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La guerra in cinque capitoli 

Sono 56 le guerre in corso, la Palestina è il luogo più pericoloso del mondo, l’Ucraina rimane sotto le bombe e tra il 2023 e il 2024 i conflitti sono aumentati del 25%. Andrà sempre così? Esiste una logica diversa? E chi ci guadagna?

C’è una guerra che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, tra India e Pakistan. Visto dal nostro Occidente che si ritiene, tutto considerato, pacifico e riluttante a farsi coinvolgere negli sconvolgimenti di altri mondi, è un rischio che appare lontano. Noi chiacchieriamo soltanto – con un po’ di distacco – di altre vicende che sorgono, crescono, si arroventano e si consumano sotto il sole, nel fuoco. Un catalogo ben ordinato registra però, oggi, 56 guerre in corso, ed è difficile non incappare in una o più di esse.  

56 guerre in corso. Secondo i dati dell’Acled, un recente gruppo di ricerca, i conflitti sono aumentati del 25% tra 2023 e 2024. L’anno scorso ci sono stati 200.000 eventi di violenza politica. La Palestina è il luogo più pericoloso al mondo, con i civili esposti a bombardamenti e incursioni quotidiane che hanno causato oltre 35.000 morti negli ultimi 12 mesi. L’Ucraina rimane il conflitto più letale a livello globale e il Myanmar è alle prese con il conflitto armato non statale più frammentato. Oltre 233.000 morti è una stima prudente dei decessi provocati da questi conflitti nel 2024. Ma è sempre andata così? Andrà sempre così?

Atene e Melito. Parla Atene: “Noi crediamo (infatti) che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza” (Tucidide, La guerra del Peloponneso, libro V). Gli emissari di Atene discutono con quelli di Melito che è compromessa con Sparta, nemica di Atene. 

La scelta è tra la resa e la schiavitù di uomini donne e bambini con distruzione della città, oppure resa, distruzione della città, schiavitù per donne e bambini e morte degli uomini. Era l’esito abituale, scontato delle guerre antiche; ciò che rende il testo di Tucidide notevole è appunto la descrizione, senza fronzoli, del pensiero ateniese, o dei più forti, con parole precise, piuttosto convincenti che descrivono uno stato di fatto noto a tutti. Una legge di natura – o come diranno poco dopo i filosofi: un diritto naturale, non più divino, – che tutti gli uomini applicano, di necessità. Per altri duemila anni, in Occidente, si è andati avanti così, con Atene in cattedra e brevi digressioni affidate per lo più a filosofi. La storia del mondo è stata questa: i forti hanno piegato i deboli e costruito, distruggendo e rubando, il domani di tutti. Il mondo, secondo Tucidide, era andato avanti così, da sempre, dal tempo degli dei e degli eroi; in futuro sarebbe andato allo stesso modo. 

Il pensiero è condiviso non da tutti ma ancora da molti – se possiamo immaginare, come esempio, la filosofia degli industriali di guerra, come i fabbricanti svizzeri di casseforti – che hanno costruito la propria fortuna sulla preoccupazione altrui. Possiamo immaginare un pensiero di cose di guerra che evocano la pace? Sembra un’idea balzana, ma pure è esistita e ha prodotto copiosi frutti. Con Bunker Swiss, per esempio.

Bunker Swiss. AAACasseforti svizzere”. “Conflitti globali nel 2025: l’aumento degli scontri armati, la frammentazione degli Stati e l’escalation delle tensioni geopolitiche raggiungono una soglia critica. Dati recenti rivelano un costante aumento delle perdite umane, degli sfollamenti di massa e delle infrastrutture distrutte. Mentre i conflitti di più alto profilo monopolizzano l’attenzione, altre crisi rimangono ignorate, privando le loro vittime del sostegno internazionale. In questo contesto fragile, Bunker Swiss offre soluzioni sicure e sostenibili, garantendo protezione contro le incertezze future”. E’ questa la pubblicità in rete di Bunker Swiss.

Bunker è un’importante impresa elvetica che produceva e produce con successo difese contro ogni sorta di guerra o di altri gravi disagi per le persone qualsiasi, soprattutto svizzere, ma non solo, per consentire loro di mettere al sicuro vite e beni nelle situazioni di pericolo. 

Nella pubblicità che si trova in rete sono descritti i modi e gli impianti elaborati contro i mali e le vicissitudini della guerra per mettere al sicuro vite e ricchezze degli abbonati: bauli di acciaio rinforzato, cantine sicure fornite di caldo e freddo, aria, acqua corrente, servizi igienici e scatolette a volontà. E perfino interi fortini attrezzati. Risulta insomma un’idea portante: la tranquillità ha un prezzo, e soprattutto in caso di disordini interni o diatribe internazionali, è sempre meglio prepararsi, con una spesa tutto considerato affrontabile, se paragonata con la disponibilità finanziaria della persona interessata e con gli averi da salvare e/o da assicurare. In altre parole, anche la guerra ha dei costi che alcuni possono o pensano di affrontare meglio di altri. Tra le più accattivanti offerte di Bunker: c’è quella della messa in vendita dei fortilizi militari che offrono sicurezza assoluta e alloggi prestigiosi. “In effetti investire in un forte militare in Svizzera è una decisione strategica”. Tra tutti gli altri vi sono settori ancora più pericolosi e però raggiungibili da pochi con soluzioni abbastanza efficaci. C’è per esempio il caso dell’arma atomica. Viviamo in un tempo in cui le grandi potenze nucleari hanno moltiplicato la spesa per rafforzare la posizione relativa, nonostante gli accordi generali in senso opposto. 

