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La scuola e la democrazia sono #nellenostremani

Siamo l’Unione degli Studenti. L’11 aprile, assieme a tante realtà impegnate sul tema della scuola, ci siamo incontrati a Roma per vagliare l’opportunità di costruire una grande manifestazione nazionale della e per la scuola pubblica per fermare la riforma della scuola di Renzi. Ora che è stato proclamato lo sciopero, vogliamo costruire uno spezzone sociale […]

udsSiamo l’Unione degli Studenti. L’11 aprile, assieme a tante realtà impegnate sul tema della scuola, ci siamo incontrati a Roma per vagliare l’opportunità di costruire una grande manifestazione nazionale della e per la scuola pubblica per fermare la riforma della scuola di Renzi. Ora che è stato proclamato lo sciopero, vogliamo costruire uno spezzone sociale di tutte e tutti coloro, studenti, insegnanti, lavoratori e cittadini tutti, che vogliono essere presenti nella piazza romana del 5 maggio e che, assieme ai sindacati, vogliono dare un forte segnale al Governo. Raccogliamo le adesioni per lo spezzone di soggetti collettivi e singoli cittadini alla mail coordscuolapubblica@gmail.com e invitiamo tutte e tutti a rilanciare il seguente manifesto di adesione sui propri canali di comunicazione usando l’hashtag #nellenostremani.

La Buona Scuola ha iniziato il suo percorso parlamentare e il Governo punta alla conversione in legge del DDL entro metà maggio. Appare quasi certo il crollo di una delle principali promesse di Renzi, ossia quella delle assunzioni e dell’implementazione degli organici. O si procederà mediante un decreto legge o resteranno unicamente sulla carta delle 136 pagine patinate diffuse a settembre.

Da mesi tantissime voci hanno provato a dire la loro sulla scuola. Voci inascoltate, delegittimate da una consultazione tendenziosa e di conseguenza scarsamente partecipata. Voci che però non si sono rassegnate, ma che hanno costruito negli ultimi mesi centinaia di momenti di confronto e mobilitazione, l’ultimo dei quali quello del 12 marzo, giornata che ha visto un’inedita mobilitazione studentesca diffusa su 40 città italiane. La riforma rispetto alle premesse iniziali è cambiata in peggio e, nonostante le pesanti critiche e i deludenti risultati della consultazione, il Governo ha deciso di procedere a tappe forzate, imponendo dei tempi stringenti alla discussione parlamentare. Non è da escludere che il Governo ponga la fiducia per far passare la legge.

Le principali linee politiche che emergono dalla riforma confermano le politiche neoliberali e neoliberiste sull’istruzione dell’ultimo ventennio. A cinque anni dalla sconfitta del movimento studentesco universitario e dall’approvazione della sciagurata legge Gelmini, si rischia di procedere verso la frantumazione del sistema scolastico pubblico al pari di quello universitario. La valutazione e il merito diventano strumenti di selezione feroce per far competere sulla miseria, la gestione viene centralizzata nelle mani del preside-manager, lasciando che i clientelismi imperversino, e il contesto territoriale, sociale ed economico, determina la qualità di ogni singola scuola. Il Governo non ha come priorità una risoluzione positiva delle disuguaglianze attraverso un adeguato finanziamento e implementazione dei servizi per il diritto allo studio. Non si garantiscono cospicui investimenti a livello centrale e si lega tutto alla capacità di ogni singola scuola di rendersi appetibile agli interessi dei privati e alle esigenze delle aziende della porta accanto. Sarà legittimato pienamente un sistema binario diviso tra scuole di qualità e scuole “parcheggio” o di serie B. Dietro l’evocazione di una nuova autonomia scolastica, completamente svilita e distorta, si nasconde la legittimazione della gerarchizzazione tra scuole, un inasprirsi del classismo e un accentramento esasperato dei poteri nelle mani del Dirigente Scolastico a discapito di docenti e studenti. Rischia di venir meno il sogno di una comunità educativa tra pari, fondata sul protagonismo di tutti i soggetti e in grado di accogliere le differenze. Sul fronte lavorativo si rischia di superare definitivamente ogni margine di contrattazione a favore della chiamata diretta, mentre sul fronte della democrazia interna si rischia l’annientamento di ogni forma di potere, anche consultivo, di tutte le componenti della scuola. Se la scuola è fondata su un modello autoritario come potrebbe divenire palestra di cittadinanza e democrazia?

Se ci si addentra poi sul tema del rapporto tra scuola e lavoro si palesa ulteriormente l’idea distorta che si ha dello stesso, tristemente evidenziata dalle ultime dichiarazioni del Ministro Poletti.

