Top menu

Italia, il Paese delle armi

L’Italia è uno dei principali produttori di armi da guerra come fucili mitragliatori, oltre che di pistole da difesa personale e fucili. Tra opacità e reticenze, lobby potenti e zone grigie della politica. L’introduzione del libro-inchiesta di Opal.

L’Italia è il Paese delle armi. Certo, non come gli Stati Uniti dove ci sono più armi che persone. E nemmeno come la Svizzera dove – e qui sfatiamo la prima credenza – non è vero che ci sia un’arma in ogni casa: solo una famiglia svizzera su cinque detiene un’arma1 e, mentre nel 2004 erano 32mila i giovani che portavano con sé l’arma al termine del servizio militare, nel 2020 il numero si è ridotto a 1.582. 

L’Italia è il Paese delle armi perché vi è una lunga tradizione di produzione di armi di ogni tipo, in particolare – ed è a queste a cui ci riferiremo principalmente in questo libro – di “armi comuni”, cioè pistole da difesa personale, fucili da caccia e per il tiro sportivo, carabine e fucili a pompa per impiego sportivo e difesa abitativa: ma l’Italia – e non andrebbe dimenticato – è anche uno dei principali produttori di armi da guerra come i fucili mitragliatori appositamente sviluppati per l’utilizzo bellico. Secondo le aziende produttrici, l’Italia sarebbe “il primo produttore europeo di armi sportive e venatorie”2 tanto che il settore viene descritto come una “eccellenza del made in Italy”: una produzione rinomata anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti che rappresentano il principale mercato di esportazione e dove le armi italiane alimentano quella corsa ad armarsi – una vera paranoia collettiva – da parte di ampi gruppi della popolazione soprattutto a fronte di annunci di restrizioni a seguito di efferate stragi. 

Le armi italiane sono un prodotto che si è affermato anche grazie ai successi olimpici non solo dei nostri tiratori sportivi – che nelle ultime Olimpiadi di Tokyo hanno però conquistato meno medaglie di San Marino3 – ma di quelli di tutto il mondo: trofei che vengono puntualmente utilizzati dalle aziende produttrici per giustificare prese di posizione contrarie a norme più restrittive sul possesso di armi4. L’Italia è il Paese delle armi anche perché – secondo una ricerca di Eurispes – sarebbero “4,8 milioni le persone, pari all’8,4% della popolazione totale, che de- tengono un’arma da fuoco corta o lunga, da caccia o da tiro a segno o ancora da difesa”: ma il dato – continuamente riportato in articoli anche recenti – risale a 15 anni fa (al 2007) senza contare che tra quei 4,8 milioni di persone che detenevano armi ve ne erano 3 milioni che avevano denunciato “la presenza di armi in casa, ereditate o inservibili”, cioè praticamente di soprammobili. 

L’Italia è il Paese delle armi, ma è un Paese strano. È il Paese delle opacità e delle reticenze, dei silenzi e delle connivenze: atteggiamenti mirati soprattutto a nascondere i fatti – e i dati – ma perfettamente funzionali per alimentare la retorica. 

Considerata l’ampia produzione di armi ci si aspetterebbe, infatti, da parte delle imprese una serie di informazioni annuali molto precise e dettagliate a confermare il valore economico e l’importanza, anche a livello occupazionale, del proprio settore. O da parte dei rivenditori di armi un rapporto costantemente aggiornato sulle vendite di armi nel nostro Paese. Niente di tutto questo avviene. Per conoscere la produzione, le vendite e l’occupazione delle aziende produttrici di armi, l’associazione di categoria dei produttori, l’Anpam, ha dovuto commissionare tre indagini a un gruppo di ricercatori dell’Università “Carlo Bo” di Urbino i quali, segnalando “le resistenze degli operatori a fornire dati riservati”, hanno prodotto una serie di stime – quindi non valori certi – riguardo alla produzione, alle vendite in Italia e all’estero di queste armi. 

