I casi di Veneto Banca e Popolare di Vicenza mostrano che quella delle banche è crisi di sistema che richiede una una nuova capacità di intervento di Banca d’Italia e della della mano pubblica
Le turbolenze del sistema bancario nazionale si arricchiscono di nuovi sorprendenti episodi. Dopo il caso del Monte dei Paschi, quello delle quattro banche del Centro Italia ed altri ancora, si è molto discusso di recente di un nuovo capitolo, quello di due banche venete.
Come è noto, Veneto Banca e la Banca Popolare di Vicenza si trovano entrambe in un momento estremamente critico della loro esistenza a seguito di grandi perdite di esercizio, con una conseguente fortissima svalutazione del capitale. Per entrambe è stato conseguentemente deliberato un suo forte aumento, per un valore complessivo di 2,750 miliardi di euro – una cifra enorme-, il cui esito è garantito da grandi banche nazionali, vale a dire da un “pool” guidato da Intesa per la prima e un altro da Unicredit per la seconda.
Ricordiamo che le azioni delle due banche erano state a suo tempo collocate in massa tra gli investitori privati con pressioni, spesso scorrette e non raramente indebite, in quanto accompagnate da minacce di non concessione o di revoca di fidi, facendo inoltre ricorso nella documentazione ufficiale ad un’alterazione del profilo di rischio di molti investitori.
Il quadro che così si presenta, addirittura sconsolante, appare per qualche verso quasi incredibile visto che solo qualche anno fa Veneto Banca sembrava essere sul punto di diventare una delle principali banche italiane attraverso un processo di acquisizioni importanti (tra cui spiccava Banca Intermobiliare, una “private bank” di Torino di prestigio, prestigio sia pure un po’ appannato per via del suo coinvolgimento anomalo qualche anno prima, in termini di rischio di credito, nel gruppo dell’immobiliarista Coppola). Anche la Banca Popolare di Vicenza era un istituto molto importante e sembra addirittura che la Banca d’Italia qualche anno fa pensasse ad essa per il salvataggio di Banca Etruria, il più importante e il più chiacchierato dei quattro istituti recentemente salvati, con un’operazione contrassegnata, come è noto, da grandi polemiche.
Il Veneto era, fino a qualche anno fa, poco dopo la Lombardia, la più florida regione italiana. Chi, come Brunetta, mette in evidenza che la crisi delle banche si concentra nelle zone di centro-sinistra trascura, oltre all’Abruzzo, oscillante tra centro-destra e centro-sinistra, proprio il Veneto. Se si pensa che il “dominus” della Popolare di Vicenza era Zonin, titolare di importanti cantine e vigneti, nonché di molte altre cose, si è portati a riflettere ancora una volta sulla incestuosa connessione in essere da tempo tra finanza e industria, mentre la carriera di Consoli, già “dominus” di Veneto Banca, è stata sorprendentemente folgorante e improvvisa e appare così non priva anche di misteri.
Le ragioni delle crisi
È una crisi, quella delle banche venete, che dipende da molti fattori: in primo luogo, sono state decisive le difficoltà di “governance”, tradizionali dalle nostre parti, che hanno portato alla mancanza di limiti al comportamento di un “uomo solo al comando”: Consoli per Veneto Banca, Zonin per Banca Popolare di Vicenza. Si è parlato così di grandi scorrettezze di comportamento del management dei due istituti, con, tra l’altro, concessione di fidi molto discutibili.
In secondo luogo, bisogna considerare che le banche piccole e medie riescono forse con maggiori difficoltà delle grandi a reggere la crisi del mercato e l’elevato importo di sofferenze dei crediti.
In terzo luogo, va sottolineato che la forma cooperativa comporta una certa rigidità nella struttura finanziaria, con difficoltà di immissioni di capitali da parte di gruppi stabili per l’esistenza del principio “una testa un voto” –le riforme di Renzi in materia appaiono operativamente improvvisate, studiate con scarso rigore e con scarsa sistematicità.
Questi due casi confermano inoltre le lacune, nel nostro paese, degli strumenti di verifica ex-ante e di prevenzione del disastro.
Peraltro, sino a qualche anno fa, erano disponibili, al momento dello scoppio della crisi di un istituto, azioni di salvataggio da parte delle banche più forti, che ora non sono più invece in grado di farlo, se non al massimo in via mediata, con la garanzia per gli aumenti di capitali; appare già chiaro, comunque, che il rispetto di tale garanzia non sarà forse indolore.
Le perdite degli azionisti e le politiche da portare avanti
Si tratta di una crisi di sistema che richiede un intervento di sistema. Occorre probabilmente tornare ad una maggiore capacità di intervento da parte della Banca d’Italia e quindi occorre ristabilire la sua autorità e la sua autorevolezza. D’altro canto, l’occasione sarebbe buona anche per un nuovo intervento da protagonista per la mano pubblica, al fine di cercare di indirizzare la politica del credito verso esiti più felici di quelli passati.
Ma torniamo alle due banche. Per ora si è limitata la perdita agli azionisti, ma il problema è, per molti aspetti, da un punto di vista sostanziale, non diverso da quello delle quattro banche in dissesto e poi salvate. In queste ultime si sono pregiudicati i diritti delle obbligazioni subordinate, mentre nelle banche venete si sono compromessi quelli delle azioni ordinarie, che non ricevono normalmente tutela perché considerati titoli di puro rischio. Ma la protezione contro le allocazioni scorrette di titoli tra il pubblico dei risparmiatori, che viola il profilo di rischio degli stessi e utilizza su di loro pressioni indebite, dovrebbe valere per tutti i casi. La responsabilità per l’allocazione di titoli tra la massa di risparmiatori, se abusiva, dovrebbe, in linea di principio, valere per tutti i casi, ciò che creerebbe peraltro problemi di compatibilità con le esigenze di salvataggio.
Bisogna citare infine un altro episodio critico. Alla Banca Popolare di Vicenza all’ultima assemblea si è bloccato l’avvio dell’azione di responsabilità contro i precedenti organi statutari (anche se si è parlato di blocco temporaneo, fino alla prossima assemblea, ma intanto il blocco c’è): è la dimostrazione che intorno alla vecchia gestione, che ha provocato il disastro, si è formato un blocco diffuso all’interno della banca e nel territorio.
È risaputo comunque che dalle azioni di responsabilità contro i vecchi organi, necessarie per manifestare finalmente un segno di fermezza, non si ricavano mai molti soldi, in quanto gli esponenti che potrebbero essere toccati hanno cura di liberarsi di beni al sole. Sarebbe però necessario non lasciare nulla di intentato al riguardo.