Infine, siamo arrivati a una stangata da 55 miliardi. Una manovra vendicativa e recessiva, che rischia di non bastare. Una mappa per orientarsi, e i documenti del governo
1. Vincoli macroeconomici dell’Italia
2. Impatto fiscale delle misure finanziarie
3. Misure irrilevanti dal lato finanziario, ma pesantissime dal lato sociale
4. Privatizzazione delle municipalizzate
5. Emendamento al decreto legge di agosto
Quando analizziamo la crisi economica internazionale, e quella italiana in particolare, tendiamo a neutralizzare le differenze. Più o meno la denuncia tipo è: la crisi economica e sociale dell’Italia è imputabile alle politiche restrittive europee, che puntano alla riduzione dello stato sociale, dei salari e in generale dell’intervento pubblico.
Questa generalizzazione non solo è sbagliata, ma impedisce la ricerca di soluzioni adeguate alla particolare crisi italiana. Infatti, la crisi economica italiana è molto diversa da quella media europea. Per questo occorre un’azione straordinaria, cioè un progetto di transizione.
Mettiamo in fila alcuni s-nodi che occorre non dimenticare se si vogliono adottare dei provvedimenti coerenti per la crescita e lo sviluppo del paese:
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l’Italia cresce meno della media dei paesi europei da oltre 15 anni, con un cumulato di minore crescita del pil pari a oltre 150 mld;
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gli investimenti delle imprese italiane sono del 50% meno produttivi delle imprese europee;
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il salario medio italiano è significativamente più basso della media europea (area euro), ma nel contempo il costo del lavoro, che è un indicatore di prezzo e non di competitività, è in forte crescita;
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la produzione ad alto contenuto tecnologico delle imprese italiane è più bassa del 75% di quella media delle imprese europee;
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la spesa pubblica italiana primaria è la più bassa tra tutti i paesi europei.
Molti sostengono che un aumento della domanda potrebbe risolvere una parte dei problemi del paese, ma la domanda è fatta da consumi e investimenti. Qual è la domanda che si vuole sostenere? Questo snodo non è irrilevante, e condiziona le proposte di tutte le politiche di crescita e di sviluppo.
È bene ricordare che la domanda di consumi italiani, come per la maggior parte dei paesi a capitalismo maturo, non è una domanda in espansione, ma di sostituzione. Difficile credere che un aumento del reddito possa determinare una crescita del pil. Semmai il problema dei salari e dei redditi deve essere collocato dentro uno scenario più ampio di politica economica e di giustizia-diritti presi sul serio (Einaudi). L’aumento della domanda dal lato dei consumi ben poco può fare per la crescita del paese, mentre può fare molto per il benessere dei lavoratori e dei cittadini. Si tratta, insomma, di redistribuire il reddito disponibile in percentuali diverse da quelle attuali. Per traguardare una situazione almeno pari a quella del 1995, occorre ri-allocare 50 mld di euro. Questo è un obiettivo sociale, non un obiettivo per la crescita economica.
Per la crescita economica sono molto più importanti gli investimenti e l’innovazione, ma qui iniziano i problemi più gravi. Se gli investimenti italiani sono del 50% meno produttivi di quelli europei, la crescita del pil legata agli investimenti è esattamente pari alla metà di quella europea, senza contare il più basso effetto moltiplicatore keynesiano implicito. L’esito non deve sorprendere. Infatti, tutta la componente ad alta tecnologia, anche quella legata alle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, è sostanzialmente importata. Stante l’attuale specializzazione produttiva del paese, la domanda di investimenti delle imprese italiane è soddisfatta via importazioni. L’esempio più eclatante è quello dei pannelli solari: su 100 pannelli installati, 98 sono importati, 1 è prodotto da una impresa estera in Italia e 1 è realizzato da una impresa italiana. La stessa cosa si può dire per molti dei beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, dalla cura, all’ambiente e via discorrendo.