Noi di Bunker Swiss comprendiamo l’importanza della sicurezza e in un mondo incerto. I nostri sistemi in scatola di montaggio offrono soluzioni affidabili e adatte a chi aspira a essere pronto di fronte a simili possibili minacce. Le nostre proposte sono tali da garantire la vostra sicurezza e quella dei vostri congiunti”.  D’altra parte, la nostra clientela, esigente e tutti voi, Desiderosi di prestigio, troverete qui “una soluzione per ottenere una sicurezza assoluta”. In effetti, “investire in un forte militare in Svizzera è una soluzione strategica. Oltre alla funzione di protezione, tali proprietà offrono prospettive interessanti” C’è dunque l’offerta irresistibile: “Forti militari in vendita. Il vostro forte militare in Svizzera per una protezione privata o commerciale”.  

Il sangue, la vita che scorre via, nella guerra di speculazione dei tempi che passano, è una realtà remota, forse una favola, esistente solo nelle filastrocche per i bambini. Contano invece i franchi (o i dollari, in contanti o in assegni circolari), i fortini, da comprare, vendere, affittare. Come ogni altra attività umana, ciò che conta è comprare: fregate militari; o vendere: fortini; o fabbricare: bombe atomiche, o rifugi antinucleari; e ricavarne in ogni caso un utile. Tutto il ben-di-dio svizzero difende – a pagamento, chi se lo può permettere – dai guasti della guerra. 

Naturalmente c’è un’attività fiorente anche per chi fabbrica le armi della guerra e riveste gli armati di difese opportune. Certe istituzioni e banche ne ricavano il massimo dei profitti finanziando i fabbricanti di morte. 

Banche di guerra. Il rapporto “Finanza per la Guerra. Finanza per la Pace” della Fondazione FinanzaEtica ci ricorda che «Tra 2020 e 2022 le istituzioni finanziarie – comprese le banche maggiori, le grandi compagnie di assicurazione, i fondi d’investimento, i principali fondi sovrani, e talune istituzioni pubbliche – hanno sostenuto l’industria della difesa con un esborso di almeno 1.000 miliardi di dollari. Tra gennaio 2021 e agosto 2023 valori di almeno 820 miliardi di dollari sono stati messi a disposizione da parte di 287 istituzioni di grande spicco alle 24 imprese pubbliche implicate nella fabbricazione di armi nucleari». Le armi nucleari, le bombe, sono strumenti di guerra preventiva e fuori controllo. La vendetta – si manda a dire al nemico – è assolutamente scontata. Se mi colpisci pagherai un prezzo che i figli dei figli dei figli dei tuoi concittadini continueranno a pagare nel loro paese devastato dalla mia vendetta, maledicendo il tuo nome e la tua memoria nel tuo paese ormai fatto “deserto, quando, infine, ci sarà la pace”.  

Il testo che spiega la finanza che finanzia la guerra è facile da capire. Nonostante gli scarsi dati disponibili e la debole trasparenza del settore, sembra chiaro che il sistema finanziario globale sia decisivo nella produzione di armi e nel commercio relativo, facilitando, per conseguenza, i conflitti armati. Investire in armamenti sembrerebbe un’attività priva di rischi e assai proficua. I risultati finali delle imprese della difesa sono volatili e dipendono dalle commesse degli Stati che a loro volta sono connesse alle tensioni geopolitiche internazionali. Inoltre gli affari nel settore della difesa sono soggetti a corruzione. Secondo un rapporto Sipri, l’industria militare è responsabile d più del 40 per cento della corruzione mondiale. Pigliamo il dato per buono. Salta agli occhi una doppia vergogna, se possiamo una volta tanto moraleggiare: si direbbe che c’è chi non si accontenta di trafficare in oggetti mortali,  come bombe o beni immobili immortali, come i fortini, ma sceglie anche di lucrare un sicuro vantaggio, corrompendo finanza e governi, rubando compensi e mance, chiedendo tangenti sui prezzi delle merci e degli immobili che si comprano o vendono (per dare la morte, o evitarla a pagamento per quanto è possibile). Un filosofo che ha cercato di suggerire qualche rimedio a questa antichissima vergogna è Immanuel Kant.

