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L’arsenale della Banca centrale europea

La crisi attuale dell’euro è stata definita da Nouriel Roubini ed alcuni bloggers come “uno scontro ferroviario al rallentatore”.

Negli ultimi dodici mesi i treni hanno continuato nella loro corsa verso lo scontro, addirittura accelerando la loro velocità, ma lo scontro non va dato per scontato. Ci sono ancora delle misure – sia pure problematiche a dire il vero – che possono ancora evitare la collisione. I tedeschi sono contrari alla cosiddetta “mutualizzazione del debito pubblico europeo”, mediante l’emissione di obbligazioni per le quali tutti i membri dell’EMU sarebbero responsabili individualmente e collettivamente (jointly and severally). Un’opposizione ragionevole, come ho argomentato nel post precedente sul mio Blog Transition, perché inevitabilmente sarebbero i tedeschi e i pochi paesi rimanenti che godono di un rating AAA a finire col pagare per tutti. I tedeschi inoltre si oppongono ad un aumento dei fondi del cosiddetto Meccanismo Europeo di Stabilizzazione (MES), detto anche Fondo Salva-stati, molto meno ragionevolmente in vista dell’ingente esposizione della Germania alla crisi dell’euro. Per di più l’impiego del MES come scudo anti-spread, che pareva essere stato approvato dal Consiglio Economico del 28-29 giugno e che avrebbe consentito di guadagnare un po’ di tempo per trovare altre soluzioni, viene ritardato proprio nel momento in cui esso è più urgente proprio dalle tattiche di temporeggiamento della Corte Costituzionale Tedesca. E poi i tedeschi non pensano nemmeno alla mera possibilità di rilanciare la loro economia, il che è del tutto irragionevole poiché ciò non solo non gli costerebbe niente ma beneficerebbe loro per primi e poi tutti i membri dell’eurozona, riducendo il loro surplus commerciale e facilitando il ri-equilibrio dell’intera area. Paul Krugman ha suggerito che la Germania paghi a tutti i suoi cittadini un voucher di 1.000 euro da spendere nell’Europa meridionale – una proposta eccellente anche se semiseria, che naturalmente cadeva su orecchie completamente sorde. La crisi corrente dell’euro ha raggiunto una nuova fase più grave, con il fallimento di regioni e città metropolitane in Spagna (Valencia, Mursia, Cataluna) e in Italia (Alessandria; apparentemente la Sicilia; con altre 10 città che si considerano a rischio di default dato l’elevato indebitamento e gli sciagurati investimenti in derivati, vedi La Stampa del 23 luglio); gli spreads a livelli record; il declassamento dei ratings con la frequente aggravante di prospettive negative, che lasciano la Finlandia come l’unico paese che gode di un grado AAA stabile; la linea dura adottata sulla Grecia dalla troika (UE, BCE, FMI); e l’inesorabile recessione indotta da un troppo rapido consolidamento fiscale. In queste circostanze la Banca Centrale Europea rimane l’unica istituzione che abbia i mezzi per intervenire con efficacia. Certo, sappiamo che alla BCE non è consentito di agire come Prestatore di Ultima Istanza ai governi, a causa della clausola dei Trattati che proibisce i salvataggi. La BCE può acquistare su scala limitata titoli di stato dei paesi sottoposti ad attacchi speculativi attraverso il suo Securities Markets Programme (SMP), che aveva inizio il 10 maggio 2010, che però è già stato l’oggetto di critiche stringenti. E nel dicembre e febbraio scorsi la BCE iniettava un totale di circa 1000 miliardi di euro di liquidità nel sistema bancario europeo, attraverso le sue Operazioni di Rifinanziamento a Lungo Termine (LTRO, o Long Term Refinancing Operations, presto ri-denominate come Lourdes Treatment and Resuscitation Option, Eurointelligence.com 28/04/2012). Queste operazioni potrebbero essere ripetute, ma non indefinitamente, e in ogni caso si tratta di uno strumento piuttosto rozzo, dato che solo una frazione della liquidità iniettata va a finire nel supporto di titoli di stato. Ciononostante, ci sono ancora almeno due armi potentissime nell’arsenale della BCE. La prima di queste armi è la possibilità di moltiplicare il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) (e/o il suo predecessore EFSF per tutta la sua durata residua) mediante una licenza bancaria. In questo modo i titoli di stato acquistati dall’ESM/EFSF sarebbero usati come garanzia per prendere in prestito dalla BCE fondi addizionali che poi finanzierebbero l’acquisto di altri titoli di stato, e così via. Lo scorso dicembre lo stesso presidente dell’Unione Europea, Herman Van Rompuy, suggeriva che l’ESM sarebbe stato più efficace se fosse diventato “una istituzione creditizia”. I tedeschi, immediatamente (WSJ on line, 8/12/2011) e ripetutamente in seguito, respingevano quest’idea in relazione sia all’ESM che all’EFSF. Il 25 luglio era il governatore della Banca Centrale Austriaca Nowotny a suggerire una licenza bancaria per l’ESM, una proposta che immediatamente riduceva gli spreads – in particolare