Si può ancora parlare di imperialismo? E come? Pubblichiamo un’anticipazione del libro di Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la grande crisi
La tesi centrale di questo libro è che con la globalizzazione contemporanea sta prendendo forma un tipo d’imperialismo che è fondamentalmente diverso da quello affermatosi nell’Ottocento e nel Novecento.
La novità più importante consiste nel fatto che le grandi imprese capitalistiche, diventando multinazionali, hanno rotto l’involucro spaziale entro cui si muovevano e di cui si servivano nell’epoca dei grandi imperi coloniali. Oggi il capitale si accumula su un mercato che è mondiale. Perciò ha un interesse predominante all’abbattimento di ogni barriera, di ogni remora, di ogni condizionamento politico che gli Stati possono porre ai suoi movimenti. Mentre in passato il capitale monopolistico di ogni nazione traeva vantaggio dalla spinta statale all’espansione imperialista, in quanto vi vedeva un modo per estendere il proprio mercato, oggi i confini degli imperi nazionali sono visti come degli ostacoli all’espansione commerciale e all’accumulazione. E mentre in passato il capitale monopolistico aveva interesse all’innalzamento di barriere protezionistiche e all’attuazione di politiche mercantiliste, in quanto vi vedeva un modo per difendersi dalla concorrenza delle imprese di altre nazioni, oggi il capitale multinazionale vota per il libero scambio e la globalizzazione finanziaria. La nuova forma assunta dal dominio capitalistico sul mondo la chiamo “imperialismo globale”.
Una seconda novità è che nell’impero delle multinazionali cambia la natura della relazione tra Stato e capitale. Sta venendo meno quel rapporto simbiotico basato sulla convergenza dell’interesse statale alla costruzione della potenza politica e dell’interesse capitalistico alla creazione di un mercato imperiale protetto. Oggi il grande capitale si pone al di sopra dello stato nazionale, nei confronti del quale tende ad assumere una relazione strumentale e conflittuale ad un tempo. Strumentale, in quanto cerca di piegarlo ai propri interessi, sia con l’azione diretta delle lobby sia con la disciplina dei “mercati”. Conflittuale, in quanto la dislocazione dei suoi interessi su uno spazio mondiale genera nelle economie delle nazioni, soprattutto quelle a capitalismo avanzato, delle difficoltà economiche che mettono in crisi la funzione di “capitalista collettivo nazionale” assunta in passato dagli stati.
Quella funzione, nei regimi imperiali otto-novecenteschi, era necessaria per dare il sostegno della nazione alle politiche fatte al servizio del capitale. Ed era resa possibile dall’afflusso di plusvalore proveniente dalle colonie. Lo stato operava per distribuire parte del plusvalore tra le varie classi sociali, in modo da creare un blocco sociale capace di stringere gli interessi della collettività intorno a quelli del capitale. Quella forma d’imperialismo generava nelle metropoli delle consistenti aristocrazie operaie e rendeva possibile la formazione di partiti riformisti che miravano a servire gli interessi immediati del proletariato conciliandoli con quelli della nazione.
Oggi quella funzione è venuta meno, perché il libero movimento dei capitali e delle merci opera in modo da mettere i lavoratori del Sud del mondo in competizione con quelli del Nord. La globalizzazione determina una redistribuzione del reddito dai salari ai profitti che genera una disuguaglianza crescente in tutti i paesi del mondo. Di conseguenza la capacità politica di costruzione della pace sociale all’interno è venuta meno in ogni nazione, mentre si moltiplicano le occasioni per un inasprimento del conflitto di classe. Sul piano delle politiche sociali, allo stato è riservata soprattutto la funzione di “gendarme sociale”: deve assicurare le condizioni legislative, giudiziarie e poliziesche per disciplinare il lavoro e renderlo disponibile a uno sfruttamento crescente. La scomparsa delle aristocrazie operaie e il conseguente riorientamento delle politiche del lavoro in senso repressivo è la terza novità apportata dalla globalizzazione contemporanea.
Senonché, al buon funzionamento dell’impero globale sono necessarie tre funzioni di governance centrale che richiedono l’azione di alcuni grandi stati sulla scena internazionale. La prima di tali funzioni è quella di sceriffo globale, e deve essere assolta da una potenza militare capace di disciplinare i paesi recalcitranti alla globalizzazione e di aprire i loro mercati alla penetrazione del capitale multinazionale. La seconda è quella di banchiere globale, e serve alla produzione della moneta che funge da principale strumento di pagamento e di riserva internazionale. La terza è quella di motore dello sviluppo: è resa necessaria dal fatto che l’accumulazione del capitale nei paesi emergenti e in via di sviluppo è trainata dalle esportazioni, cosa che presuppone l’esistenza di almeno una grande economia avanzata che cresca espandendo le proprie importazioni. Vedremo che nello svolgimento delle tre funzioni è emerso negli ultimi vent’anni qualche contrasto tra le grandi potenze. E questa è la quinta novità.