L’ascesa del gigante cinese ha cambiato radicalmente gli equilibri geopolitici mondiali. Pubblichiamo un estratto del primo capitolo del libro di Vincenzo Comito La Cina è vicina?, edito da Ediesse.
Non mancano certo gli elementi per criticare anche aspramente, come è da tempo la norma in Occidente, il modello di crescita cinese; i problemi sono dappertutto nel paese, dagli alti livelli di inquinamento, alle forti diseguaglianze sociali, dallo sfruttamento dei lavoratori, alle carenze democratiche e così via.
Ma di fronte ad una sterminata letteratura ormai disponibile sul caso cinese, per gran parte ostile, l’autore di questo testo non nasconde la sua simpatia per il risveglio del gigante asiatico e per la sua crescente affermazione nel mondo. Una dissenting opinion che non intende peraltro nascondere le profonde contraddizioni che tale sviluppo reca con sé e che sono a lungo analizzate nel testo.
Non si tratta tanto del riconoscimento del fatto che il Paese si avvia, entro pochi anni, a diventare la più grande economia del mondo (ma forse lo è già) e, nel medio termine, la potenza egemone. Né della speranza, ancora presente, ad esempio, in un autore come Giovanni Arrighi, della natura ancora socialista del Paese; speranza che, a nostro parere, non sembra ormai avere troppe fondamenta.
Le simpatie dell’autore per il Paese asiatico hanno altre basi. E segnatamente intanto questa: la Cina è riuscita, nell’arco di pochi decenni, a togliere dalla povertà estrema circa 600 milioni di suoi abitanti, anche se certamente esistono ancora nel Paese delle sacche importanti di miseria.
I risultati cinesi non hanno, peraltro, niente a che fare con quelli dell’India, un Paese molto lodato per il suo sistema politico democratico. Ma la cui attenzione verso i problemi dei dannati della terra è sempre stata sostanzialmente minima.
Guardiamo ad alcune statistiche ricordate da A. Sen e da J. Drèze nel loro testo sull’India pubblicato nel 2013. Intanto le dimensioni dell’economia cinese sono ormai almeno quattro-cinque volte più grandi di quelle dell’altro paese asiatico. L’attesa di vita alla nascita è oggi di 65 anni per i cittadini indiani, contro i 73 anni per la Cina; la mortalità infantile ha un valore per il primo Paese del 47 per mille contro il 13 per mille del secondo; per quanto riguarda la percentuale dei bambini vaccinati siamo al 72% contro il 99%; per quella dei bambini sottopeso al 43% contro il 4%; per quella delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 24 anni alfabetizzate al 74% contro il 99%; infine, il rapporto studenti/maestri nella scuola elementare è di 40 allievi contro 17 (peraltro anche molto meglio che in Italia). Non c’è confronto possibile.
Su un piano diverso va osservato che di fronte ad un mondo sino a ieri dominato dagli Stati Uniti, l’affermazione della Cina ci porta progressivamente ad avere due padroni del mondo. Il che è meglio che averne uno solo: il mondo, pur con le sue contraddizioni, ci appare sicuramente più libero.
Certo non siamo al crollo degli Stati Uniti, non ci troviamo in una situazione come quella a suo tempo descritta da Rutilio Namaziano, quel funzionario dell’impero romano che, tornando da Roma via mare al suo Paese natale, la Gallia, osservava ogni giorno nel suo lungo viaggio i segni anche fisici della decadenza e dell’imminente crollo dell’impero.
Chi scrive pensa che sarebbe ancora meglio che il mondo non avesse padroni e che tutti i Paesi si sedessero al tavolo del potere con pari dignità; ma, aspettando con speranza quel giorno, accontentiamoci di quello che sta succedendo oggi.
Si potrebbe certo sperare che l’Europa diventi il terzo protagonista dei ‘giochi’ mondiali, ma la sua persistente disunione indica che tali speranze sono ormai ridotte al lumicino. Né si può pensare all’India come un possibile grande protagonista. Il Paese, pur con le sue grandi potenzialità, appare anch’esso chiaramente ormai al di fuori del circuito dei grandi e il treno sembra essere anche in questo caso passato.
Un’altra ragione, per cui l’autore guarda con molta partecipazione alla crescita della Cina, è dovuta al fatto che egli ha avuto molta simpatia da giovane per il grande processo di liberazione dal giogo coloniale dei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e segue, ancora oggi, con molta partecipata attenzione, nonostante alcune disillusioni, i loro progressi, sul fronte economico, sociale, politico.
Non si può non assistere con compiacimento al fatto che la Cina e tanti altri Paesi stiano progressivamente acquisendo il rango che spetta loro storicamente e contribuiscano attivamente a stabilire un nuovo equilibrio mondiale.
Non si tornerà probabilmente al 1411 quando, nel pieno della dinastia Ming, la Cina, al massimo della sua potenza, aveva un peso economico preponderante rispetto agli altri Paesi del mondo. Ma, d’altro canto, nessuno potrà più ritenere su solide basi che quello da poco iniziato sia un nuovo secolo americano.
Naturalmente bisogna sempre lasciare il beneficio del dubbio a tutte le estrapolazioni dalle tendenze attuali ai prossimi decenni. La storia fa spesso dei brutti scherzi, ma il percorso sembra in larga parte segnato.
Vincenzo Comito La Cina è vicina?, Ediesse, 2014