Dis-connessi/Le forme di ordinamento spaziale e di organizzazione sociale idonee a ospitare crescenti masse di cittadini sono oggetto di accesi dibattiti ideologici
Le città in cui viviamo, attraverso il loro portato materiale e simbolico, ci parlano di noi; e ci raccontano se e in che misura siamo disposti a condividere con l’altro, sia esso il vicino simile a noi o il diverso, che ancora non abbiamo il coraggio di chiamare cittadino.
Costretti a vivere sulla superficie della terra, ed essendo la terra una risorsa limitata, le forme di ordinamento spaziale e di accesso all’uso dello spazio urbano e di tutte le dotazioni collettive che su questo spazio insistono – le strade, le case, le scuole, i parchi, gli ospedali solo per citarne alcune – sono una questione centrale nel dibattito sull’organizzazione sociale e la convivenza civile. Ci mettono di fronte a un dato imprescindibile, ovvero che viviamo insieme ad altri con i quali condividiamo dei bisogni e che, di conseguenza, è possibile esercitare il nostro interesse individuale solo fino a quando quest’ultimo non compromette l’interesse collettivo.
Eppure il portato materiale della città sembra a tutti gli effetti tradire questa idea. I nuovi quartieri alle porte delle città, in cui molti cittadini si sono trasferiti in cerca di un’abitazione confortevole ed economicamente accessibile pagando il prezzo di un mutuo trentennale; i rioni dei centri storici dai quali sono stati espulsi, più o meno coercitivamente, gli artigiani e gli abitanti meno facoltosi; le periferie urbane cronicamente in sofferenza per dotazioni di servizi e meta di nuove mire speculative, ci parlano di un disarmante cambiamento a cui assistiamo inermi: la riformulazione delle coordinate che identificano le forme di organizzazione sociale fondate sullo spazio, che sembra trovare una corrispondenza elettiva nell’inesorabile ascesa dell’individualismo e della sua domanda di città.
È noto che le forme di ordinamento spaziale e di organizzazione sociale idonee a ospitare crescenti masse di cittadini siano oggetto di accesi dibattiti ideologi. Ormai lontani da una stagione culturale in cui si è cercato di dare forma a un’idea di città solidale, le città sono oggi preda del neoliberismo economico e campo di affermazione dell’assolutismo proprietario, a sua volta espressione di comportamenti anti-sociali e anti-urbani, come la scelta sempre più ricorrente di vivere in comunità chiuse, quartieri privati e recintati in cui i criteri di accesso rispondono a forme di appartenenza elettiva.
Il portato materiale dell’individualismo si misura però anche nell’atmosfera dei quartieri popolari delle città, in cui i ceti sociali emergenti si fanno portatori di nuove disposizioni culturali e aspettative di consumo in grado di modificare l’anima dei quartieri, candidandoli alla peggiore delle sorti: la gentrification, e con essa la perdita dell’anima che li rendeva, appunto, popolari. Difficile da ricondurre a un unico gruppo sociale, la città degli individui sembra accumunata da una domanda di urbanità a tutti gli effetti parziale, in cui si negozia la convivenza solo con chi è (culturalmente o per estrazione sociale) simile a noi ed esprime domande sociali simili alle nostre.
A controbilanciare questa tendenza, gli ultimi echi riformatori dei movimenti di inquilini sotto sfratto da Nord a Sud, che esprimono una domanda sociale di abitazioni e servizi in grado di farci vivere e abitare meno faticosamente. L’individuo, con cui un progetto di città dovrà inevitabilmente fare i conti nel prossimo futuro, è sempre più inteso come centro di responsabilità e come portatore d’innovazione. Sarà davvero un agente sociale e di cambiamento in positivo, però, solo nella misura in cui saprà promuovere mutamenti e novità che soddisfino le domande e l’interesse di tutti.
E ciò equivale a chiedersi se esista un individualismo solidale, capace di farsi carico della domanda di città espressa da chi ha minori possibilità. Fatti salvi alcuni esempi virtuosi, tutto ciò in Italia è ancora da provare. Non resta che chiedersi quale forma di convivenza potrà corrispondere ad una urbanità fatta di individui che non pregiudichi l’universalità dei diritti di cittadinanza, e in particolare di tutti quei diritti che riguardano l’accessibilità e la vivibilità dello spazio urbano.