Nel corso degli ultimi mesi a nulla sono serviti i solleciti per far fronte alle grandi priorità assenti dal testo della riforma, dal diritto allo studio ai finanziamenti per rilanciare l’autonomia in chiave democratica, da una nuova alternanza scuola lavoro ad una riforma radicale dei cicli, della didattica e della valutazione. In tanti dall’inizio hanno riscontrato queste mancanze che, oggi confermate, denotano un’assenza di un complesso progetto educativo fondato sull’inclusione, la laicità e la gratuità dell’accesso ai saperi.

Il disegno di legge, inoltre, non assegna tutti i temi alla discussione parlamentare, delegandone tantissimi al Governo. Un atteggiamento inaccettabile, considerando peraltro i temi importanti e nodali come quello del diritto allo studio o della riforma del Testo Unico del ‘94. E’ in atto una forzatura democratica troppo forte che merita risposte altrettanto forti e quanto più unitarie e partecipate possibile. Studenti e docenti ad esempio da tempo richiedono la messa in discussione della Legge d’Iniziativa Popolare (LIP) e l’apertura di un dibattito sulle vere priorità per la scuola pubblica. A fronte di una deriva aziendalista del sistema formativo pubblico e ad una sua sostanziale perdita del carattere “pubblico” dello stesso, accompagnato da uno strapotere del mercato del lavoro nel determinarne obiettivi e contenuti dell’apprendimento, è necessaria una forte presa di posizione che sappia far emergere voci diverse, unite non soltanto per difendere, ma soprattutto per rivendicare la riapertura di un dibattito democratico su una nuova idea di scuola alternativa a quella del Governo.
Vogliamo essere chiari: è necessario fermare il percorso del DDL e riaprire un confronto democratico nel Paese costruito dal basso, che parta dalle istanze di chi la scuola la vive ogni giorno, da noi. Noi non abbiamo la presunzione di fotografare in poco tempo un pensiero sulla scuola, ma ambiamo a costruirlo innervando il Paese di discussioni e idee funzionali all’obiettivo di cambiare la scuola italiana. Non siamo soltanto coloro che la scuola la vivono ogni giorno, ma tutti quelli che, pur non mettendo piede in una scuola da tempo, crediamo che quest’ultima debba essere cambiata radicalmente. Siamo i primi a dire che quando si parla di saperi occorra aprire un dibattito largo, che chiami a raccolta tutto il Paese. Sì, perché per noi la scuola è un bene comune, non un luogo avulso dalla realtà. Perciò crediamo che proprio da una sua radicale riforma si possa cambiare anche ciò che la circonda, perché dall’istruzione si può partire per abbattere le disparità sociali, cambiare il modello di lavoro e di sviluppo. Fermiamo la riforma del Governo, restituiamo un senso alla democrazia e costruiamo un’alternativa di scuola in grado di cambiare in meglio il Paese.

Il 5 maggio saremo in piazza, chiuderemo le scuole, scenderemo per strada assieme, chiamando a raccolta tutti coloro che non ci stanno ad alcun ricatto. Vogliamo costruire uno sciopero generale di tutte e tutti, bloccando il Paese intero per dare voce a chi in questi ultimi anni è rimasto inascoltato.

La scuola dev’essere nelle nostre mani, come lo è la democrazia, come lo è il lavoro. Vogliamo che sia nelle nostre mani, e non in quelle fameliche di Confindustria e delle lobby che tengono sotto scacco il nostro Paese. Le nostre mani, l’emblema della partecipazione; le mani che ogni giorno si stringono per la rabbia, la frustrazione, le ingiustizie; le mani di chi vive la scuola odierna piena di distorsioni, che ne conosce le potenzialità e che sa come cambiarla; le mani giovani di chi ha ancora il coraggio di sognare un’autodeterminazione non legata al cosa faccia il padre; le mani che ogni giorno si tendono per costruire una scuola, una città, un luogo di lavoro aperto e inclusivo; le mani che si stringeranno l’una all’altra per non lasciar passare una riforma calata dall’alto, contro i bisogni e i desideri di chi ogni giorno vive il basso.

