Nel nuovo piano della regione guidata da Roberto Maroni, il trasporto su gomma torna ad essere l’asse portante della mobilità, in barba alle linee guida europee e al flop della Brebemi
Non se ne sono accorti in molti, ma nel settembre scorso è stato varato il piano dei trasporti della regione Lombardia, guidata dal leghista Roberto Maroni. Un documento ambizioso, che rimedia a 34 anni di vuoto programmatorio con una lista ipertrofica di opere e, soprattutto, con una colata di asfalto come non se ne vedevano dagli anni Sessanta. Il fatto è degno di nota, anche perché rischia di fare scuola nel resto del paese. Quanto poi sia realistica la furia asfaltatrice della giunta Maroni è un tema di cui si occuperanno le prossime generazioni, magari per coprire i buchi lasciati dagli attuali amministratori. Intanto però, in un sostanziale silenzio mediatico, il trasporto su gomma torna ad essere l’asse portante della mobilità in Lombardia, in barba alle linee guida europee su trasporto e ambiente e del tutto incuranti del flop di Brebemi, Tangenziale Esterna (Teem) e Pedemontana (lotti A e B1), tre autostrade costate quasi 10 miliardi di euro e ben lontane dal pareggio di bilancio.
Lo dicono anzitutto i numeri. Nei prossimi anni sono previste 331 km di nuove autostrade, su 715 di dotazione esistente (+46%), incluse arterie che sembravano estinte naturalmente come la Cremona-Mantova o la Broni-Mortara (bocciata recentemente anche dal Governo in sede di valutazione ambientale). Costo complessivo: 10,9 miliardi, di cui 3,5 provenienti da Stato, Regione o Anas, cioè dalle tasche dei cittadini. Il resto dovrebbe arrivare dalla banche, che al momento non si sognano nemmeno di mettere soldi su operazioni (quasi certamente) in perdita.
Nel complesso, strade e autostrade assorbiranno 17,6 miliardi di investimenti, dei quali 15,9 per nuovi lavori (cioè non riferibili a opere già cantierate). Ben 7,7 miliardi saranno soldi pubblici provenienti, nell’ordine, da Anas (quasi la metà), Stato, Province, Città Metropolitana, Serravalle e Regione.
Alle ferrovie invece sono destinati 15,9 miliardi, di cui solo 7,3 per nuovi lavori, ossia programmati dalla Regione. Ma ben 8,2 miliardi finiranno all’Alta velocità Treviglio-Verona e Milano-Genova e 11,7 miliardi saranno a carico delle ferrovie nazionali (Rfi). Altri 2 miliardi andranno al solo nodo di Milano e 1,2 miliardi al rinnovo del materiale rotabile. Dunque per le tratte locali, quelle di gran lunga più utilizzate e con trend in costante crescita, sono previsti 7,7 miliardi, incluse opere contestate ed impattanti come il traforo del Mortirolo (300 milioni).
È evidente che alla “cura del ferro” lanciata (per ora in gran parte a parole) dal ministro delle infrastrutture Graziano Delrio, la giunta lombarda preferisce la collaudatissima “cura dell’asfalto”.
E’ appena il caso di ricordare che la Svizzera ha appena inaugurato il tunnel ferroviario di base del Gottardo, il più lungo del mondo, e nel 2020 aprirà quello del Ceneri: entrambi scaricheranno sulla linea transfrontaliera Italia-Svizzera fino a 260 treni merci al giorno (oggi sono 180) e già nel 2020 i convogli giornalieri merci e passeggeri saliranno a 390, 100 in più rispetto ad oggi. Per reggere in sicurezza tali flussi è previsto il quadruplicamento della Chiasso-Milano e il raddoppio di alcune tratte sulle direttrici Luino-Gallarate e Luino-Novara. Il costo previsto è di 4,2 miliardi (1,4 per la Milano-Chiasso) ma c’è un problema: in cassa ci sono solo 175 milioni, appena sufficienti per adeguare le infrastrutture al passaggio di treni più lunghi e pesanti dal Nord Europa. Insomma, se ne riparlerà nel 2023, sempre che si trovino i soldi, con taglio del nastro nel 2030.
Ma per restate all’oggi, si fatica a trovare anche 1,5 miliardi per rimettere a nuovo i treni locali, spesso fermi o in ritardo per la vetustà del materiale rotabile. Un ragionamento analogo potremmo farlo per la manutenzione delle strade ordinarie, di cui si dibatte in questi giorni dopo il crollo del ponte sulla statele 36 Milano-Lecco, per le quali quali lo Stato centrale ha destinato appena 250 milioni. Al contrario, sulla triade Brebemi-Pedenmontana-Teem, Stato e Regione hanno già messo sul piatto la cifra monstre di 1,95 miliardi. Questione di priorità.
E visto che, tornando al piano regionale, sulle ferrovie mancano all’appello 9,7 miliardi e sulle strade 10,5 miliardi, di cui 5,5 pubblici, bisognerà fare delle scelte, uscendo per un attimo dal libro dei sogni nel quale sembra caduta la giunta lombarda. E a quanto pare la strada, appunto, sembra tracciata: autostrade e alta velocità.
A meno di pensare che davvero abbiamo bisogno di 330 km di nuove autostrade. Ironia della sorte, a smentire questa ipotesi è in gran parte la stessa Valutazione ambientale strategica allegata al piano regionale, che dovrebbe giustificarne le scelte ma finisce per contraddirle. Con dovizia di numeri e grafici essa ci mostra come nell’ultimo quindicennio sia cresciuto sensibilmente l’uso del treno – grazie anche alle nuove linee suburbane – mentre si sono ridotti gli spostamenti in auto. E, dato interessante, i comuni maggiormente serviti dal trasporto pubblico e dalla ferrovia presentano un minor tasso di motorizzazione. Come a dire: quando c’è un servizio pubblico che funzione la gente è ben disposta a rinunciare all’auto.
Occorre poi sfatare il mito del cosiddetto “gap infrastrutturale”.L’Italia ha una densità autostradale (km rispetto alla superficie) pari a quasi tre volte la media europea, ma la Lombardia è al terzo posto in Europa con 30 km ogni 1000 km quadrati, dopo Germania e Paesi Bassi. Con le nuove arterie salirebbe al secondo posto, distanziando abbondantemente i tedeschi. Ma a costo di autostrade deserte, nuovo debito pubblico, aria inquinata e almeno 8.000 ettari di suolo compromesso, in un’Europa che sta andando in tutt’altra direzione. Se questa è l’eccellenza lombarda.
Roberto Cuda è autore di “Anatomia di una grande opera. La vera storia di Brebemi”, ed. Ambiente