Renzismo in arrivo/4 L’Europa non esiste. Al suo posto una regione con 150 milioni di abitanti con al centro la Germania. Intervista con l’economista Marcello De Cecco
Con Marcello De Cecco, economista, attualmente docente di Economia e finanza dei paesi emergenti alla Luiss di Roma e autore, per citare l’ultimo libro, di “Ma che cos’è questa crisi”, una raccolta degli interventi pubblicati su Repubblica, proviamo a ripercorrere le tappe della crisi – finanziaria, economica, sociale – che ci sta travolgendo.
Che cosa pensa di Matteo Renzi? È il nuovo interprete degli interessi della finanza?
Su Renzi mi esprimerò quando leggerò il suo programma. Ora posso dire solo che l’intera vicenda del benservito a Letta non mi è piaciuta affatto, così come non mi è piaciuta la faccenda di Berlusconi al Quirinale. È un chiaro messaggio al paese, da parte della sua classe dirigente, che le leggi valgono solo per chi non conta nulla.
Come vede le elezioni europee? Cosa dobbiamo aspettarci in questi tempi di nazionalismi e populismi di ritorno?
A questo punto interessano poco, ci sarà una rappresentanza di questi populismi, dei partiti antieuropei, ma non una maggioranza. Detto ciò non credo che ci sarà una vera scossa e l’Italia è destinata ad andare a rimorchio. Queste sono le carte e con queste si gioca, con la creta si possono fare solo le pignate come dicono al mio paese.
Il cambio di governo e le elezioni europee avvengono in un sistema finanziario internazionale in maremoto: le valute dei Brics crollano, gli Stati uniti tirano i remi in barca sulle politiche monetarie e le riprese, dove ci sono, sono alimentate da bolle speculative. Dalla crisi non abbiamo imparato niente?
Non ho mai pensato che dalle crisi si impari qualcosa, i sistemi si evolvono secondo una logica che dipende da tante variabili. Il capitalismo di oggi, come ha ridetto ultimamente Larry Summers, sopravvive con bolle di investimento che poi esplodono e che sopperiscono alla mancanza strutturale di domanda di un economia matura dei paesi al centro, perciò ci si muove da una bolla a un’altra. Finanza ed economia reale sono fatte l’una per l’altra, convivono, sono figlie dello stesso tempo ma non sono equipotenti, dipende dai periodi. È vero che l’economia finanziaria oggi ha preso il sopravvento, ma come diceva Braudel ci sono epoche in cui questo accade, anche se quando le cose vanno bene tutti tendono a dimenticarlo. Basti pensare che alcuni sostengono che l’economia romana è andata in crisi perchè troppo finanziarizzata. E anche l’enorme sviluppo cinese, senza la finanza stravagante, non ci sarebbe.
In che modo i capitali potrebbero essere in parte messi sotto controllo da istituzioni come il Fondo monetario internazionale?
Il Fondo monetario internazionale fa parte del sistema economico mondiale come ne fanno parte la finanza e l’economia reale e quindi se è vero che per tutto il periodo post bellico ha prevalso il controllo dei cambi e del commercio estero non bisogna dimenticare che l’intento degli Usa era quello di riavviare un economia globalizzata e di libero scambio. A quei tempi il governo Usa ha visto un prevalere di coloro che rappresentavano l’economia reale, ma anche quelli volevano una finanza di qualche tipo: quel modello di sviluppo l’hanno voluto tutti, anche Henry Ford. Quello che è interessante è che il capitalismo abbandonato a se stesso, libero e globalizzato, va a finire come abbiamo visto, con la concentrazione dei redditi e dei patrimoni, con la crisi dello Stato e quindi con una rimessa in questione della fase precedente, quella dei consumi di massa. Questo modello è finito, e non si può tornare indietro. Lo Stato controllore ha perso ovunque, negli Usa come qui. La tobin tax non ha funzionato da nessuna parte come un deterrente, in Italia non ce ne siamo nemmeno accorti, e negli Usa i prodotti derivati impazzano, sono ripartiti alla grande perché in pochi hanno voluto combatterli e chi voleva non ne ha avuto la forza. Bisogna accettare le cose come sono, il velleitarismo non serve a niente.
