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La riforma degli affitti che ignora gli inquilini

Si chiama “cedolare secca”, porterà rendite più grasse per i proprietari più ricchi. Non aiuta in nessun modo il rilancio degli affitti, e mette a rischio i bilanci dei comuni

“Dall’aprile 2011 a coloro che guadagnano più di 75mila euro all’anno saranno dati 1.589 euro in più; mentre quelli che stanno sotto i 15mila euro non riceveranno niente, anzi dovranno pagare qualcosina”. Cosa direste di una legge così congegnata? Tutto il male possibile, probabilmente. Una così sfacciata operazione non sarebbe presentabile da parte di qualsiasi governo in democrazia, né accettabile da parte degli stessi ricchi beneficiati. Eppure, succede davvero nell’Italia dell’aprile 2011. E succede in relazione a una della questioni più delicate e socialmente sensibili del momento: l’affitto delle case. La cui tassazione è stata riformata, con una perfetta operazione da Dooh Nibor, quello che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Vediamo come.

Tutto parte dalla famosa legge sul federalismo, che come si sa è l’assicurazione sulla vita di S. Berlusconi: finché il federalismo va avanti, la Lega tiene in vita il governo; sennò, stacca la spina. E per andare avanti il federalismo è stato diviso in due: da una parte, il federalismo municipale, dall’altra quello regionale. Secondo molti dei maggiori esperti, la somma delle due cose non porterà a una vera autonomia dei livelli locali di governo, né consentirà davvero alle regioni del Nord di raggiungere l’agognata indipendenza fiscale (ossia di non farsi più carico dei problemi delle regioni con minori risorse: vero motivo per cui la Lega voleva il federalismo). Ma lasciamo stare la questione generale, tanto più che la sua attuazione è rimandata alle calende greche e che per capire come funzionerà davvero occorre attendere i dettagli attuativi, che non sono ancora scritti. Parliamo invece di quello che c’è già, dentro la pancia del decreto sul federalismo municipale, che ha rimodulato un po’ di imposte dalle quali i comuni trarranno le loro risorse. Tra queste, quella che è stata definita la vera “novità fiscale” dell’anno: la cedolare secca sugli affitti. Di cosa si tratta? Finora, gli affitti pagati dagli inquilini andavano – in teoria – a integrare il reddito di chi li riceveva, fosse questo una persona fisica (un singolo proprietario, grande o piccolo che fosse) o una società (un costruttore, un’immobiliare, etc). Facciamo l’esempio di un inquilino che pagava 800 euro al mese: sui dodici mesi, fanno 9.600 euro, sui quali il proprietario pagava – sempre in teoria – l’imposta personale sul reddito. E poiché il nostro sistema di imposte personali è progressivo, più alto era il reddito del proprietario, più alta l’aliquota e quindi l’imposta da pagare. Va detto però che la legge fiscale precedente faceva un piccolo sconto: non tutto l’affitto andava in Irpef, ma solo l’85% se si trattava di un canone libero, e poco meno del 60% se era un canone concordato (l’erede del vecchio equo canone). Per farla breve: il proprietario del nostro esempio, che aveva affittato a canone libero, nel vecchio regime avrebbe pagato al fisco una somma oscillante tra i 1.900 e i 3.500 euro all’anno, a seconda che fosse al margine più basso o più alto della scala dei redditi. Con il nuovo sistema, invece, il nostro proprietario potrà scegliere: potrà continuare come prima, oppure optare per la cosiddetta “cedolare secca”. Cioè pagare un’aliquota secca, che non varia al variare del reddito, su tutto l’affitto che riceve: è lo stesso sistema che si applica, per dire, ai Bot, che sono tassati alla fonte con un’aliquota unica e non vanno a integrare il reddito, ai fini fiscali. Quest’aliquota, per gli affitti a canone libero, è al 21%. E’ chiaro che un sistema del genere è tanto più conveniente quanto più alta era l’aliquota di prima, cioè quanto più ricco è il proprietario. Ritorniamo al nostro esempio: il proprietario si troverà a pagare 43 euro in più, se ha un reddito molto basso (sotto i 15mila euro l’anno); guadagnerà appena 251 euro, se ha un reddito tra i 15mila e i 28mila euro l’anno; mentre il suo guadagno fiscale salirà con il salire del reddito, fino ad arrivare, per chi ha un reddito superiore ai 75mila l’anno, ai 1589 euro citati all’inizio di quest’articolo.