Ma a livello europeo e internazionale sono proprio gli investimenti nella green economy e nell’alta tecnologia a crescere in misura doppia rispetto agli investimenti per la produzione “meccanica”. Il difetto dell’Italia è proprio quello di avere una struttura produttiva del tutto inadeguata per affrontare i settori emergenti. Quindi occorre un intervento diretto per modificare la struttura dell’offerta dei beni e servizi del paese. Si potrebbe intanto differenziare gli stimoli pubblici agli investimenti. Per esempio, gli stimoli pubblici potrebbero essere concessi solo per i progetti ad alto contenuto tecnologico generati dalle imprese, cioè non importati dall’estero, meglio ancora se la cassa depositi e prestiti industrializzasse la ricerca e sviluppo pubblica.
Una via difficile, ma occorre molta attenzione nelle proposte per uscire dalla crisi. La domanda è un insieme complesso di attività, di cui quella da consumo è la meno rilevante. Il paese esce dalla crisi se “rompe” il vincolo di struttura produttiva, che vale una minore crescita del pil rispetto all’Europa per oltre 150 mld di euro. Questa è l’unica via per aumentare i salari, creare le condizioni per un lavoro buono dei giovani, agganciare il nuovo paradigma tecnologico e crescere quanto fanno altri paesi.
La manovra correttiva predisposta dal governo del 13 agosto, assieme alle successive modifiche è pari a oltre 55 miliardi di euro tra il 2012 e il 2014. Una parte della manovra si applica anche al 2011 per un importo di quasi 2 mld di euro, mentre per il 2012 è previsto un intervento di 23.932 mln di euro, e per il 2013 le misure adottate sono pari a 49.865 mln di euro. Alla fine del 2014 ci sarà una manovra cumulata pari a 55.405 mln.
Il risultato è dato dall’effetto del decreto di luglio, e dal decreto di agosto che anticipa e aggiunge ulteriori provvedimenti per un valore pari a quasi 7 mld di euro.
Più in particolare l’incidenza delle maggiori entrate sul complesso dei tagli cresce progressivamente, dal 56,3% del 2013 al 78,8% del 2014, che si amplia con l’aumento dell’IVA di un punto dal 20 al 21%, per un importo pari a 700 mln nel 2011, e 4.236 mln dal 2012.
Sintesi della manovra economica luglio-agosto 2011 |
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Anno 2011 |
Anno 2012 |
Anno 2013 |
Anno 2014 |
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entrate |
31 |
7925 |
17722 |
6132 |
minori spese |
10430 |
7738 |
1301 |
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totale decreto agosto |
31 |
18355 |
25460 |
7433 |
totale manovra luglio e agosto |
2139 |
23932 |
49865 |
55405 |
incidenza delle entrate sui tagli |
-100 |
31,6 |
-56,3 |
-78,8 |
Ovviamente la “correzione” è al netto delle implicazioni macroeconomiche. Secondo il ministro Tremonti, nonostante l’anticipo della manovra economica dal 2013-14 al 2012-2013, il quadro macroeconomico rimane invariato. Sostanzialmente l’anticipo della manovra, non dovrebbe avere ripercussioni sui consumi delle famiglie, sugli investimenti delle imprese e sulla dinamica dell’import-export. Difficile crederlo, soprattutto se consideriamo che la riduzione della spesa pubblica, in ragione dell’identità economica pil uguale a consumi, investimenti e spesa pubblica, comprime i consumi pubblici di almeno 18 mld di euro nel periodo considerato, che difficilmente possono essere compensati, in questo quadro di recessione internazionale, da una equivalente crescita di investimenti e consumi privati. Inoltre, l’ipotesi di una crescita del pil via export è impossibile per ragioni di struttura produttiva nazionale, e alla dinamica complessiva del reddito dei paesi di area euro. Infatti, a livello europeo è in atto una politica di austerità delle politiche pubbliche che comprimono la domanda aggregata. Il rischio è quello di ridurre l’unica domanda “effettiva” e di un “double dip”.