Nello scacchiere mondiale l’Europa conta e conterà sempre meno?
Dobbiamo prepararci a contare di meno, questo non è il mondo delle federazioni, è il mondo dei grandi Stati nazionali: Usa, Cina, India, Brasile, Russia e la Germania che prova a essere un grande Stato nazionale potendo contare sul fatto che attorno a sè ha gli Stati dell’est che oggi ci hanno sostituito come suoi fornitori. L’Europa non c’è. Ormai la regione della Mitteleuropa, come la chiamo io, è risorta, ha il suo centro nella Germania e avrà 150 milioni di abitanti.
Quale era il progetto dell’euro e cosa ne è rimasto?
L’euro è nato per essere moneta dell’Europa, non un’alternativa al dollaro. La verità storica è che non è nato con le caratteristiche per fare quel che fa il dollaro: il dollaro è una moneta finanziaria, l’euro no perchè al suo centro c’è un paese che non vive di finanza, la Germania. E infatti non è un caso che l’altro paese finanziario, la Gran Bretagna, ne sia rimasto fuori. D’altra parte se l’euro fosse diventato una moneta finanziaria sarebbe crollato immediatamente. L’euro porta ai deficit interni perchè è una moneta concepita per la libertà dei pagamenti interni, non c’è il controllo per pareggiare i surplus commerciali, e ora paghiamo gli squilibri che si sono accumulati negli ultimi dieci anni.
Cosa è andato storto nella costruzione dell’unione monetaria europea e nelle politiche di Francoforte e Bruxelles?
Non credo si debba parlare di errori ma di comportamenti imposti dal tipo di rapporti di forza tra i contraenti che hanno fatto l’unione monetaria. Se avesse rappresentato i governi, la Bce sarebbe diventata la banca centrale dei poveri, perché i paesi in deficit avevano bisogno di aiuto mentre gli altri no. Questo è stato voluto non dai tedeschi ma dai francesi che hanno acconsentito alla riunificazione della Germania e hanno voluto mantenere un controllo con l’unione monetaria. Il trattato di Maastricht stesso è nato all’insegna del monetarismo.
Vede un rischio effettivo di dissoluzione dell’euro o di espulsione di paesi dall’area europea?
Credo che nessuno voglia una dissoluzione dell’euro, e questa è la ragione per cui si fa il patto fiscale. Poi è vero che quella che viene dispensata è una medicina tedesca ma ricordiamo che prima di tutto i tedeschi l’hanno data a se stessi, alla Germania dell’Est. È una visione antikeynesiana, i tedeschi ritengono che non convenga essere altruisti.
È pensabile un’area mediterranea dell’euro?
No assolutamente, la Francia fa di tutto per uniformarsi alla Germania. I francesi non stanno con noi, la loro principale preoccupazione è quella di distinguersi dai latini. E quanto ai Pigs, io nel caso dell’Italia avrei siglato un memorandum di intesa come hanno fatto spagnoli, greci e portoghesi per accettare il controllo. La Spagna di oggi ha riavuto la fiducia dei mercati.
La finanza non si può ridimensionare, la politica è sempre più debole, sembra non si possano pensare cambiamenti, ma allora che tipo di contraddizioni scoppieranno e cosa ci aspetta in Italia?
L’unica cosa esplosiva che abbiamo è la disoccupazione giovanile. Ma è bene vedere come a questo problema hanno fatto fronte i paesi meno sviluppati, dove esiste da molti anni: i giovani disoccupati sono assorbiti da populisti di destra, razzisti ed estremisti religiosi, che cercano di inquadrarli nelle loro file. La risposta della sinistra, ovunque, non è all’altezza della gravità del problema.