di Spagna e Italia – e rilanciava le borse. Tuttavia a rigore le operazioni creditizie dell’ESM/EFSF sono una questione di competenza della politica monetaria della BCE, che non è soggetta ad un veto tedesco. Il Protocollo dello Statuto del SEBC [Sistema Europeo delle Banche Centrali] e della BCE, all’Art. 18 su Operazioni di Credito e di Mercato Aperto, stipula che: “18.1. Al fine di perseguire gli obiettivi del SEBC (Sistema europeo delle Banche centrali) e di assolvere i propri compiti, la BCE e le Banche centrali nazionali hanno la facoltà di […] effettuare operazioni di credito con istituti creditizi ed altri operatori di mercato, erogando i prestiti sulla base di adeguate garanzie.” “18.2. La BCE stabilisce i principi generali per le operazioni di credito e di mercato aperto effettuate da essa stessa o dalle banche centrali nazionali, compresi quelli per la comunicazione delle condizioni alle quali esse sono disponibili a partecipare a tali operazioni”Non c’è dubbio che l’ESM e l’EFSF siano “altri operatori di mercato”, e la BCE a tutt’oggi considera i titoli con rating fino a BBB – e quindi anche i titoli di Italia e Spagna – come “adeguate garanzie”. Ed è la stessa BCE a stabilire i “principi generali” ed annunciare le “condizioni” per tali transazioni, senza essere soggetta ad alcun veto tedesco: Mario Draghi può farlo se e quando lo vuole. (Sono grato a Carlo Clericetti per avere chiarito questo punto sia in un commento al mio post precedente sul mio Blog Transition, sia nel suo articolo su Repubblica – Affari e Finanza del 19 luglio). La seconda arma nell’arsenale della CBE è una condotta della politica monetaria come quella di “Quantitative Easing” (QE) della Federal Reserve. Ciò è stato raccomandato in passato da molti commentatori, ma Eurointelligence.com del 24/7/2012 cita un articolo di Federico Fubini su Il Corriere della Sera della stessa data. “Secondo il Fubini, un QE europeo non va contro i Trattati dell’UE, purché la BCE acquisti titoli di stato di ogni paese dell’Eurozona” [il corsivo è nostro]. “… Anche Bank of America-Merrill Lynch ieri dichiarava che la BCE dovrebbe cominciare un QE prima possibile. ‘È una maniera di cambiare la situazione, di rompere lo stallo europeo’, dicevano gli analisti”. La cosa strana è che, pur raccomandando Quantitative Easing, né l’articolo originale di Fubini, né la dichiarazione di BoA-ML del giorno precedente, fanno alcun riferimento alla asserita conformità ai Trattati dell’UE di acquisti BCE di titoli di stato “purché la BCE acquisti titoli di stato di ogni paese dell’Eurozona” [inoltre, presumibilmente, va aggiunto “nelle stesse proporzioni in cui i vari paesi detengono azioni della BCE”]. Forse questa era una postilla aggiunta dal direttore di Eurointelligence.com, Wolfgang Munchau, o da un altro collaboratore della rassegna. In ogni caso, si tratta di una qualificazione brillante. Se la BCE acquista un pacchetto bilanciato di titoli di stato nella stessa proporzione in cui i vari paesi detengono azioni BCE, non c’è mismatch fra esposizione al rischio della BCE e dei suoi azionisti e quindi nessuno – compresi i tedeschi – ha motivo di lamentarsi. Presumibilmente sarà sempre possibile trovare, e stabilire in anticipo prima dell’acquisto, un modo soddisfacente di compensare le perdite (che sarebbero inflitte dai paesi più a rischio in caso di un loro default) con i guadagni dei paesi più ricchi (incluso il capitale addizionale da loro ottenuto dagli acquisti BCE). È vero che la BCE ha un capitale di solo €6 miliardi in corso di raddoppio su un arco di cinque anni, ma – anche mettendo da parte le robuste argomentazioni di Paul de Grauwe che una Banca Centrale non ha affatto bisogno di capitale di rischio – la BCE ha risorse massicce fuori bilancio, dell’ordine di almeno €3500 miliardi sotto forma del valore presente stimato del suo signoraggio (vedasi Buiter, 2011). L’esistenza di tali armi formidabili nell’arsenale della BCE non ci dice se e quando esse potranno essere usate. Ma il solo fatto che esse potrebbero essere usate dovrebbe porre un limite alla spirale discendente dei ratings del credito e all’ascesa degli spreads. Il 26 luglio Mario Draghi, a Londra per la Global Investment Conference, dichiarava: “Siamo pronti a fare tutto ciò che è necessario per l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente”… “È inconcepibile che un paese possa uscire dall’Area dell’euro”. E “Il controllo sugli spreads è parte del mandato della BCE quando essi impediscono i meccanismi di trasmissione monetaria”. Chiaramente non si trattava di un bluff, e i mercati finanziari gli hanno creduto, riducendo lo spread dell’Italia di oltre 50 punti sotto i 470 punti, facendo salire il tasso di cambio dell’euro di 1,5 centesimi di dollaro, e facendo volare le borse. A volte le armi sono efficaci anche solo mettendole in mostra, senza nemmeno doverle impiegare.

Versione italiana del post sul blog di Domenico Mario Nuti