Dal Friuli alla Calabria divampano le proteste nei Centri di identificazione ed espulsione. Ma le politiche del rifiuto non solo non funzionano ma hanno anche un costo salato: 1 miliardo e 600 milioni in dieci anni. Vi riproponiamo il dossier elaborato da Lunaria
Da Gradisca d’Isonzo a Isola Capo Rizzuto, sono esplose in queste settimane le rivolte nei Cie d’Italia. Il centro di identificazione ed espulsione di Isola Capo Rizzuto a Crotone è chiuso da una decina di giorni dopo la rivolta degli immigrati seguita alla morte di Moustapha Anaki, marocchino di 31 anni deceduto a causa di un malore in circostanze ancora da chiarire. L’uomo era recluso nel Cie da circa un mese perché immigrato irregolare in attesa del rimpatrio ed era stato trasferito nel centro calabrese dopo avere scontato una pena nel carcere di Salerno. Si trovava in Italia da sette anni, ed era sprovvisto di permesso di soggiorno.
A Gradisca d’Isonzo invece la protesta era scoppiata quando gli immigrati hanno chiesto di poter rimanere, la sera, fuori, negli spazi aperti e per tutta risposta le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno cominciato a lanciare lacrimogeni e ad usare i manganelli. Dopo giorni di tensioni e rivolte, sabato scorso la rabbia dei migranti è culminata in una doppia manifestazione dentro e fuori dal centro per denunciare le condizioni in cui vivono i detenuti.
La politica del “rispediamoli tutti a casa” non solo non funziona ma ha anche un costo salato: 1 miliardo e 600 milioni in dieci anni. Vi riproponiamo il rapporto elaborato da Lunaria.
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