PUBBLICA – La scuola deve essere pubblica. Deve potersi autodeterminare per non essere costretta a piegarsi a logiche di aziende e imprese che vorrebbero decidere cosa si insegna tra i banchi di scuola. E’ inaccettabile che lo Stato faccia un passo indietro rispetto al finanziamento della scuola pubblica, sostenendo la necessità dei contributi privati. Non vogliamo gerarchizzare ulteriormente il sistema d’istruzione del nostro Paese, noi vogliamo garantire un sistema di qualità per tutte e tutti. Rivendichiamo che gli investimenti nella scuola pubblica siano portati a 17 miliardi di euro, ossia al 6 % del PIL, raggiungendo pertanto la media europea.

GRATUITA – Ogni anno le famiglie si ritrovano a sostenere delle spese esorbitanti per mandare i propri figli a scuola. Le spese per i libri scolastici, per i trasporti e l’annoso contributo volontario che ogni anno viene imposto agli studenti risultano un vero e proprio muro che impedisce un libero accesso ai saperi. E’ necessario che la scuola non sia più un luogo escludente con una media di dispersione scolastica al 17% ( con picchi del 26% nel Sud e nelle Isole) , tra le più alte in Europa. Vogliamo che diventi un luogo aperto e accessibile. Chiediamo quindi una legge nazionale per il diritto allo studio che stabilisca dei livelli essenziali di prestazione, in modo da eliminare le attuali disparità tra le regioni, e che preveda forme di reddito per i soggetti in formazione, sia diretto che indiretto, che consenta agli studenti una piena emancipazione della loro condizioni socio-economiche di partenza. L’obiettivo è raggiungere la piena gratuità dell’istruzione: è una questione di civiltà!

NON PRECARIA – La Corte di Giustizia Europea ha stabilito recentemente la stabilizzazione del personale precario della scuola in Italia che abbia svolto almeno 36 mesi di servizio. Le migliaia di ricorsi dei sindacati hanno dato uno schiaffo alle politiche precarizzanti degli ultimi anni e l’Europa ha riconosciuto le ingiustizie perpetrate ai danni di migliaia di docenti e personale ATA. La precarietà svilisce il senso della scuola, che dovrebbe invece essere un approdo sicuro, dove educarsi ed educare senza la preoccupazione di arrivare a fine mese. E’ tempo di abolire definitivamente il precariato senza se e senza ma: il Governo deve procedere ad un decreto urgente per le assunzioni dei precari e al tempo stesso occorre rinnovare il CCNL, bloccato da 7 anni a questa parte.

SICURA – La scuola deve essere anzitutto un luogo sicuro in cui poter entrare con l’assoluta certezza che nessuno dei suoi pezzi possa cadere sulla nostra testa. Purtroppo, però, leggiamo troppo di frequente di tragedie sfiorate o di studenti o docenti la cui incolumità è messa a repentaglio nell’atto stesso di andare a lezione. Non possiamo più accettare che ciò avvenga sotto i nostri occhi nè che i Governi continuino a considerare il tema come uno spot mediatico. Al netto di miliardi di euro spesi per le grandi opere come la Tav, Il Mose, il Muos, ect. molto spesso inutili e dannose per i nostri territori, riteniamo che l’unica grande opera davvero necessaria, fuori da ogni retorica e spot, sia la messa in sicurezza delle nostre scuole. Pertanto non sono sufficienti “finanziamenti a pioggia” ma riteniamo doveroso che questi siano invece proporzionati all’emergenza della situazione attuale e redistribuiti attraverso l’anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica.

AUTOGOVERNATA – Oggi quando si parla di autonomia scolastica si pensa all’aziendalizzazione, alle scuole che fanno “da sé” con un Dirigente dotato di super-poteri. L’autonomia scolastica invece potrebbe essere altro. In un contesto sociale e culturale sempre più frammentato la scuola deve sapersi rinnovare ed offrire opportuni strumenti per garantire una formazione di qualità a tutte e tutti. Vogliamo una scuola capace di modulare programmi, tempi e spazi relazionandosi con gli Enti Locali, per costruire vere e proprie città educative, coniugando formazione formale e informale. Una scuola dunque al centro del territorio e non succube delle sue distorsioni. Una scuola democratica dove autonomia faccia rima con autogoverno dove al centro siano posti tutti i soggetti. Autonomia dunque diversa da autarchia. L’autonomia scolastica va ribaltata, ma sono necessari cospicui investimenti statali affinché nulla cada sulle spalle delle famiglie attraverso il contributo volontario, o attraverso la spasmodica ricerca di finanziatori privati. Vogliamo delle scuole aperte, strumenti di autodeterminazione e di rilancio delle migliaia di territori in crisi, governate democraticamente.

