse dice anche che i tassi di crescita previsti al 2018 sono impressionanti: nel mondo ci saranno oltre 47 milioni di milionari, il 50 per cento in più rispetto ai 31 milioni registrati nel 2013 anno nel quale, in Italia, si registra che 3.100 persone, hanno una ricchezza superiore a 500 milioni di dollari. Dobbiamo invertire questa tendenza, e abbiamo anche gli strumenti per dire forte e chiaro, certi di non poter essere smentiti, che la strada di una più equa ripartizione della ricchezza è l’unica strada che possa (forse) garantire un futuro all’umanità e al pianeta Terra. Il Papa lo sostiene utilizzando la (sacrosanta) questione etica e morale. A cui laicamente vanno aggiunte, oltre alle analisi economiche che oggi imporrebbero una redistribuzione della ricchezza come condizione per la crescita, anche quegli studi scientifici che ci dicono che ogni specie animale presente sulla terra, e quindi anche noi umani, garantisce la propria sopravvivenza attraverso una organizzazione sociale cooperativa, cioè l’opposto di quella organizzazione sociale figlia del capitalismo finanziario che, come dice il Papa, permette agli iper ricchi di rimanere tali grazie alla trasformazione degli individui sociali in monadi. Dobbiamo aggiungerli, questi nuovi strumenti, perché più del 50 per cento della ricchezza è prodotta non dal plusvalore nella produzione ma dalla finanza.
È vero che il mondo è complesso, e ancor più complesse e variegate sono le società che lo compongono, ma la complessità non è un valido alibi per l’inedia o per il tirare a campare. Può venirci in aiuto la regola del rasoio di Occam: quando non si trova una soluzione, si cerchi la più semplice. E la più semplice è la redistribuzione della ricchezza, la ricostruzione dell’uguaglianza come orizzonte cui tendere.
Questo nodo la sinistra (di governo o meno) non lo ha affrontato, né in Europa né oltreoceano, pagando duramente dal punto di vista del consenso, mentre lo hanno affrontato direttamente sia Syriza in Grecia che i movimenti spagnoli che si sono poi concretizzati nell’esperienza di Podemos.
I quali dimostrano anche che la Politica, con la p maiuscola, è passione e impegno concreti e quotidiani del popolo per il popolo, è strumento per realizzare concretamente cose che potrebbero apparire come sogni o utopie.
Dopo mille litigi e discussioni autoreferenziali, è ora di mettere insieme chi vuole lavorare, qui e ora, sulla costruzione di un percorso di lavoro pratico, concreto e quotidiano per il progresso delle condizioni di vita delle persone. Non mancano peraltro quelle che già lo fanno egregiamente, le associazioni come l’Arci, Emergency, Libera e tante altre meno note ma non meno efficaci, o i gruppi di persone che ragionano sulla necessità di una “nuova Europa”, come gli economisti che hanno firmato l’appello “per una nuova Bretton Woods”. Chi già oggi lavora, concretamente, all’estensione di diritti e alla costruzione di nuove forme di fratellanza (o solidarietà, o mutualismo che dir si voglia) andrebbe coinvolto e ascoltato per costruire un programma pratico e di lavoro efficace.
Qui e ora, subito, a partire dagli appuntamenti che la sinistra si è data c’è bisogno di confrontarsi con la realtà, costruire un progetto concreto che metta insieme le competenze e le idealità necessarie a migliorare la vita di tutti. Perché dannatamente concreta è la forza di chi sottrae le nostre ricchezze e le concentra in poche mani rendendo concretissima la disperazione di molti. E concreti sono i segnali che ci dicono che il tempo è scaduto. E che o si costruisce una prospettiva di vita migliore riappropriandoci di ciò che è nostro oppure vincerà chi sta spiegando che il nemico è “proprio quello lì di fianco a te, quello che lotta per la sopravvivenza come te. Ma per tutti e due non c’è posto”.
Nessuno ha diritti da vantare, nessuno può essere egemone, nessuno può dettare la linea. Tutti invece abbiamo il dovere di metterci, insieme, al servizio di una necessità non più rinviabile – quella di trovare il modo di ridistribuire la ricchezza – se davvero teniamo al futuro, non solo del nostro Paese. Si può fare?