Lo strutturarsi del senso di comunità è fondamentale per avere una bassa percezione dell’insicurezza e costituisce un grande fattore di protezione dalla paura
Chi scrive ha condotto una ricerca a Perugia sul legame tra capitale sociale e insicurezza urbana attraverso una full immersion in due specifici quartieri, fatta di osservazione e interviste a residenti, commercianti e testimoni privilegiati (1). Ne traiamo spunto per alcune considerazioni.
Chiariamo innanzitutto di cosa parliamo. Il capitale sociale, in una sua accezione collettiva, è costituito da un insieme di risorse che traggono origine dalle relazioni e dall’inserimento in reti e connessioni durevoli tra soggetti e facilitano l’azione degli individui, favorendo la diffusione di cooperazione, fiducia, reciprocità e senso civico: reti di vicinato, luoghi di aggregazione e incontro, presenza di associazioni, vita sociale diffusa, etc. L’insicurezza urbana invece ha a che fare con la paura di essere vittima di minacce, aggressioni o violenze, con la rottura dei codici tradizionali di condotta civica (le cosiddette inciviltà o soft crimes), con la mancata cura del territorio e poi con il timore inteso come sentimento soggettivo, non necessariamente legato ad un rischio reale, ma derivante anche da episodi remoti rispetto al luogo di residenza e veicolati spesso dai mass media.
«Quando ci si conosceva tutti, quando eravamo tutti l’uno con l’altro, quando il vicino te poteva tene’ un figlio, certo, la criminalità si sentiva molto molto meno!». Questo brano di intervista, che abbiamo raccolto da un residente del centro storico di Perugia, ci fa capire da subito che tra i fattori che favoriscono il timore per la propria incolumità c’è proprio la riduzione delle reti, delle relazioni interpersonali, dei legami comunitari, che abbassa le difese nei confronti dell’ambiente circostante percepito come pericoloso e rende i cittadini più soli e disorientati. Come diceva Young, «i mattoni e il cemento della società civile sono il principale baluardo contro il crimine». La presenza di legami sociali agisce sull’insicurezza: le reti fungono da sostegno sociale tra gli individui che vivono in un determinato contesto urbano e favoriscono il “sentirsi parte” di un quartiere. Lo strutturarsi e il consolidarsi del senso di comunità è fondamentale per avere una bassa percezione dell’insicurezza e costituisce un grande fattore di protezione dalla paura, in quanto espressione di un clima sociale positivo e di controllo sullo spazio da parte degli abitanti.
I residenti e i commercianti ascoltati hanno fatto capire molto bene che le reti agiscono in due modi. In primo luogo, come elemento di aiuto effettivo: costituiscono un sostegno specifico in situazioni di eventuale pericolo e un fattore di rassicurazione generale. In contesti isolati, paure e timori sono maggiormente percepiti, mentre spazi frequentati e in cui i rapporti sociali sono consistenti inducono ad una maggiore tranquillità. In secondo luogo, come elemento di prevenzione: se ci si conosce, le relazioni sono consistenti, sono presenti negozi e attività di vario tipo che animano le vie, esistono luoghi di incontro e di aggregazione, l’uso improprio dello spazio pubblico è fortemente scoraggiato.
Le parole degli intervistati spiegano efficacemente quanto detto: «delle relazioni non superficiali, non formali, creano in qualche modo un maggior senso di sicurezza perché uno non si sente solo o perché ha il vicino che vigila, che può chiamare. È chiaro che si ha una sensazione di protezione. Se queste reti sono minimali o non ci sono, aumenta la solitudine e quindi anche la vulnerabilità, e la paura». E ancora: «Se so che passando in una via c’è l’omino che sta fuori e che mette a posto il suo garage, la donnina che si sporge dalla finestra e stende i panni, se so che ci sono degli occhi che guardano la zona dove io passo, c’è controllo sociale. Sono cose elementari di vita quotidiana di un quartiere».
Chi abita una zona funge da presidio ed è il primo a controllare. Nei contesti in cui le relazioni sono meno strette, dove il vicinato sostanzialmente non esiste e i luoghi collettivi non sono sentiti come effettivamente pubblici, il presidio viene meno e si dà più possibilità ad un uso improprio dello spazio. Jane Jacobs, in una nota ricerca, parlava della formazione di una «sensibilità per il carattere “pubblico” degli individui», di un tessuto connettivo di rispetto e di fiducia come risultato di contatti occasionali, nati fortuitamente, «durante i giri da compiere», regolati dagli stessi interessati al di fuori di ogni costrizione esterna: «la mancanza di questa fiducia in una strada urbana è un disastro».
E allora? Come ripristinare e, a volte, creare ex novo quelle reti sociali così preziose per la vita dei quartieri? È ancora possibile rivitalizzare aree degradate e spopolate, dove la percezione di insicurezza rischia di schizzare a livelli insopportabili per chi è più vulnerabile?
Sul piano locale si può fare molto. Occorrono politiche urbanistiche in grado di favorire la rinascita e la valorizzazione dei quartieri e delle loro identità, di cui è così ricco il nostro paese: restituire priorità allo strutturarsi di legami sociali – gli strumenti ci sono – invece che alla costruzione di centri commerciali o cinema multisala iper-periferici, spersonalizzati e senza anima. In questo processo, è di cruciale importanza dare voce e spazio ai cittadini, che possono organizzarsi in associazioni e comitati in grado di rivitalizzare le zone più colpite. Una sicurezza realmente partecipata, in cui i diretti interessati (gli abitanti di un quartiere) sono coinvolti nei percorsi di costruzione di comunità percepite come meno pericolose. Certo, occorrono anche interventi di contrasto alla criminalità e di controllo; ma la polizia non basta, come diceva, ancora, Jane Jacobs, secondo la quale l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi è mantenuto «da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi […]. Non c’è polizia che basti a garantire la civile convivenza una volta che siano venuti meno i fattori che la garantiscono in modo normale e spontaneo».
Più legami, più reti, più vicinato, più capitale sociale, più vita. Una ricetta antica ma efficace contro le paure urbane contemporanee.
(1) Carlone U., «Se fosse più vissuto, sarebbe più sicuro». Capitale sociale e insicurezza urbana a Perugia, Morlacchi University Press, Perugia, 2013.