Dalla ricerca si scopre che la produzione di armi comuni (escluse quelle militari) in Italia vale all’incirca 600 milioni di euro, cioè tanto quanto la produzione di giocattoli (ma questo la ricerca non lo dice).
Si scopre, inoltre, che gli occupati nell’effettiva produzione di armi e munizioni di tipo comune arrivano a malapena al numero di 3.330 unità che rappresentano lo 0,1% degli occupati nel settore manifatturiero, lo 0,3% se si aggiungono i terzisti e i settori ausiliari della produzione di armi (10.081 addetti). Il settore economico è ancor più marginale non solo in rapporto al Prodotto interno lordo nazionale (ne rappresenta solo lo 0,03%), ma anche rispetto alle esportazioni di cui costituiscono meno dello 0,14%: una quota pressoché irrilevante per il saldo della bilancia commerciale. 

Ma tutto questo non fa parte della narrativa propagandata dai produttori di armi – e dai media che ne rilanciano pedissequamente i comunicati stampa – tanto che il leader della Lega (a settembre 2022), Matteo Salvini, un fan del settore, a ogni fiera di armi che si tiene sul suolo nazionale può permettersi di affermare, indisturbato, che l’industria delle armi e dei settori collegati darebbe lavoro a “centinaia di migliaia di persone”5: di fatto, anche considerando tutta la filiera delle armi – dalla loro produzione al loro impiego per la caccia, il tiro sportivo e tutte le attività in qualche modo connesse – gli occupati nel 2019 (ultimo dato disponibile) erano 81.557, con un calo netto di 12.707 posti di lavoro rispetto a dieci anni fa quando gli addetti erano 94.264. 

Le aziende produttrici ed esportatrici di armi, inoltre, si guardano bene dal rendere noti alcuni dei loro clienti eccellenti, in particolare quando si tratta di dittatori come Gheddafi (il suo arsenale privato, rifornito dalla Fabbrica d’Armi Beretta è stato totalmente saccheggiato dagli insorti), di corpi di sicurezza pubblici e privati conniventi col crimine (è il caso delle Forze di polizia e di private securities del Messico), o di regimi autoritari come l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Turkmenistan, il Kazakistan, l’Oman, il Bahrain, l’Iraq e il Qatar. 

Ma ancor più oscuro è il numero di persone in possesso di una licenza o di un permesso per detenere armi. L’unica fonte disponibile è una succinta tabella che appare annualmente, senza alcun commento, sulla rivista della Polizia di Stato e che riporta il numero di detentori delle licenze di porto d’armi (per difesa personale, per uso sportivo, per la caccia e per guardia giurata): a un attento esame i dati, oltre ad essere carenti (mancano tutti i permessi di “nulla osta”), risultano in gran parte inaffidabili e forse anche per questo il Viminale non ha mai pubblicato un rapporto ufficiale sulle licenze per armi nel nostro Paese. E men che meno ha pubblicato un rapporto sulle armi legalmente detenute dagli italiani: come si è detto, l’ultima informazione rilasciata dalla Polizia di Stato risale a 15 anni fa. 

La trasparenza, insomma, non è il nostro forte. È vero: pochissimi Paesi pubblicano dati attendibili su quanti cittadini detengono legalmente delle armi, su quante armi vengono acquistate annualmente dalla popolazione e in questo gli Stati Uniti – cioè il Paese nel mondo occidentale con la massima diffusione di armi pro capite – non fanno eccezione. Ma la mancanza di informazioni da parte delle istituzioni nazionali in questo settore spicca per opacità soprattutto se si pensa 

che il ministero dei Trasporti rende noti non solo i dati sul numero di mezzi in circolazione, di nuova immatricolazione, sul numero e tipo di patenti di guida (per regione e genere), ma finanche sul numero di candidati bocciati all’esame di guida. 

