Il “patto fiscale” di Bruxelles impone a tutta Europa la “dottrina tedesca” dell’austerità. La vittoria di Merkel è una sconfitta per Monti e per l’Europa. Per rispettare gli impegni su debito e deficit, l’Italia dovrebbe ridurre di un sesto la spesa pubblica: una politica che devasterebbe l’economia e la società, e porterebbe a una grande […]
Nelle pieghe del “Patto fiscale” accettato lunedi a Bruxelles da 25 dei 27 paesi Ue (Londra e Praga esclusi) c’è una grande vittoria politica per Angela Merkel. La “dottrina tedesca” dell’austerità è diventata un obbligo per l’Europa; il pareggio di bilancio sarà scolpito nelle Costituzioni di tutti gli stati, sui deficit e sull’obbligo di riduzione del debito avrà poteri la Corte di Giustizia europea: “i limiti al debito saranno vincolanti e validi per sempre” ha dichiarato il cancelliere, “non si riuscirà mai a cambiarli attraverso maggioranze parlamentari”. Grazie a questa vittoria, Merkel avrà il consenso dei tedeschi alla concessione del secondo finanziamento d’emergenza ad Atene, 130 miliardi di euro entro marzo, senza il quale la Grecia smetterebbe di funzionare.
Lo sconfitto più immediato è Mario Monti. La nuova credibilità dell’Italia ha ottenuto soltanto modifiche minime al “Patto fiscale” e, facendo i suoi conti, il nostro Presidente del consiglio ha misurato ieri le dimensioni della sconfitta. Quest’anno l’Italia sperava di avere un Prodotto interno lordo intorno a 1.600 miliardi di euro; secondo il Fondo monetario internazionale la recessione lo farà cadere del 2,2%, circa 35 miliardi in meno. Su una spesa pubblica vicina a 800 miliardi di euro, la recessione potrebbe significare 15 miliardi di minori entrate fiscali, e altrettante potrebbero essere le maggiori spese dovute al rialzo dei tassi d’interesse sui 1.900 miliardi di debito pubblico italiano. L’impegno accettato a Bruxelles di rimborsare un ventesimo del debito l’anno vorrebbe dire per l’Italia 95 miliardi di euro di spesa ulteriore: in tutto 125 miliardi sottratti al bilancio dello stato rispetto al 2011: un sesto dell’intesa spesa pubblica, una cifra enorme. Si può stimare che metà del rimborso del debito vada a creditori stranieri, sottraendo risorse al paese: la caduta del Pil a questo punto sarebbe dell’ordine del 6%, senza calcolare gli effetti indiretti del calo di redditi, spesa pubblica e consumi. L’Italia smetterebbe di funzionare.
I dati di ieri sulla disoccupazione record in Italia non sono che l’inizio di un bollettino di guerra che potrebbe arrivare a oltre 800 mila posti di lavoro perduti, soprattutto nell’industria. A fronte di questo crollo dell’occupazione, da Bruxelles è venuto un “piano per la crescta e l’occupazione” che si affida a 82 miliardi di euro di avanzi di bilancio, di cui 8 miliardi per l’Italia. Una proposta ridicola. Questi conti non si trovano nelle dichiarazioni dei ministri, ma danno la misura del rischio di grande depressione provocata dalla “dottrina tedesca”. Siamo davvero alla ripetizione di tutti gli errori degli anni trenta.
Tutto questo in un anno che dovrebbe portare alle elezioni politiche italiane. Con un ulteriore, massiccio impoverimento di lavoratori e classi medie, il paese potrebbe andare in pezzi. Potrebbe scoppiare una reazione populista antieuropea, cavalcata da centrodestra e Lega. La democrazia sarebbe a rischio. E, come l’Italia, potrebbe andare in pezzi l’Europa.
A meno che. Siamo ancora in tempo per fermare la “dottrina tedesca”. Perché non convocare a Roma un vertice dei paesi europei senza Berlino, per accordarsi su politiche diverse? Perché non convocare un incontro delle opposizioni ai governi di Merkel e Sarkozy per lanciare una politica alternativa alla grande depressione?
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