Non solo la domanda aggregata subisce una compressione dal lato pubblico, ma l’incremento delle tasse rendono la manovra ancor più recessiva. Le maggiori entrate legate all’aumento della tassazione, riducono la domanda potenziale di consumo per almeno 1 punto di pil. Più precisamente, la rimodulazione delle agevolazioni, del contributo di solidarietà per 300 mln, invero molto contenuto, determineranno un aggravio di spesa privata, cioè alcune spese delle famiglie saranno rimandate in ragione dell’incertezza economica. Inoltre, l’incertezza riduce la propensione marginale al consumo, oltre a peggiorare la coerenza tra il sistema fiscale italiano e spesa pubblica. Si pensi al sistema di welfare diretto (servizi) e indiretto (tasse), per non parlare dell’incapacità del sistema fiscale italiano nel ri-orientare il risparmio dall’accumulo di ricchezza agli investimenti.
I tagli ai ministeri sono pari a 6 mld per il 2012 e 2.500 mln per il 2013, anche se dalla relazione tecnica sono previsti ulteriori risparmi per 1.500 mln. Di poco inferiori sono i tagli agli enti locali. Complessivamente valgono 4.200 mln nel 2012 e 3.200 mln nel 20131. I tagli agli enti locali sono ripartiti come da tabella. Più precisamente sono 2.400 mln per le regioni SO, 3.000 mln per regioni SS e province autonome, 1.300 mln per le province e 2.700 mln per i comuni sopra i 5.000 abitanti. Come già segnalato in nota, i tagli agli enti locali sono stati ridotti di 1.800 mln.
L’aspetto sottovalutato e molto ideologico è legato alle misure di contenimento della previdenza, TFR pubblico e lavoro. Questi provvedimenti, tutti insieme, danno risparmi ben oltre il 2014, e sono del tutto irrilevanti rispetto alla manovra complessiva e rispetto al pil. Questi provvedimenti superano a malapena lo 0,001 dello stesso. Solo la posticipazione del tfr pubblico permetterebbe un risparmio di 330 mln nel 2012, 1.065 mln nel 2013 e 723 mln nel 2014.
Tagli previsti dal decreto di agosto 2011 più significativi (1) |
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Anno 2011 |
Anno 2012 |
Anno 2013 |
Anno 2014 |
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ministeri |
6000 |
2500 |
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regioni so |
1600 |
800 |
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regioni ss e province autonome |
2000 |
1000 |
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province |
700 |
400 |
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comuni sopra 5.000 abitanti |
1700 |
1000 |
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previdenza pubblico impiego |
100 |
415 |
476 |
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buona uscita pubblico impiego |
330 |
1065 |
723 |
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totale |
12430 |
7180 |
1199 |
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Dal lato delle entrate è introdotta la tassazione al 20% della rendita finanziaria, al netto dei titoli di stato, pari ad una entrata di 1.421 mln nel 2012, 1.534 mln nel 2013 e 1.919 mln nel 2014.
Tra le maggiori entrate troviamo anche l’addizionale ires per le società elettriche. Da questa entrata sono attesi almeno 1.800 mln nel 2012, che nalla relazione tecnica non trovano conferma negli anni successivi. In qualche misura il settore contribuisce ad alimentare le entrate del paese 2, ma ai più sfugge che proprio il settore dei consumi energetici, anche in virtù degli incentivi all’energia solare, da sempre ha contribuito in misura important alle entrate dello stato, via azioni e via imposte. Infatti, occorre ricordare che gli incentivi ai pannelli solari non sono erogati dallo stato, ma dai cittadini attraverso la bolletta elettrica.
Di maggiore interesse sono le misure legate agli studi di settore e alla tracciabilità. Da queste misure sono attesi 330 mln nel 2012, 231 mln nel 2013 e 2014. Sostanzialmente il governo diminuisce il limite per le transazioni in contanti, assegni e vaglia a 2.500 euro. Probabilmente una tracciabilità a 1.000 euro sarebbe molto più efficace, adottando tutti i provvedimenti legati all’obbligo di tenere l’elenco clienti-fornitori e la descrizione del patrimonio nella dichiarazione dei redditi.