Tutto questo chiama in causa precise responsabilità da parte delle istituzioni e delle autorità nazionali competenti, ma non esime le aziende produttrici e rivenditrici di armi da un esame sul loro opera- to, in particolare riguardo alla loro responsabilità sociale d’impresa. E solleva un insieme di domande sul ruolo non solo delle aziende e delle loro associazioni di categoria, ma anche su tutti gli attori che fanno parte della “filiera delle armi”. In una parola, sulla “lobby delle armi” nel nostro Paese. 

LA LOBBY DELLE ARMI IN ITALIA 

La lobby delle armi in Italia si compone di tre gruppi indipendenti ma oggi saldamente uniti: i produttori e rivenditori di armi radunati nelle loro associazioni di categoria (principalmente Anpam, ConArmi e AssoArmieri), le riviste e i siti specializzati del settore delle armi (in particolare “Armi e tiro”, “Armi magazine” e tra i siti “Gunsweek.com”) e gruppi e associazioni di appassionati radunati per il comune obiettivo di difendere degli auto-proclamati “diritti” dei legali detentori di armi6. 

Mentre l’attività lobbistica dei produttori di armi, pur talvolta orientata ai media, è solitamente di tipo diretto, cioè è fatta di rapporti formali e informali con rappresentanti politici, quella delle riviste del settore e soprattutto quella delle associazioni di appassionati manifesta due specifiche finalità: innanzitutto cercare di radunare i legali detentori di armi attorno a una causa sociale e politica che viene propalata come di “interesse comune” e monitorare il mondo dell’informazione e dei social network per contrastare informazioni e opinioni avverse, anche utilizzando modalità di discredito sociale e reputazionale. In quest’ultima attività si sono distinti in questi anni la rivista Armi e tiro e soprattutto il Comitato direttiva 477 (oggi Unarmi) e il contiguo gruppo Firearms united Italia che fa capo al network Firearms united. 

Già dalla fine degli anni Novanta, si è infatti cominciato a parlare di creare anche in Italia una lobby delle armi sul modello della National rifle association (Nra) degli Stati Uniti. Stando alle notizie diffuse dagli appassionati del settore, sarebbe stata anche fondata una Nra Italia, ma ha avuto vita breve. Sono sorti poi altri gruppi e associazioni, tutti con 

l’obiettivo di replicare in qualche modo le modalità di azione della Nra e di radunare i legali detentori di armi promuovendone i loro interessi: tra questi gruppi e associazioni, formali e informali, si possono anno- verare l’Associazione utilizzatori delle armi (Auda), Difesa Italia, Tiro Pratico, Difesa dei legali possessori di armi e altri, tuttora più o meno attivi soprattutto su Facebook. 

La vera svolta è avvenuta a partire dal 2015, quando hanno preso il sopravvento il Comitato direttiva 477 (oggi Unarmi) e Firearms united Italia che fa capo al network che, allora si autodefiniva “organizzazione comunitaria”, denominato Firearms united7. L’obiettivo dichiarato di questui due gruppi è stato fin dall’inizio quello di opporsi a maggiori controlli e possibili restrizioni sulle armi che l’Italia e l’Unione europea avevano intenzione di introdurre a seguito delle stragi terroristiche di matrice islamica in Francia e in altri Paesi europei. Si sono così presentati, inviando lettere a tutti i parlamentari italiani, come rappresentanti e difensori degli “interessi di quel 12% circa della popolazione che possiede legalmente tra i sette e i quattordici milioni di armi da fuoco per impieghi sportivi, venatori, e difensivi. Tra questi annoveriamo oltre 750.000 cacciatori e un numero enorme di tiratori sportivi professionali o ricreativi, distribuiti in egual misura in tutt’Italia”8. 

