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La crisi dell’Unione Monetaria e le relazioni centro-periferia in Europa

La crisi dell’eurozona ha disvelato in modo eclatante i limiti e le imperfezioni dell’attuale assetto delle relazioni istituzionali, economiche e monetarie in Europa. La crisi dell’EZ ha radici lontane. Amartya Sen, con mirabile sintesi, inquadrava la crisi del progetto europeo come una sorta di “punizione” derivante da errori di varia natura www.eticaeconomia.it

La crisi dell’eurozona (EZ) ha disvelato in modo eclatante i limiti e le imperfezioni dell’attuale assetto delle relazioni istituzionali, economiche e monetarie in Europa. La crisi dell’EZ ha radici lontane. Amartya Sen, con mirabile sintesi, inquadrava la crisi del progetto europeo come una sorta di “punizione” derivante da errori di varia natura: (i) di policy (l’anteposizione dell’unione monetaria a quella politica); (ii) di teoria economica (l’aver trascurato la lezione keynesiana abbracciando in modo via via più radicale un approccio ‘supply side’ alla politica economica); (iii) di approccio decisionale (il ‘feticismo’ delle regole contabili anteposto alla razionalità economica); (iv) di travisamento intellettuale (le misure di austerità propagandate come riforme). L’accumularsi di questi errori ha portato l’Europa all’attuale paradosso: da un lato, un progetto originariamente finalizzato a promuovere convergenza e armonizzazione tra i paesi membri; dall’altro, una realtà caratterizzata da grandi divisioni tra aree forti e deboli, tra aree che gestiscono le catene del valore creando opportunità di sviluppo per nuove periferie e aree deindustrializzate, tra aree che crescono e aree che perdono forza lavoro qualificata e che dipendono da flussi finanziari esterni.

Come si è arrivati ad una tale drammatica polarizzazione? Per rispondere a questa domanda è necessario affondare lo sguardo nel lungo periodo. In primo luogo, è necessario riflettere su come il processo di globalizzazione finanziaria che ha avuto avvio negli anni ‘70 con l’abbandono del regime di Bretton Woods si è dispiegato in Europa. Quegli anni segnarono una cesura importante rispetto al trentennio di crescita sostenuta che seguì la fine della seconda guerra mondiale. Tre sono le discontinuità fondamentali: (i) l’interruzione del meccanismo di sviluppo economico basato sull’interazione virtuosa tra investimenti ed esportazioni; (ii) l’assurgere del settore finanziario a motore chiave per l’accumulazione dei profitti; (iii) la transizione da un approccio di policy basato sulla discrezionalità ad uno fondato sull’automatismo delle regole.

Queste tre discontinuità costituiscono il background che sta alla base della via europea alla finanza globale e all’integrazione monetaria, ossia a ciò che abbiamo chiamato ‘Europeizzazione’. All’origine del percorso che ha portato alla costituzione dell’EZ, vi era la compenetrazione di due modelli: quello tedesco che, forte dei successi conseguiti dalla Germania nel contrastare la stagflazione, affermava la stabilità dei prezzi come strategia primaria per l’occupazione e la crescita; e quello americano che, legittimato dalla buona performance economica degli Stati Uniti nella prima metà degli anni ottanta, rivendicava la deregolamentazione e la liberalizzazione dei mercati (del lavoro, dei beni, dei capitali) quale viatico per combattere la disoccupazione. In questo contesto, il processo di integrazione monetaria in Europa si è instradato sui binari di un’agenda neoliberista fondata sulla liberalizzazione dei flussi di capitali tra i paesi membri. Al contempo, l’intento (frequentemente dichiarato) di voler preservare gli elementi chiave del cosiddetto modello sociale europeo è andato sistematicamente disatteso, con il progressivo restringimento del welfare e l’aumento delle diseguaglianze.

La crisi strutturale degli anni settanta ha rappresentato uno snodo cruciale nelle modalità della competizione internazionale, innalzando gli standard richiesti per competere sui mercati globali: la differenziazione dei prodotti basata su qualità e innovazione si afferma progressivamente come risposta alla saturazione della domanda per i beni di consumo di massa durevoli. In questa transizione da un regime di concorrenza basato principalmente sui prezzi (price-led competition) ad uno basato sulla differenziazione dei prodotti (product-led competition), alcuni paesi non hanno retto il passo, interrompendo o rallentando il processo di industrializzazione, mentre altri hanno gestito il cambiamento innovando la struttura industriale. Paesi come l’Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna hanno arrestato prematuramente il processo di rafforzamento della struttura industriale intrapreso (in modo eterogeneo) sino a quel momento. Al contrario, paesi core, come la Germania, con il supporto delle politiche industriali, hanno intrapreso un percorso di riqualificazione e riorganizzazione della struttura produttiva adeguandosi con successo al mutato regime concorrenziale internazionale. In presenza di una simile eterogeneità di strutture e traiettorie di sviluppo, l’abbattimento delle barriere volte alla limitazione dei flussi di merci e capitali tra i paesi che si accingevano ad aderire al Mercato Unico (e poi all’EZ) ha coinciso con l’imposizione di regole eguali tra entità significativamente diseguali. In altri termini, l’EZ viene a configurarsi fin dall’inizio come una costruzione istituzionale con problemi di embeddedness, sradicata, cioè, dagli specifici contesti socio-economici e istituzionali dei paesi membri e indifferente alle divaricazioni nei loro livelli di sviluppo.

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