COOPERATIVA – Diversamente da quanto sostenuto all’interno della “Buona Scuola”, che vede come suo filo conduttore il tema della meritocrazia e della competizione tra gli individui, riteniamo fondamentale ribaltare la retorica del “self made man” che si vorrebbe insegnare sin dai primi anni di scuola. Innumerevoli studi hanno infatti smentito l’utilità pedagogica della “valutazione punitiva”, che ha come effetto principale quello di mettere gli uni contro gli altri tanto gli studenti nelle classi quanto i docenti sul luogo del lavoro. La valutazione, al contrario, deve essere intesa come uno strumento di miglioramento collettivo della comunità scolastica attraverso la quale limare i punti di debolezza e condividere quelli di forza, in modo tale da essere integrata a pieno titolo tra le fasi dell’apprendimento. E’ altresì necessario ripensare la didattica, non più come un insieme di lezioni frontali e nozionistiche ma come un percorso cooperativo e multidisciplinare che non vada a compartimentalizzare la conoscenza ma a creare dei percorsi trasversali, è necessario anche passare da un’ottica di programmazione didattica a un’ottica di progettazione educativa che tenga conto dei contesti socio economici territoriali.

DEMOCRATICA – La scuola oggi non è una palestra di democrazia, ma di autoritarismo e scarsa trasparenza. E’ necessario implementare la partecipazione di tutte le componenti per rendere la gestione della scuola quanto larga possibile, responsabilizzando tutti nella scrittura dell’offerta formativa individuando sia i punti deboli che le strategie collettive di miglioramento. E’ necessario sperimentare nuovi organi collegiali e potenziare quelli già esistenti in un’ottica paritetica, dal Consiglio d’Istituto sino ai Consigli di Classe. Abbiamo il bisogno di aprire il dibattito sulla necessità di commissioni paritetiche studenti/docenti per redigere il POF, di assemblee generali d’istituto con tutte le componenti della scuola, di un maggior riconoscimento e legittimità dei comitati studenteschi, rifinanziando opportunamente la progettualità e gli spazi studenteschi (DPR 567/96).

FORMATIVA – Vogliamo una scuola che non sia una palestra di precarietà per gli studenti o un ente locale asservito alle logiche produttive. Chiediamo una riforma dell’istruzione tecnica e professionale che non qualifichi questi percorsi come percorsi di serie B, in cui l’alternanza scuola-lavoro non sia vista come elargizione di manodopera gratuita alle aziende ma come un’ opportunità formativa per tutti gli studenti in cui combinare il sapere e il saper fare. Per questo riteniamo inaccettabile che l’apprendistato possa sostituire l’assolvimento dell’obbligo formativo, come non tolleriamo la norma che istituisce l’apprendistato sperimentale, una brutta copia del sistema modale duale tedesca. Pretendiamo uno “statuto delle studentesse e degli studenti in alternanza-scuola lavoro” per garantire dei reali diritti e delle reali tutele a tutti gli studenti che affrontano questi percorsi formativi con l’obiettivo di acquisire competenze trasversali nella piena coscienza dei propri diritti e nel rispetto della dignità umana, al contrario di quanto avviene oggi in queste esperienze.

LAICA E LIBERA – E’ necessario pensare a una scuola laica e libera da ogni condizionamento e favoritismo religioso, dove si possa promuovere un educazione alla sessualità libera da ogni pregiudizio e condizionamento. E’ altresì necessario sostituire l’ora di educazione cattolica con un ora di storia delle religioni in modo tale che studenti di diversa religione, sesso, provenienza, condizioni personali e sociali, possono convivere insieme senza discriminazioni. Crediamo inoltre che debba essere rivista la “legge di parità” che equipara le scuole pubbliche e le scuole private eliminando ogni finanziamento statale a quest’ultime in ossequio all’articolo 33 della costituzione.

ANTIFASCISTA – La scuola deve essere un presidio di cittadinanza e antifascismo, è necessario combattere con forza l’espandersi dei neofascismi e delle nuove destre che stanno sempre di più avendo spazio nei nostri luoghi di formazione. Ma combattere l’espansione neofascista e razzista all’interno delle nostre scuole va fatto a partire dai programmi e dalle materie che studiamo tutti i giorni. Uno dei problemi principali della scuola italiana è lo spiccato etnocentrismo che caratterizza gli attuali programmi. Crediamo vada sostituito con un approccio aperto, che sappia approfondire, al di là dei luoghi comuni, la complessità delle differenti culture calate nell’era della globalizzazione, facendo in modo che questo processo sappia partire ed avere un suo saldo riferimento proprio nell’esperienza diretta degli studenti migranti presenti nelle classi.