Una serie di evidenti menzogne – a partire dalla percentuale di legali possessori di armi – considerato che il Comitato direttiva 477 e Firearms united, sebbene non abbiano mai rivelato il numero preciso di iscritti9, non rappresentano le associazioni venatorie e nemmeno quelle sportive che hanno i loro organi di rappresentanza. Nonostante ciò, sono riusciti, con ogni probabilità grazie al sostegno da parte di alcuni rappresentanti politici, ad accreditarsi presso le istituzioni nazionali ed europee. Forti di questo accreditamento, hanno lanciato, soprattutto attraverso la pagina Facebook Firearms united Italia, una campagna diretta non solo a promuovere le loro istanze, ma in modo velato anche a stigmatizzare l’operato di quei politici10, giornalisti e attivisti che manifestavano opinioni differenti. 

Come ho spiegato in varie interviste11, il Comitato direttiva 477 (oggi Unarmi) svolge principalmente la funzione istituzionale di rappresentare quelli che vengono descritti come legittimi interessi dei legali detentori di armi, mentre Firearms united Italia, promuovendo un’agenda molto più radicale e oltranzista, svolge il ruolo di propaganda sui social, in particolare Facebook e Twitter, fungendo da megafono mediatico e 

anche invitando i seguaci a rispondere agli attacchi dei media. Si tratta delle stesse modalità operative utilizzate dalla Nra in America con tre caratteristiche ben definite: innanzitutto i maggiori esponenti di Unarmi sono degli avvocati, cioè persone che non solo conoscono le normative ma possono anche operare sul piano legale attraverso esposti e denunce contro chi ne avversa legittimamente l’operato12; in secondo luogo, Unarmi ha ottenuto il sostegno formale da parte di Anpam, AssoAr- mieri e ConArmi, in rappresentanza dell’intero comparto produttivo e distributivo armiero italiano; in terzo luogo sempre Unarmi ha ottenuto il sostegno formale e scritto di vari politici italiani della destra, tra cui soprattutto il leader della Lega Matteo Salvini e gli esponenti di Fratelli d’Italia, Pietro Fiocchi e Sergio Berlato. 

È proprio la saldatura tra queste realtà (mondo dell’associazionismo, settore imprenditoriale e rappresentanze politiche conservatrici) che oggi, dopo le elezioni politiche che hanno messo il Parlamento in mano alla destra, non può non allarmare13. Del resto tra proclamare i “diritti dei legali detentori di armi” e sostenere il “diritto a detenere armi” il passo è breve. Ed è proprio questo l’obiettivo principale di associazioni come Firearms united e dei loro seguaci14. Gli imprenditori del settore delle armi ne sono a conoscenza? 

Con questo lavoro abbiano voluto fornire al lettore informazioni, dati e solidi elementi di realtà ma anche strumenti di analisi per contrastare la “cultura” – ma meglio sarebbe dire l’ideologia – delle armi che si sta diffondendo anche nel nostro Paese. 