Altra partita fiscale rilevantissima è legata alla ex delega fiscale su assistenza e fisco, ora inserita nel decreto legge del 13 agosto. Da questo pacchetto sono attesi maggiori entrate pari a 4 mld di euro per il 2012 e 12 mld di euro per il 2013, per un ammontare complessivo al 2014 di 20 mld di euro. Se l’operazione al governo non riuscisse scatterebbero i tagli lineari su diverse forme di detrazione pari al 5% nel 2012 e 20% nel 2013. Se accadesse, e la cosa non è improbabile, le maggiori entrate del governo valgono quasi l’intera manovra. Infatti, le detrazioni-deduzioni valgono complessivamente oltre 160 mld di euro (fonte ministero dell’economia).
Maggiori entrate previste dal decreto di agosto 2011 più significativi |
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Anno 2011 |
Anno 2012 |
Anno 2013 |
Anno 2014 |
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agevolazioni fiscali |
4000 |
12000 |
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giochi |
1500 |
1500 |
1500 |
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contributo di solidarietà irpef |
53 |
144 |
144 |
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rendita finanziaria |
1421 |
1534 |
1919 |
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studi settore |
31 |
330 |
231 |
231 |
società municipalizzate |
50 |
150 |
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addizionale ires società energetiche |
1800 |
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totale |
9104 |
15459 |
3944 |
Ci sono poi le misure di classe che non hanno nessun impatto sulla finanza pubblica, se non in misura marginale o comunque in misura sproporzionata agli effetti sociali. Il lavoro pubblico e privato è colpito non solo nei diritti cosiddetti positivi, ma anche nei diritti cosiddetti naturali-negativi. Per esempio … “Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivati dalle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga delle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali”. Persino il diritto naturale è compromesso con questo provvedimento. Come il diritto al tfr (pubblico) posticipato in ragione di vincoli finanziari. Come se il salario fosse retrocedibile in base alla disponibilità finanziaria, e non come diritto legato alla prestazione lavorativa.
Altro punto, che poco interessa l’equilibrio fiscale complessivo del paese, è l’anticipo dell’età pensionabile delle donne a 65 anni dal 2014, unitamente ad un allungamento della finestra di uscita dal lavoro di un anno e nove mesi per gli insegnanti, assieme all’aggiornamento del coefficiente che inciderà pesantemente sui tassi di sostituzione degli assegni previdenziali. Se consideriamo che tutte queste misure portano poco meno di 1 mld di euro, comprendiamo l’inutilità (finanziaria) di queste misure. Più delicata è la questione del mercato del lavoro. Tutte le misure delineate, oltre all’erga omnes retroattiva per giustificare gli accordi Fiat di Pomigliano e Melfi, che modifica persino i processi in corso, sono misure che agiscono dal lato dell’offerta di lavoro che già conta più di 35 modelli di assunzione. L’ipotesi di fondo è sempre la stessa: occorre aumentare la produttività del lavoro. Purtroppo il problema principale del sistema industriale italiano è quello di una produttività degli investimenti delle imprese pari alla metà di quello medio europeo.
Un’altra partita delicata delle misure del decreto legge sono le privatizzazioni delle public utility locali con un premio di 500 mln agli enti locali se fossero realizzate. Sono in gioco più di 5.000 società controllate dagli enti locali.
Su questo punto c’è un nodo giuridico ed economico. Il nodo giuridico è legato al referendum che era finalizzato non alla proprietà pubblica dell’acqua, ma alla pubblicizzazioni delle municipalizzate, oltre ad un vincolo europeo che ha declassato il mercato da principio a regola, ed è sempre soggetto alla fruizione del servizio stesso.
Non deve allora sorprendere che il decreto assegni agli enti locali la fattibilità della privatizzazione. Infatti, gli enti locali devono verificare la realizzabilità, non la fattibilità, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto, di una gestione concorrenziale delle public utility di rilevanza economica, compatibilmente con l’universalità e accessibilità dei servizi, limitando il ricorso al privato se non è idoneo a soddisfare siffatte finalità. Non a caso gli enti locali devono adottare una delibera che descrivere questi vincoli e inviarla, periodicamente, all’autorità garante della concorrenza. Ovviamente questa delibera deve essere predisposta prima delle procedure di conferimento del servizio. Semmai è la possibilità data a terzi di produrre siffatti servizi indipendentemente dai diritti di esclusività di gestione a destare forti dubbi. Il rischio è quello dell’affitto delle reti sul modello delle ferrovie dello stato.
