È approdata in questi giorni alla Camera una proposta di legge per la riforma del Bilancio dello Stato presentata dal Presidente della Commissione Francesco Boccia, volta ad adattare il processo di bilancio al cosiddetto “Semestre europeo”, cioè lo strumento di coordinamento delle politiche di bilancio comunitarie. All’interno della proposta di legge vi è un comma specifico […]
È approdata in questi giorni alla Camera una proposta di legge per la riforma del Bilancio dello Stato presentata dal Presidente della Commissione Francesco Boccia, volta ad adattare il processo di bilancio al cosiddetto “Semestre europeo”, cioè lo strumento di coordinamento delle politiche di bilancio comunitarie.
All’interno della proposta di legge vi è un comma specifico (art. 1, c. 5) fortemente voluto dal Parlamento – e molto meno dal Governo – che prevede l’introduzione degli indicatori di benessere nel Documento di Economia e Finanza (Def), in particolare nel capitolo dedicato al Piano Nazionale di Riforme, e la calendarizzazione di una loro discussione periodica in Parlamento da parte del Governo.
Un po’ di storia
Senza nulla togliere al lavoro svolto in questi anni dall’Istat, si può affermare che la misura di legge sia in buona parte debitrice del lungo e intenso lavoro sugli indicatori di benessere portato avanti da Sbilanciamoci! negli ultimi dieci anni.
Nel 2004, quando l’Ocse inizia a parlare di questi temi, Sbilanciamoci! avvia la pubblicazione del Quars, il Rapporto annuale sulla qualità dello sviluppo delle regioni italiane basato sui risultati di uno specifico indice sintetico elaborato dai ricercatori e dagli esperti della campagna. E ad aprile 2010, quando il progetto Cnel-Istat sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) non è neppure iniziato, Sbilanciamoci! vara un tavolo di lavoro congiunto, chiamato “BeS” (Benessere e Sostenibilità), con università, società civile, ministeri e istituzioni con lo scopo di elaborare e proporre specifiche linee guida per l’adozione degli indicatori di benessere da parte della politica.
Quelle stesse linee guida sono alla base di una proposta di legge presentata lo scorso anno in Parlamento, e non ancora calendarizzata, con primo firmatario Giulio Marcon. E le principali istanze di questa proposta sono state inserite da Boccia nella legge di riforma di bilancio attualmente in discussione alla Camera. Se, come è auspicabile, la proposta sarà approvata in Parlamento, questo segnerà un importante passo in avanti per la qualità delle politiche pubbliche, che dovranno prendere in considerazione le questioni e i vincoli sociali e ambientali, senza ridurre le scelte di politica economica alla sola crescita economica (quando va bene) o a miopi vincoli di bilancio (quando va peggio).
Inoltre, la legge prevede che entro il 15 febbraio di ogni anno il Governo presenti al Parlamento i risultati ottenuti nel corso della legislatura, utilizzando come parametro di valutazione del suo operato gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile prodotti dall’Istat. Si tratta di un altro rilevante avanzamento rispetto alla situazione attuale, in cui i risultati del Bes sono presentati dall’Istat senza garanzie di alcun impegno formale da parte delle istituzioni governative: nel caso in cui la proposta Boccia venisse approvata, invece, il Governo stesso sarà chiamato a “prendersi la responsabilità” degli andamenti descritti.
Non solo rose e fiori
Nonostante le ottime premesse, alcuni nodi problematici rischiano di compromettere tutto il lavoro fin qui realizzato. Ne segnaliamo tre, su cui è necessario tenere alta l’attenzione.
(1) Come sottolinea l’Istat in una recente audizione parlamentare presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, i dati per monitorare e valutare l’azione di governo dovranno essere riferiti all’ultimo triennio, ma non tutti gli indicatori riescono a coprire l’intero periodo: il rischio è quindi che un dato considerato vecchio non venga preso in debita considerazione dai decisori politici. Occorrono allora risorse aggiuntive per colmare questa lacuna relativa alla tempestività nella produzione dei dati, mentre è possibile invece che si decida semplicemente di ridurre il numero di indicatori.
Poiché inoltre – segnala sempre l’Istat – ci si muove entro la cornice del Def, dovranno essere prodotte previsioni sia tendenziali che programmatiche. Qui il problema metodologico è enorme. Da un lato non ci sono oggi modelli di simulazione che integrino le variabili del benessere, se non poche eccezioni sul fronte ambientale e su quello della povertà e della distribuzione del reddito: è quindi necessario e urgente iniziare a costruire e a testare questi modelli. Dall’altro lato, per simulare l’impatto delle politiche previste dal Def, il livello di dettaglio descrittivo di tali misure dovrà essere notevole, al contrario di quanto avviene oggi con il livello estremamente generico contenuto nel Piano Nazionale di Riforme.
(2) Il Def già si è dotato di un sistema di indicatori, in questo caso di “qualità della crescita”, non molto diversi da quelli del benessere: sono gli indicatori della Strategia Europa 2020. Questi ultimi non solo devono essere monitorati, ma esiste anche un impegno da parte dell’Italia per il raggiungimento di specifici obiettivi ritagliati sulla base dei singoli indicatori. Eppure Europa 2020 appare oggi come una strategia dimenticata, di cui nessuno parla e che ben pochi conoscono (si veda qui).
Il Def di quest’anno non si degna neppure di associare alcune delle politiche intraprese dal Governo ai temi di Europa 2020, ma si limita a una descrizione asettica degli andamenti, con un impatto sull’azione di Governo pari a zero. Nel caso della proposta di legge Boccia è stato introdotto un momento di discussione parlamentare che obbliga il decisore a venire allo scoperto. Tuttavia, soprattutto in assenza di una forte pressione da parte della società civile, il rischio che il sistema cada nel dimenticatoio di un polveroso allegato del Def è sempre presente.
(3) L’ultimo nodo riguarda il legame tra il Bes italiano e gli indicatori di Sviluppo sostenibile adottati dalle Nazioni Unite. Anche l’Italia dovrà calcolare questi indicatori, diffonderli e costruire intorno ad essi una Strategia nazionale di sviluppo sostenibile che ponga obiettivi quantitativi, pubblicando contestualmente un Rapporto sul tema. La partita è formalmente in mano al Governo, che però non si è mosso ed è in grave ritardo: ad oggi si attende ancora la creazione di un Coordinamento interministeriale presso la Presidenza del Consiglio.
Inoltre, le Nazioni Unite prevedono la possibilità di adattare il set di indicatori dell’Agenda 2030 a un framework nazionale. L’Italia è già provvista di questo framework: si tratta appunto del Bes, che peraltro è stato costruito in modo abbastanza partecipato e condiviso con la società civile. Questa potrebbe essere allora l’occasione per far convergere le due iniziative, integrando il Bes con i temi rilevanti degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu e costruendo una Strategia nazionale che completi il Bes con l’ultimo tassello mancante: alla sua adozione nel processo di elaborazione delle politiche, dovrebbe seguire infatti la definizione di obiettivi specifici da raggiungere, indicatore per indicatore, nei prossimi quindici anni, da qui al 2030.
Anche su questo aspetto, dunque, la società civile è chiamata a tenere alta la guardia e a sviluppare iniziative di monitoraggio e di pressione, per evitare che quella che potrebbe essere la primavera degli indicatori di benessere non si trasformi beffardamente in un lungo inverno.