“Molti hanno la tentazione di premere sul tasto di reset e riavviare l’ancient regime. Ma solo un profondo cambiamento del sistema potrà farci uscire dalla crisi”. Parla Gerald Epstein, uno degli autori di A progressive program for economic recovery and financial reconstruction
“Una completa revisione dell’economia globale”, basata sulla bonifica della finanza e la ricostruzione dell’economia reale. Queste le proposte di Gerald Epstein. Che parte da un’analisi del fallimento del pensiero neoliberista: “Negli Stati Uniti, ma questo vale per tutto il mondo, le politiche economiche neoliberiste hanno creato enormi disuguaglianze sociali negli ultimi trent’anni. L’1% della popolazione in questo periodo è diventato estremamente ricco, mentre la maggior parte della gente non ha visto aumentare i propri salari. Inoltre sono stati smantellati i servizi pubblici per sostenere i tagli alle tasse dei più ricchi. Così è successo che le persone, per essere in grado di pagare per l’assistenza sanitaria, per l’istruzione, per avere un alloggio e per le proprie necessità hanno dovuto prendere in prestito dei soldi che poi non sono stati in grado di restituire. E’ interessante notare come oggi la distribuzione del reddito negli Stati Uniti sia peggiore di quella del 1929, prima della grande depressione. Adesso tutto questo sistema che si basava sul debito sta cominciando a crollare, anche perché la deregolamentazione dei mercati ha portato, contemporaneamente, ad enormi speculazioni finanziarie, come nel caso di Bernard Madoff. In merito a questo vorrei evidenziare due cose. La prima è che se la crisi si fosse limitata al settore finanziario sarebbe stata rapidamente arginabile, ma avendo velocemente contagiato l’economia reale la situazione che si è prodotta è molto preoccupante. La seconda è che questi stress economici se non affrontati hanno pesanti ricadute sociali. Molti studi dimostrano che sono queste le condizioni in cui aumentano l’odio razziale, gli abusi sui minori e la violenza contro le donne”.
Il pacchetto di misure elaborato dalla nuova amministrazione statunitense prevede forti investimenti nel sociale, oltre che in altri settori, lei crede che si stia andando nella giusta direzione?
“E’ presto per dire se le misure adottate si riveleranno davvero efficaci. A dire la verità non so neanche se il finanziamento stabilito (787 miliardi di dollari n.d.r.) sarà sufficiente, in molti hanno dubbi in proposito. Tuttavia credo che si stia imboccando la strada giusta investendo sulla sanità, sull’istruzione, sulla creazione di posti di lavoro nell’economia verde che aiuteranno gli Stati Uniti a effettuare una transizione verso un’economia meno basata sui combustibili fossili. Purtroppo, al fine di ottenere sostegno politico, questo pacchetto prevede una riduzione delle tasse che non credo avrà alcun effetto nello stimolare l’economia reale e creare nuovi posti di lavoro”.
Dove crede che verranno trovati i fondi per finanziare lo stimulus package? Gli Stati Uniti si sono già pesantemente indebitati a livello internazionale per sostenere le guerre in Afghanistan e in Iraq.
“Nessuno lo sa veramente. Io sono cautamente ottimista, perché credo che, se il pacchetto di misure adottato da Obama funzionerà, gli Usa torneranno ad essere un mercato dove sarà vantaggioso investire denaro. Certo, se queste misure si riveleranno inefficaci, gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare un grosso problema non avendo più nessuno disposto a prestare loro il denaro necessario a uscire dalla crisi”.
Gran parte della crisi è dovuta alla deregolamentazione dell’economia, secondo lei sarà possibile arrivare ad una nuova regolazione in materia, soprattutto a livello internazionale?
“Oggi molti governi stanno cercando di premere il tasto di riavvio del sistema economico cercando di salvare l’ancien regime, ma questa è una crisi che ha radici profonde, fondate sulle politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni, ed è necessaria una completa revisione dell’economia globale se non vogliamo trovarci di nuovo in una situazione così disastrosa. Io credo che sia necessario agire a più livelli. In primo luogo riformando e rendendo più democratiche istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale che hanno imposto scelte di politica economica neoliberiste in tutto il mondo con grave danno soprattutto per i Paesi del sud. Poi è necessario pensare a forme di integrazione economica regionale basate su un indirizzo economico di tipo sociale, un buon esempio è quello che sta avvenendo in America Latina con la creazione del Banco del Sud. Infine bisogna regolare e tassare i mercati finanziari”.
In che modo?
“Questo sarà possibile solamente rendendo pubbliche le agenzie di rating che, avendo avallato con alti punteggi i cosiddetti titoli spazzatura, sono tra le principali responsabili della crisi. Inoltre sarà necessario istituire dei fondi volti a dare agli Stati la possibilità di intervenire attivamente nell’economia, anche nazionalizzando le aziende in crisi, attraverso la tassazione delle transazioni finanziarie. Infine, e questa è la sfida più grande, chiudendo paradisi fiscali come quelli del Lussemburgo, delle isole Gran Cayman, o delle Bermuda. La sfida è portare tutti i mercati finanziari sotto un unico ombrello normativo fondato sulla trasparenza e la chiusura dei paradisi fiscali farà sì che nessuno potrà sfuggire alle leggi. Io credo che, se faremo tutto questo, ci saranno buone possibilità di non dover fronteggiare ancora una volta una crisi finanziaria terribile come questa”.
Gerard Epstein è professore di Economia alla University of Massachusetts – Amherst e condirettore del Political Economy Research Institute (PERI). Ha studiato a lungo le questioni legate alla finanziarizzazione dell’economia globale. Uno dei suoi ultimi lavori è Financialization and the World Economy (Edward Elgar Press 2004). Epstein ha recentemente collaborato alla stesura di un documento firmato da numerosi economisti contenente proposte per uscire dalla crisi (A progressive program for economic recovery and financial reconstruction) ed è stato invitato a parlarne in Italia dalla Fondazione Basso–Sezione Internazionale.