Sotto sotto/Spesa pubblica, privata e investimenti sono fermi, i salari calano e la deflazione è alle porte. Ma non si leggono analisi oneste della crisi. E i tedeschi, dopo averci guadagnato, divengono euroscettici
Costruire l’alternativa di sinistra in Germania: questo è l’obiettivo politico dell’Istituto modernità solidale (Ism, Institut Solidarische Moderne), think tank nato nel 2010 su iniziativa di esponenti della Linke e delle correnti di sinistra di Spd e Verdi con alcuni intellettuali (sociologi, filosofi, economisti, giuristi) impegnati nello sviluppo del pensiero critico. Fra le principali artefici dell’Istituto rosso-verde c’è la co-segretaria della Linke, Katja Kipping, che da tempo lavora alla «contaminazione» culturale del suo partito. Nella carta d’intenti dell’Ism il riconoscimento della necessità di una sintesi fra le istanze della sinistra figlia della «modernità industriale» e quelle «postmoderne» dei movimenti femministi, ambientalisti e del variegato universo queer. Ogni anno l’Ism organizza una summer school e promuove ricerche utili a un’alternativa programmatica al neoliberismo. Il testo che presentiamo è un estratto dal rapporto «L’irrisolta crisi dell’euro», pubblicato a giugno, redatto da tre economisti e deputati: Cansel Kiziltepe (Spd), Lisa Paus (capogruppo verde in commissione finanze) e Axel Troost (vicesegretario Linke). Attività e testi su: www.solidarische-moderne.de.
Portogallo, Irlanda e Spagna chiudono gli ombrelli di salvataggio della Troika ed entrano nuovamente senza protezione nel mercato dei capitali. Se si esclude il pagamento degli interessi, il bilancio pubblico greco registra un avanzo, il governo di Atene viene ritenuto nuovamente solvibile dai mercati e può finanziarsi autonomamente con capitali freschi. Si intravede quindi la fine della crisi europea?
Nutriamo dei seri dubbi rispetto a questa lettura degli eventi – molto diffusa in Germania. Anche se nel nostro paese ne manca la percezione, l’economia europea si trova ancora in mezzo a forti turbolenze. La disoccupazione nei paesi in crisi continua a mantenersi a livelli record e gli analisti della Bce manifestano esplicita preoccupazione per il rischio di anni di debolezza economica e deflazione. Nonostante ciò la consapevolezza del problema non è ancora arrivata in Germania: l’esistente rappresentazione della crisi è insufficiente. Raramente si riesce a far uscire l’analisi dall’orizzonte nazionale, e nei media la visione dominante continua ad attribuire unilateralmente la responsabilità della crisi ai paesi del Sud Europa. […]
I problemi sociali di questi ultimi anni raramente vengono messi a sistema. Anche quando i precari dati economici sulla situazione nella zona euro vengono resi pubblici, le conseguenti sofferenze dei cittadini rimangono nascoste. Dal 2007 il mondo si trova in una profonda crisi finanziaria. Dal 2010 in Europa non si tratta più solamente di una crisi del sistema bancario, bensì dell’intero sistema dell’Unione monetaria: un riflesso degli errori di costruzione dell’euro commessi fin dalla fondazione. Tra questi è da annoverare il mancato coordinamento tra i paesi dell’euro in tema di politica economica, fiscale, sociale e del lavoro, che ha condotto allo sviluppo di economie con competitività troppo diverse. Una conseguenza di questo sviluppo diseguale è rappresentata dai forti squilibri nelle bilance commerciali, che hanno reso la Germania il maggior creditore dei paesi indebitati del sud Europa.
Nonostante la storia precedente alla crisi sia relativamente complicata, la Troika continua a sostenere esclusivamente che il problema sia stato un eccessivo indebitamento causato da un’ incauta disciplina di bilancio e la perdita di competitività dei paesi in crisi a causa dei salari troppo alti. Ne consegue una filosofia di salvataggio molto semplice e sempre uguale a se stessa: gli stati devono risparmiare, in particolare nei settori più dispendiosi per i bilanci (dipendenti pubblici e prestazioni sociali). Queste misure favorirebbero una diminuzione salariale nel settore privato attraverso la quale i paesi in crisi potrebbero aumentare la loro competitività.