Note
1. Si veda il dettagliato articolo “Un Paese armato”, pubblicato il 16 giugno 2021 sul sito della Radiotelevisione Svizzera (RSI): www.rsi. ch/news/svizzera/Un-Paese-armato-14144853. html.
2. Si veda il primo comunicato stampa diffuso dai promotori Anpam e Fiera di Vicenza, promotori della fiera delle armi Hit show “Fiera di Vicenza e Anpam si alleano: nasce Hit” pubblicato da “Armi e tiro”: www.armietiro.it/fiera-di-vicenza-e-an- pam-si-alleano-armi-5817.
3. Si veda il mio articolo “Ori olimpici e tiratori fantasma” pubblicato il 6 agosto 2021 sul sito “La Voce del Popolo”: www.lavocedelpopolo.it/ opinioni/ori-olimpici-e-tiratori-fantasma.
4. Si veda il documento presentato dall’As- sociazione Nazionale Produttori di Armi e Munizioni (Anpam) nell’audizione alla 1a Commissione permanente (Affari Costituzio- nali) del Senato sullo “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2017/853 che modifica la direttiva 91/477/CE, relativa al controllo dell’acquisizio- ne e della detenzione di armi”: www.senato.it/ leg/18/BGT/Schede/docnonleg/36141.htm.
5. Si vedano le dichiarazioni di Salvini alla fiera delle armi Hit show nel video “In diretta da Hit show: Matteo Salvini è tornato” pub- blicato sul sito della rivista Armi e tiro il 9 febbraio 2019: www.armietiro.it/indiret- ta-da-hit-show-matteo-salvini-e-torna- to-10518. Si vedano anche simili dichiarazioni di Salvini nel video pubblicato da “la Repubblica”: video.repubblica.it/dossier/ crisi_in_ucraina_la_russia_il_donbass_i_ video/ucraina-salvini-quando-si-parla-diar- mi-non-sono-mai-felice-i-video-in-cui-im- bracciava-fucili/411576/412503.
6. Come spiegheremo nei capitoli successivi la detenzione di armi nel nostro Paese non è un diritto, bensì è una concessione dello Stato sottoposta a diverse forme di licenza di porto d’armi e di permesso di detenzione attraverso
il “nulla osta”.
7. Si veda in proposito il mio articolo “La sparatoria al Tribunale di Milano e le lobby delle armi” pubblicato il 10 aprile 2015 sul sito di Unimondo a questo link: www.unimondo.org/ Notizie/La-sparatoria-al-Tribunale-di-Mila- no-e-le-lobby-delle-armi-150545.
8. È una parte del testo di una lettera inviata da Firearms united ai presidenti delle Commissioni Giustizia e Difesa e ai capigruppo in occasione della conversione in legge del D.L. 7 del 18 febbraio 2015. Ne abbiamo copia. 

9. In proposito il dato più citato dalle due associazioni è quello dei loro follower e “Mi piace” sulle rispettive pagine Facebook: “Mi piace” che per Firearms united Italia non superano i 16mila e per Unarmi i 9mila follower, ben lontani dagli oltre 1,2 milioni di detentori di licenza di caccia e per tiro sportivo.
10. In proposito va segnalata la vicenda che ha riguardato l’europarlamentare di Forza Italia, Lara Comi, che pur avendo dato udienza ai rappresentanti di queste associazioni e cercato di sostenere per quanto possibile le loro istanze, è stata fatta oggetto, in modo più o meno diretto, di una assidua attività denigratoria da parte degli aderenti e follower 

di questi siti. Si veda il “Comunicato ufficiale
di Firearms united Italia sulla vicenda Lara Comi” pubblicato l’1 febbraio 2017. Il comunicato si conclude con questa frase: “Per questo dobbiamo chiedere a tutti i nostri follower di spargere la voce: vi chiediamo di interrompere gli attacchi nei confronti dell’onorevole Comi. Se dovete esprimere dissenso nei suoi confronti, fatelo come sempre in maniera costruttiva, pacata, e mai volgare o minacciosa”. Si veda: www.facebook.com/Firearmsuniteditalia/ posts/1890547861176361. 

11. Si vedano gli articoli di Marco Romandini “Viaggio nella lobby delle armi italiana” pub- blicato da “Wired”: www.wired.it/attualita/ politica/2018/09/14/lobby-delle-armi-italia. E di Alessandro Da Rold “Armi, una lobby che fa gola a destra e sinistra” pubblicato su “Lettera 43”: www.lettera43.it/armi-macerata-licenza-opal-nra-produttori. 

12. Sui componenti del direttivo di Unarmi (già Comitato D-477) si veda il sito dell’associazione: www.unarmi.it.
13. Si vedano in proposito anche le importanti considerazioni di Nicola Persico “Armi in casa: se l’Italia segue il cattivo esempio degli Usa” pubblicato il 30 ottobre 2018 sul sito de “La Voce.info” a questo link: www.lavoce.info/ archives/55714/armi-in-casa-se-litalia-se- gue-il-cattivo-esempio-degli-usa. 

14. L’obiettivo di introdurre in Italia il “diritto costituzionale a detenere armi” sul modello della Repubblica Ceca è apertamente dichia- rato da Firearms united Italia che attraverso il proprio network ha lanciato la campagna “Carry Now”: carrynow.eu.