Solo dopo la verifica dell’ente locale delle condizioni di concorrenzialità, per le attività già interessate al diritto di esclusività, tale esclusività vale anche per le società a capitale pubblico con la presenza di un socio privato pari al 40% del capitale, mentre per i servizi di valore uguale o inferiore a 900.000 euro, esso è realizzato solo da società pubbliche.
Affidamenti diretti cessano |
Entro il 31 marzo 2012 |
Gestioni affidate direttamente a società miste cessano |
Entro il 30 giugno 2012 |
Per servizi affidati entro il 1 ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica quotate cessano |
Entro la fine dell’affidamento stesso |
Il requisito di cui sopra vale solo se la partecipazione pubblica scende sotto il 40% e |
Entro il 30 giugno 2013 |
Sotto il 30% |
Entro il 31 dicembre 2015* |
* se questo non si realizzasse cesserebbe l’affidamento |
Se il decreto legge di agosto era caratterizzato da un sensibile incremento delle entrate fiscali, l’emendamento correttivo del relatore del decreto, in accordo con il Ministro Tremonti, assieme al maxiemendamento del 7 settembre, cambiano solo in parte il segno della manovra. Per alcuni versi diventa ancor più incerta la copertura di alcune poste, ancorché corrette con l’aumento dell’iva che dovrebbe dare maggiori entrate fiscali per poco oltre 4 mld. Infatti, prima del maxiemendamento del 7 settembre mancavo all’appello più di 4 mld di euro per centrare gli obiettivi delineati dal decreto (55 mld). Ora l’aumento dell’iva corregge il provvedimento nel suo insieme.
Le principali misure dell’emendamento con incerta copertura sono:
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La rimodulazione del contributo di solidarietà per i redditi sopra i 300.000 euro, invero molto piccolo, sul triennio (2012-2013-2014), è molto contenuto (300 per il biennio 2013-14 mln);
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La riduzione dei tagli agli enti locali (1,8 mln) coperti, come già ricordato dalla robin tax);
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L’adozione del metodo spending review nella predisposizione del bilancio dei ministeri;
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L’adozione di un pacchetto antievasione per coprire le mancate entrate legate alla cancellazione del contributo di solidarietà (261 mln da soggetti in perdita sistematica, 92 mln da società di comodo, 169 mld da società cooperative, 1.075 mln da sanzioni penali per gli evasori, 138 mln da indeducibilità beni in godimento, 145 mln da nuovi obblighi dichiarativi, 283 mln da liste di contribuenti a rischio, 143 mln da operazioni soggetti ad iva, 145 mln da premio a PMI che non usano);
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Aumento di un punto dell’IVA dal 20 al 21%, per maggiori entrate pari a oltre 4 mld di euro.
Alcune coperture sono in qualche modo incerte (le entrate da evasione non si dovrebbero mai quantificare), mentre la riduzione dei tagli agli enti locali (da 6 mld a 4,2 mln) sono legate ad una partita di giro.
Al momento, le uniche entrate certe sono quelle legate alla revisione delle detrazioni-deduzioni fiscali legate all’assistenza e all’iva, che sono già indicate nel decreto. Insieme valgono più di 25 mld di euro.
Il grosso della manovra rimane centrato sulla riorganizzazione delle agevolazioni fiscali pari a 20 mld di euro, come ben esplicitato all’art. 1, comma 6 che prevede la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa, qualora non fosse per tempo delineata la rimodulazione delle agevolazioni.
Inoltre sono confermate tutte le addizionali locali. Insomma, la manovra correttiva è profondamente recessiva, tanto è vero che il quadro macroeconomico è compromesso. Il pil sicuramente subirà una contrazione che farà crescere l’indebitamento netto del paese come percentuale del pil. Dovremmo allora fare un’altra manovra correttiva tra 5-10 mld di euro a fine anno?
1 Con l’emendamento del relatore del decreto, i tagli agli enti locali sono stati ridotti di 1.800 mln, ma solo per il 2012. 2 Che compenseranno i tagli agli enti locali.