Anche quando si tratta semplicemente di problemi legati al bilancio, le analisi e le strategia della Troika sono inadeguate. Ad esempio la Grecia, oltre ad una spesa eccessiva, soffriva principalmente di un problema di entrate. Ad oggi il paese non ha tassato con maggior decisione i patrimoni dei più ricchi: l’idea di una tassazione patrimoniale (europea) non è semplicemente mai entrata nella strategia della Troika. Ancor più grottesca è la situazione in Irlanda e Spagna, dove le percentuali di indebitamento pubblico erano largamente inferiori a quelle tedesche (rispettivamente il 24 e 36%). Sono stati i debiti delle banche locali, diventati opprimenti a causa della speculazione e acquisiti dai governi di entrambi i paesi per necessità, a causare l’improvviso aumento del debito. […]
Le cifre della crisi europea suscitano interpretazioni diverse a seconda del livello di analisi, ma è possibile individuare alcuni chiari messaggi di fondo: la Germania è l’unico paese con un modesto tasso di crescita positivo rispetto al periodo precedente alla crisi (0.7% dal 2007 al 2013), la Francia ha mantenuto la sua economia nonostante qualche perdita, mentre Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia hanno perso dall’inizio della crisi tra il 6% e il 24% della loro performance economica. La disoccupazione in Grecia e Spagna è più che triplicata, in Italia e Irlanda almeno raddoppiata, in media nella zona euro è aumentata del 60%. Il fenomeno colpisce in particolare i giovani sotto i 25 anni. Le lavoratrici e i lavoratori tedeschi e francesi hanno potuto mantenere nei sette anni passati i loro salari reali, mentre in Grecia sono diminuiti del 19%, e negli altri paesi in crisi solo in percentuali ad una cifra. Per quanto riguarda gli investimenti in beni durevoli in rapporto al Pil: in Grecia e Irlanda sono diminuiti più della metà, in Francia e nella zona Euro circa del 20%, in Portogallo più del 30% e in Spagna del 40%. Anche in Germania l’investimento in beni durevoli è sceso del 13%. […]
Si può quindi osservare come i tre elementi centrali che costituiscono il Pil (spesa pubblica, spesa privata e investimenti) siano diminuiti. Questa situazione, combinata con la caduta dei salari, è terreno fertile per la diminuzione dei prezzi, che significa deflazione. […]
La Germania si sta comportando come un elefante in un negozio di porcellane, non tenendo in conto l’evoluzione della crisi nei paesi del Sud Europa. Al contrario i tedeschi pensano che la crisi europea sia stata ampiamente superata. I problemi che si sono sviluppati negli ultimi anni nella zona Euro non vengono né riconosciuti né tanto meno compresi. Gli enormi rischi di un’eventuale deflazione, così come la gravità delle ricadute sociali della crisi, non vengono affatto presentati all’opinione pubblica. Questo principalmente per due ragioni: la prima è che la Germania trae vantaggio dalla crisi. La seconda è che il giornalismo economico in Germania non è in grado di affrontare criticamente le implicazioni di una politica economica Europea evidentemente guidata dalla Germania stessa, né tanto meno aiutare a sviluppare alternative.
Il nostro paese è il massimo beneficiario dell’unione monetaria. Un’uscita della Germania dall’euro sarebbe fatale e molto probabilmente ne provocherebbe la fine. Forte sarebbe il rischio di una crisi finanziaria globale – quella del Sistema monetario europeo del 1993 può rappresentare un utile paragone. […]
Il quadro delineato fin ora mostra i gravi rischi politici ed economici di un’uscita dall’euro. Oggi la Germania non paga per la crisi economica, anzi nel mezzo della crisi – trae vantaggio dal sistema della moneta unica. Il bilancio pubblico tedesco è enormemente avvantaggiato nell’accesso al credito: i bassi tassi d’interesse per le obbligazioni statali hanno portato a risparmi per 40 miliardi tra il 2010 e il 2014. Poiché i pagamenti degli interessi sul debito si sono rivelati molto sotto le aspettative, il tasso d’interesse per nuove emissioni si è ridotto di circa un punto percentuale.
Ma le difficoltà contro cui l’Europa deve combattere in Germania non si riferiscono solamente alla crisi economica. C’è un sempre maggiore scetticismo nei confronti dell’unità europea. Un recente sondaggio mostra come il 56% del campione sia contrario ad un’estensione dell’Ue ai paesi dell’Est. Una cifra impressionante, se si considera l’unità europea come un progetto politico e non semplicemente come una comunione di interessi.
La mancanza di un’analisi onesta della crisi rappresenta un problema nella politica, nei media e in parte della popolazione tedesca. La situazione è grave, considerato che solo attraverso un’analisi obiettiva e pragmatica sarà possibile trovare vie d’uscita alla crisi della zona euro.