Eguaglianza e giustizia sociale sarebbero ottimi anticorpi contro la diffusione della xenofobia e del razzismo. Sabato 21 ottobre a Roma una manifestazione nazionale renderà visibile quella parte della società italiana che non si riconosce nelle urla e nelle violenze xenofobe
Eguaglianza e giustizia sociale sarebbero ottimi anticorpi contro la diffusione della xenofobia e del razzismo. Sarà questo il messaggio che sarà lanciato sabato 21 ottobre a Roma in una manifestazione nazionale che renderà visibile quella parte della società italiana che non si riconosce nelle urla e nelle violenze xenofobe e razziste e neppure nell’approccio prevalentemente securitario delle politiche migratorie e sull’asilo.
Sono arrivati in Italia negli ultimi 40 anni, in grandissima parte per motivi di lavoro: qui vivono, studiano, lavorano stabilmente. Sono ormai parte integrante della società italiana. Tra loro vi sono anche i figli della migrazione, coloro che sono nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri e che il nostro paese si ostina a non voler riconoscere come propri cittadini, negando l’approvazione della riforma sulla cittadinanza.
Un dibattito pubblico distorto preferisce rimuovere le cause strutturali che inducono gli uni e gli altri a lasciare i propri paesi per concentrarsi sulle “invasioni”, sul numero di persone che arrivano sulle nostre coste e sul “peso” insostenibile che eserciterebbero sul nostro mercato del lavoro, sul sistema di welfare e sulla finanza pubblica, sulle distorsioni del nostro sistema di accoglienza e sulle proteste popolari (molte delle quali spontanee solo in apparenza) che ne rifiutano l’esistenza e l’estensione.
È questo il messaggio che grazie a una propaganda serrata delle destre nazionali ed europee, alla miopia politica di chi governa l’Italia e l’Europa e alla sudditanza culturale delle forze politiche democratiche e di sinistra, ha ormai fatto breccia in una buona parte dell’opinione pubblica.
Così, diventa “normale” ritrovare i cartelli “non affittasi agli immigrati”, istituire linee di autobus separati per i richiedenti asilo, picchiarli per strada e filmarli per ostentare online la violenza più brutale, persino rinchiudere due donne rom in una gabbia colpevoli di aver rovistato tra i rifiuti di scarto di un supermercato.
E diventa troppo spesso “normale” uccidere: sono almeno undici gli omicidi razzisti documentati negli ultimi due anni.
La verità è che la costruzione tutta politica di una relazione di competizione tra i diritti dei cittadini nazionali e dei cittadini stranieri serve a distogliere il nostro sguardo dalle diseguaglianze economiche e sociali che crescono, dall’impoverimento che attraversa le nostre vite, dalla sfiducia nelle istituzioni che si è radicata nel nostro comune sentire, dalle scelte politiche che trasformano i diritti sociali garantiti dalla nostra Costituzione in privilegi per pochi garantiti ai soliti noti.
La nostra società ha fame di giustizia sociale ma non la trova. Questo è il punto.
E per questo attecchiscono facilmente i messaggi xenofobi e razzisti.
Servirebbe riorientare il nostro sguardo dalla parte giusta e tornare a riconoscere che una persona è una persona è una persona, dovunque sia nata. E che nessuno al mondo ha il diritto di negare a chicchessia il diritto a costruire per sé e per la propria famiglia un progetto di vita.
Servirebbe tornare a pretendere politiche economiche, sociali, sul lavoro e un impiego delle risorse pubbliche capaci di permetterci di vivere bene.
La competizione con chi si trova in una posizione lavorativa, economica, sociale o giuridica più fragile non migliorerà le nostre vite.
Sono l’umanità, la solidarietà, la contaminazione, il dialogo e la comune ricerca di un modello di relazioni capaci di rispettare ciascuno e ciascuna le chiavi del nostro futuro. Attraversano già molti spazi collettivi, le nostre scuole, i luoghi di lavoro, i quartieri delle nostre città con pratiche promosse dal basso che raramente ricevono gli onori delle cronache. Per questo li racconteremo a Roma sabato prossimo.