Insomma, il tutto è un consistente regalo a chi guadagna di più. Il che non è una novità: è dal suo esordio, anno 1994, che il centrodestra di marca berlusconiana fa politiche fiscali di questo tipo, e a pensarci bene è questa la cifra che contraddistingue le destre in tutto il mondo (anche se altrove forse c’è minore abilità nel contraffare i risultati di tale politica). Però in questo caso c’è qualcosa d’altro, che riguarda proprio la questione delle case. Di fronte all’emergenza abitativa, e alla scarsità delle case in affitto, da tempo si invoca una tassazione più favorevole, come la cedolare secca. L’effetto redistributivo – a vantaggio dei proprietari di case – potrebbe essere tutto sommato previsto, e anche accettabile, per raggiungere uno scopo superiore: mettere più case sul mercato degli affitti, agevolare quella fascia di popolazione che non ha casa in proprietà. Si tratta di una famiglia su cinque, ma la percentuale sale molto se si considerano le famiglie più giovani, quelle che vivono in grosse città, e gli immigrati. Ma per aiutare davvero questa parte della popolazione – quella più a rischio, quella esclusa dall’attuale livello degli affitti e dalla scarsità di case – bisognerebbe fare in modo che tutto il vantaggio fiscale si trasferisse su di loro. Così non è. La nuova cedolare secca lascerà i suoi benefici nelle tasche dei proprietari e non farà scendere di un euro il livello dei canoni: perché quel signore che si troverà a pagare meno tasse dovrebbe volontariamente far scendere il canone al suo inquilino, ossia trasferire il beneficio in tasche altrui? Non solo. La cedolare secca, versione 2011, non è studiata per incentivare contratti d’affitto a canone calmierato. Basti pensare che se si ricorre a un contratto a canone concordato l’aliquota scende in modo irrisorio, dal 21 al 19%. Troppo poco per rendere appetibili i canoni concordati. Da anni sulla questione dell’affitto la politica economica italiana non fa nulla: nulla per calmierare i canini di mercato, giunti a livelli impossibili da sostenere per la quasi totalità dei redditi, e in particolare per quelli che caratterizzano oggi il mercato del lavoro giovanile; nulla per l’edilizia pubblica, nella quale non si investe anzi si disinveste; nulla per sostenere gli affitti privati (il relativo Fondo, introdotto nel 1998, è ormai arrivato a uno stanziamento prossimo allo zero: 33,5 milioni nel 2011); nulla per aiutare gli sfrattati per morosità, che secondo i sindacati degli inquilini saranno 150mila nei prossimi cinque anni. Ecco che arriva la prima grande riforma fiscale che si occupa di affitti, e non prevede alcun meccanismo capace di incidere in pur minima parte sul vero problema: gli affitti sono troppo pochi e troppo alti, andrebbero previsti meccanismi per incentivare la gente a mettere sul mercato le case e abbassare i canoni. Per esempio, si poteva prevedere il beneficio della cedolare secca solo per le case messe sul mercato a canone concordato.

Tutto ciò non si è fatto, perché la situazione degli affitti e degli inquilini era l’ultima delle preoccupazioni del legislatore federalista. Il suo scopo principale infatti era quello di trovare in qualche modo risorse per i comuni. Ma anche questo scopo principale rischia di fallire. Secondo le stime dei più esperti economisti, infatti, ci sarà una perdita secca di gettito, nel passaggio dal vecchio sistema alla cedolare secca, e questa perdita oscilla tra i 918 milioni e gli 1,8 miliardi. Che passeranno dunque dalle tasche dello Stato (o dei comuni) a quelle dei proprietari più ricchi. La maggioranza che ha approvato la legge non la pensa così: si sostiene che infatti il nuovo sistema farà emergere affitti che prima erano in nero, quindi aumenterà il gettito. L’emersione del “nero” dovrebbe avvenire perché, nel nuovo sistema, si danno notevoli vantaggi all’inquilino che sta pagando affitti al nero e che denuncia il suo proprietario-evasore. Secondo il governo, la paura della denuncia porterà i proprietari a far emergere i canoni, per di più potendo ricorrere al sistema della cedolare secca. Secondo altri – tra questi, la Confedilizia, ossia la lobby dei proprietari – questo non succederà. Difficile dire se stiamo parlando di stime econometriche o di scommesse, di gioco d’azzardo. Certo, il governo gioca ma con i soldi altrui: quelli che rischiano davvero alla fine sono i comuni, che potrebbero trovarsi con meno risorse, con pochi mezzi per intervenire, e con nessuno strumento per dare soddisfazione alle migliaia di sfrattati che continueranno a bussare alle porte dei sindaci.

Ma la vera domanda è: perché di tutto questo non si parla, alla vigilia di elezioni amministrative importantissime e nel pieno di una crisi economica e sociale senza precedenti? E’ vero che ci sono le leggi-vergogna in parlamento e l’indignazione per i processi del premier: ma né leggi vergogna né indignazione sono prerogativa di un singolo settore, anzi le prime dimostrano giorno dopo giorno di operare in campi sconfinati. Meglio avere il quadro d’insieme, così forse la situazione è più chiara.

I numeri citati sono tratti da articoli dell’economista Raffaele Lungarella su Lavoce.info: “Dalla cedolare vantaggi solo per i proprietari“, e “L’affitto langue anche con la cedolare secca“). Sull’argomento: “Un federalismo municipale a sovranità limitata” (Antonio Misiani, Nens, febbraio 2011). “Affitti, così funziona la cedolare secca” (Corriere della sera, 10 aprile 2011), “Quando conviene la cedolare secca” (Il Sole 24 ore, 9 aprile 2011)

* Articolo pubblicato anche dalla rivista quindicinale “La rocca di Assisi”