Kant e la Pace perpetua. La parte prima contiene l’articolo preliminare per la pace perpetua tra gli Stati, che tocca sei punti:

  1. “Un trattato di pace non può valere come tale se viene fatto con la segreta riserva di materia per una futura guerra”.
  2. “Nessuno Stato indipendente (non importa se piccolo o grande) può venire acquisito da un altro Stato tramite eredità, scambio, vendita o dono”.
  3. “Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono con il tempo scomparire del tutto”
  4. “Non devono essere fatti debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello Stato”.
  5. “Nessuno Stato può intromettersi con la violenza nella costituzione e nel Governo di un altro Stato”. 
  6. “Nessuno Stato in guerra con un altro si può permettere ostilità tali da rendere necessariamente impossibile la reciproca fiducia in una pace futura: per esempio l’impiego di assassini (percussores), di avvelenatori (venefici), la violazione di una capitolazione, l’organizzazione del tradimento (perduellio) nello Stato nemico, ecc.”

Non so fino a che punto chi non è uno studioso del pensiero kantiano abbia avuto l’occasione di riflettere su queste frasi, o almeno su alcune parole. Si pensi alla “segreta riserva” del primo articolo: anche in guerra è necessaria la lealtà, col nemico; altrimenti non se ne viene a capo mai. Si pensi alla parentesi del secondo punto (“non importa se piccolo o grande”); non viene forse in mente la Groenlandia, gigantesca per territorio e minuscola per abitanti e Donald Trump che pretende di annetterla? Si pensi ancora alla condanna di “assassini, veleni, tradimenti” tra due Stati in guerra del sesto punto, perché salterebbe la reciproca fiducia “in una pace futura”. E ancora come non riflettere sul no a eserciti permanenti, oppure ai debiti pubblici fatti per riarmare?

La condanna di Kant per la guerra perpetua è un rimprovero che meritiamo. In effetti noi umani, maschi e femmine, che viviamo e prosperiamo, e lottiamo e soffriamo nei secoli del dopo Kant, noi continuiamo a sbagliarci in tema di guerra e pace. A volte diciamo di aborrire la guerra, ma non è sempre vero, forse non è quasi mai vero. Prima e dopo Kant, (in tre quarti del mondo non sanno o hanno dimenticato il suo insegnamento) la guerra, come conquista, come orgoglio, come vendetta, come rivincita, è presente tra noi umani. 

Qualche studioso ha anche catalogato alcuni motivi per fare la guerra. Ne ha indicati e descritti scientificamente cinque. Possesso delle risorse e dell’energia; economia fiorente; pressione demografica; aspetti culturali; cambiamenti nel contesto e crisi climatica.  La storia della storia è talvolta complicata da qualche contro-storia che suscita curiosità e talvolta disagio. Ogni studente delle antiche classi elementari italiane sa tutto della ‘Crimea’ e della sua importanza nel ‘Risorgimento Italiano’. Camillo Benso di Cavour partecipò con reggimenti sardi alla guerra tra francesi, inglesi e turchi contro i russi per il possesso della penisola del mar Nero. Con qualche centinaio di caduti all’attivo Cavour contava di partecipare alla futura immancabile Conferenza per la pace e negoziare la partecipazione francese alla futura Seconda Guerra d’Indipendenza contro l’Austria, per ottenere la Lombardia e Milano; e in seguito, con la terza guerra, sempre contro Vienna, ma con un alleato diverso, e un diverso uomo di Stato, si ebbe Venezia (nel frattempo, tra le due guerre, vi furono i plebisciti in varie regioni d’Italia, la spedizione dei Mille di Garibaldi contro il Regno delle Due Sicilie e la rivoluzione popolare contro i Borboni a Napoli). Mancava solo Roma. Anche per Roma si fece la guerra. In effetti, come si è accennato più sopra, i competenti elencano Cinque motivi per fare guerra e nel corso dell’indipendenza risorgimentale vi sono tutti, volta per volta. 

Senza vergogna, anzi con un po’di presunzione ne scrive per esempio un pensatore moderno, un filosofo e psicoterapeuta junghiano, James Hillman, con uno scritto di venti anni fa dal titolo “Un terribile amore per la guerra”, edizioni Adelphi. Hillman offre una rassegna senza speranza dell’amore umano per le armi. Però ogni tanto offre uno squarcio meno triste della nostra storia umana. Nella storia millenaria e battagliera del Giappone se ne presenta uno.

Digressione e finale: deporre le armi

Un bellissimo esempio di limitazione delle armi da fuoco è quello fornito dal Giappone tra il 1543 e il 1879. E’ un fenomeno forse unico nella storia mondiale, eppure se ne parla poco. Le armi da fuoco furono introdotte in Giappone nel 1543 da tre portoghesi (pirati? soldati di ventura? mercanti?) che andavano a caccia di anitre. Un signorotto locale comprò le spingarde e si fece insegnare ad usarle”. (…) “Ora facciamo un salto di tre secoli, fino al 1853. Quando arrivò l’ammiraglio, Perry e fu firmato il trattato di Kanagawa che segnò l’apertura del Giappone al commercio estero e all’influenza occidentale, di armi da fuoco nemmeno l’ombra!