È sensato guardare con favore all’enorme programma di riarmo della Germania, paese dove un partito nazionalista di estrema destra è al secondo posto col 21 per cento dei voti e ritiene che Berlino abbia ormai diritto alla sua atomica? Quale certezza abbiamo per il futuro che l’esclusione di Afd dalle leve del potere continui a […]
I Grünen si sono giocati, prima di inabissarsi in un incerto futuro, l’ultima carta politica di cui ancora disponevano nel vecchio Bundestag: la chiave per raggiungere la maggioranza dei due terzi e aprire così la cintura di castità costituzionale di cui la Germania si era dotata in epoca Merkel contro ogni lussuriosa tentazione di incrementare il debito pubblico. Lasciando in questo modo deperire disastrosamente le infrastrutture del paese e creando tutte le condizioni per il ristagno e la recessione, puntualmente intervenuta non appena i fattori più vantaggiosi dell’assetto internazionale sono venuti a mancare. A tutto guadagno dell’estrema destra dell’Afd.
Con la solita scusa del bene delle future generazioni, cui in realtà si stava preparando un mondo climaticamente insostenibile, socialmente deperito e ora anche “pronto alla guerra”, la Schuldenbremse, il “freno al debito”, metteva in realtà al sicuro il presente della rendita finanziaria, gli interessi immediati così come gli eterni principi morali dei risparmiatori tedeschi. Gli stessi a cui ora la Ue chiede di far circolare i loro gruzzoli tesaurizzati e protetti dalla Bundesbank nel mercato dei capitali produttivi, (di armamenti in primo luogo).
È quanto si propone il piano biennale messo a punto dalla Commissione e denominato «Unione dei risparmi e degli investimenti».
Termina così, con una sfrontata e arbitraria inversione di rotta, l’austera ristrettezza lungamente imposta dalla Germania e altri paesi frugali del nord, (oggi affetti da bulimia militare), all’intera Europa. Il modello tedesco arrancava già da un po’ insidiato da diversi fattori di crisi e da crescenti tensioni sociali, ma senza il riarmo dettato dall’incombenza di una presunta minaccia non sarebbe stato possibile disinnescare il micidiale “freno al debito”, la cui ottusa difesa da parte dei liberali aveva condotto alla paralisi, alla caduta del governo Scholz e infine alle elezioni anticipate. L’economia di guerra, fin dalle sue premesse e dalle fasi preparatorie, condivide con la dimensione finanziaria una condizione di “necessità” che la mette al riparo dalle interferenze democratiche, collocandola in una sfera decisionista che sovrasta i cittadini e non poche regole della normalità istituzionale. Si tratta, se vogliamo, di due forme diverse ma imparentate di virtuoso sacrificio.
Nondimeno Ursula von der Leyen si è sentita in obbligo di cimentarsi in quella trita retorica secondo la quale non vi è libertà senza sicurezza né sicurezza senza forza. Narrazione ripetutamente smentita dalle innumerevoli restrizioni della democrazia e delle libertà politiche e individuali imposte in nome della sicurezza o, ancor di più, dell’emergenza.
Il compito prioritario della Ue sarebbe, secondo la presidente tedesca della Commissione, prepararsi alla guerra attraverso la costruzione di una forza che, si spera, la scongiuri grazie a un effetto di deterrenza. Sembrerebbe un pensiero di lungo respiro, ma è invece tutto calibrato sulla contingenza della politica americana e della guerra di Putin contro l’Ucraina, dunque su un quadro assai meno stabile e controllabile di quello della guerra fredda. Nel quale nessun governo europeo, a partire dal protagonismo bellicista di Londra e Parigi, dà sufficienti garanzie di prudenza. Alla Russia si imputa, senza in alcun modo argomentarlo razionalmente, un disegno espansionistico in Europa occidentale.
Ma semmai Mosca intendesse incrementare la sua influenza in Europa potrebbe farlo, non diversamente da Trump e Musk, attraverso le forze nazionaliste che crescono nel Vecchio continente, nonché tramite i diversi strumenti di interferenza e manipolazione di cui dispone e che nessun arsenale saprebbe contrastare. A condurre la guerra, quella effettivamente in corso contro l’Unione europea, oltre al grifagno nazionalismo imperiale di Trump, sono le destre estreme che dall’Europa si aspettano soprattutto una cornice di garanzia e di difesa delle prerogative nazionali, nonché la riaffermazione ideologica della superiorità culturale eurocentrica, concretamente tradotta in respingimenti ed espulsioni. Forze politiche sempre pronte a sospendere ad ogni minima occasione la libera circolazione stabilita dal trattato di Schengen, a calpestare i pronunciamenti indesiderati delle corti europee e ad ostacolare qualsiasi evoluzione politica o sociale dell’Unione.
È sensato riempire di armi uno spazio politico che presenta queste caratteristiche? È sensato guardare con favore all’enorme programma di riarmo della Germania, paese dove un partito nazionalista di estrema destra è al secondo posto col 21 per cento dei voti e ritiene che Berlino abbia ormai diritto alla sua atomica? Quale certezza abbiamo per il futuro che l’esclusione di Afd dalle leve del potere continui a tenere? O che l’arsenale atomico francese non finisca nelle mani del Rassemblement national? Sono rischi ben più concreti di un’invasione russa o forse il modo in cui qualcosa di simile potrebbe effettivamente attuarsi.