Saranno i temi economici a decidere del futuro politico dell’Argentina. Dopo la crescita inarrestabile che ha seguito il default del 2001, l’economia del paese sudamericano ha vissuto una nuova crisi
Buenos Aires attende le decisive elezioni d’autunno che nomineranno il nuovo presidente ed il nuovo governo in un clima di grande incertezza. Incerti sono i nomi dei possibili candidati che ambiscono alla poltrona lasciata necessariamente libera da Cristina Kirchner per il limite raggiunto dei due mandati. Incerta ed altalenante la situazione economica. Incerto il quadro dei rapporti tra potere politico e potere giudiziario dopo la morte del magistrato Nisman che ha indagato su una presunta corresponsabilità della presidenta nell’insabbiamento di prove a carico degli iraniani nel vile attentato antiebraico del ‘94 in cui persero la vita 85 persone.
È un’incertezza che vive di grandi scontri politici ed economici, di un susseguirsi di passioni contrastanti. Infatti l’attuale opposizione di destra con il suo giornale di riferimento, Clarin, infiammano la campagna elettorale con accuse pesantissime all’esperienza di governo di Nestor e Cristina Kirchner. La morte di Nisman viene ossessivamente utilizzata per cercare di mettere in difficoltà il partito dei “peronisti di sinistra” a tutt’oggi, peraltro, ancora privi di un leader autorevole per le imminenti presidenziali. Sul fronte della destra si fanno avanti le figure dell’attuale sindaco di Buenos Aires, il conservatore Mauricio Macri, e dell’ex kirchnerista Sergio Massa.
Ma saranno i temi economici, al di là della strumentalità dell’iniziativa del giornale Clarin sulla vicenda Nisman, a decidere del futuro politico dell’Argentina. Dopo gli straordinari progressi economici e la crescita inarrestabile che ha segnato la fase immediatamente successiva al default del 2001, l’economia del paese sudamericano ha vissuto una nuova crisi per un violento attacco della speculazione finanziaria a cui si è fatto fronte con non poche difficoltà. Ma in queste ultime settimane le cose sembrano andare meglio. I tango bond registrano un sensibile abbassamento dello spread di rendimento rispetto ai titoli pubblici, un accordo con la Cina ha fatto fluire nelle casse dello Stato un salutare prestito di otto miliardi di dollari ed una positiva ed anticipata vendita di prodotti agricoli (grani, soia, mais) ha tonificato la bilancia commerciale. Si è persino mitigata l’inflazione che qui, nei periodi critici, è una vera dannazione perché fa schizzare i prezzi dei prodotti di largo consumo creando tensioni sociali molto acute (il governo ha opportunamente imposto prezzi controllati per beni ritenuti necessari). Ma, forse, il mistero del repentino cambio in positivo delle attese sul futuro economico del paese è determinato dal “fiuto” infallibile e cinico dei mercati finanziari. Sembrano gli unici a muoversi con disinvoltura nell’incertezza e persino a dipanare le nebbie della prospettiva. Prevedono un governo prossimo a loro più vicino e più “aperto” nei confronti della trattativa con gli hedge fund che non hanno accettato i compromessi del 2005 e del 2010. Lo stesso candidato peronista più accreditato, Daniel Scioli, la cui sorte sarà decisa nelle primarie del 9 agosto, è sicuramente più moderato dell’attuale leadership. Riuscirà il partito di governo a smentire queste funeste previsioni e a prospettare un’alternativa sociale al ritorno delle ipoteche liberiste? Questo è l’interrogativo più serio che incombe sulle classi meno agiate e sulla opinione pubblica democratica. C’è da rilevare che i mercati investono ora sui tango bond anche per le difficoltà di altre economie un tempo emergenti come quella russa, brasiliana e venezuelana.
Ma l’Argentina continua, nonostante le sue vicissitudini, ad attrarre immigrazione italiana. Risulta essere al quinto posto nel 2014 tra le mete preferite degli oltre centomila che abbandonano definitivamente il “belpaese” per cercare fortuna e, forse, anche un qualche significato alla loro vita. Sfidando ogni stereotipo ed ogni immaginazione i nuovi immigrati italiani provengono quasi tutti dal nord dell’Italia (Lombardia e Veneto). Buenos Aires, tra attese e scontri, tra incertezze e contrasti, sembra sospesa tra la fine del ciclo kirchnerista (anche se qui quasi tutti ritengono che Cristina Kirchner continuerà a muovere le fila dietro le quinte) ed un passato antico e doloroso che non smette mai di resistere. In questo senso possiamo dire che le classi più agiate, quelle che un tempo hanno convintamente sostenuto la sanguinosa dittatura militare, oggi concentrano il loro risentimento verso i più poveri e verso gli immigrati dei paesi limitrofi. Si è prodotta una miscela non dissimile dal razzismo del leghismo italiano e dal rinascente neonazismo del nord Europa. E’ questa la base sociale e culturale della rappresentanza politica della destra in Argentina. E, giusto per non farsi mancare nulla, ritornano a farsi minacciosi i rapporti con la Gran Bretagna per l’annosa vicenda delle Malvinas. Questa volta in palio non c’è la retorica puramente nazionalista della vecchia giunta militare, né l’esibizione muscolare a difesa delle sue colonie della signora Thatcher. Più prosaicamente il casus belli è la scoperta di pozzi di petrolio a poche miglia dalle coste argentine che gli inglesi hanno la pretesa di ritenere di loro esclusiva proprietà. Il recente acquisto di, sia pur non nuovissimi, dodici cacciabombardieri sukoi su-24 del governo di Buenos Aires dalla Russia sembra essere un messaggio di avvertimento fin troppo esplicito a Londra che non ha neanche gradito l’iniziativa diplomatica di rivendicazione territoriale di Cristina Kirchner alle Nazioni Unite. Il tema qui in Argentina è molto sensibile e solletica un forte orgoglio nazionale. Potrebbe essere anche questa la chiave di volta per l’incerta campagna elettorale del prossimo ottobre.