La parabola dello Stato sociale del Novecento è andata esaurendosi dopo gli anni ’80. Un volume ripercorre la storia del welfare italiano dalla grande guerra al fascismo, dal dopoguerra alle riforme sociali degli anni ’60 e ’70, concentrandosi sui temi: sanità, previdenza, assistenza.
Nell’ultimo ventennio del Novecento le condizioni economiche che avevano favorito la crescita del welfare in Italia e in Europa si sono indebolite, mettendone in crisi le basi economiche e il patto sociale postbellico che era stato alla base dello sviluppo. Da questo momento i sistemi di sicurezza sociale dei paesi occidentali hanno cominciato a misurarsi con prospettive di crescita più contenute delle risorse e a subire i vincoli di compatibilità dei conti pubblici.
Sul piano sociale, profonde trasformazioni hanno mutato il contesto e il ruolo dello Stato sociale. L’invecchiamento della popolazione, la riduzione delle nascite, le nuove tipologie dei nuclei familiari, inedite relazioni di genere, l’aumento dei flussi migratori, la precarizzazione del lavoro, gli squilibri territoriali hanno introdotto cambiamenti rilevanti nella domanda di servizi pubblici e prestazioni sociali, con una maggior complessità, articolazione e differenziazione che il sistema di welfare ha faticato a recepire e affrontare.
Sul piano politico, la storica funzione dello Stato sociale come fonte di legittimazione e consenso – una visione a lungo condivisa da un ampio arco di forze politiche – è andata riducendosi per la sua incapacità di dare risposte a nuove forme di povertà, disagio, insicurezza. Allo stesso tempo, si è affermato un progetto politico “neoliberista” con un’agenda di ridimensionamento dei servizi di welfare. In alcuni ambiti il welfare ha cessato di essere identificato direttamente con i servizi pubblici e si sono sviluppate importanti attività private e spazi di mercato specie nei campi delle pensioni integrative, della sanità e dell’assistenza. Il welfare è divenuto così sempre più un terreno di scontro politico e ideologico (1), mutando parte della fisionomia assunta durante il XX secolo.
Se questi processi hanno riguardato tutti i paesi occidentali, con importanti differenze nelle traiettorie di trasformazione del welfare, la vicenda italiana è stata connotata da alcune caratteristiche peculiari.
La prima è legata all’incompiutezza del sistema di welfare delineata nei capitoli precedenti, alla quale si è sommato un arretramento complessivo, accentuando le antiche distorsioni e i divari nei confronti dei maggiori paesi europei, soprattutto in ambiti come la sanità e l’assistenza. La seconda ha riguardato l’assetto istituzionale, con l’affermarsi di un “welfare mix” pubblico-privato, dei principi di sussidiarietà, di un modello di governance che ha coinvolto una molteplicità di attori (2), indebolendo il ruolo delle tradizionali politiche pubbliche nazionali. La terza si è data nell’accentuazione di differenziazioni nella quantità e qualità dei servizi di welfare, in specie tra aree di eccellenza del paese e aree periferiche, dovuta all’inadeguatezza di standard uniformi, alla fragilità organizzativa di molte realtà, a degenerazioni burocratiche. La quarta ha riguardato il riemergere di un marcato ruolo della famiglia, legato all’indebolimento dei servizi, al peso crescente assunto dai trasferimenti monetari compensativi dell’assenza di interventi nell’ambito della cura, all’affievolirsi di spinte universalistiche, alla rimodulazione dei nessi tra responsabilità individuali e collettive, con il risultato di aggravare il carico di lavoro di cura delle donne (3).
Infine, un’ultima caratteristica è stata la limitata capacità redistributiva del sistema di welfare, caratterizzato dal prevalere dei trasferimenti monetari (pari a quasi tre quarti della spesa sociale nel 2015), (4) rispetto alla fornitura di servizi ai cittadini e di interventi specifici sulle condizioni di maggiore disagio. Considerando il sistema di finanziamento e le prestazioni, il peso di normative «diversificate per categorie socio-professionali» ha portato «sistematicamente dei vantaggi a favore dei ceti medio-alti della società e a danno di quelli medio-bassi». (5)
Come si visto in questo volume, un elemento importante che ha segnato la costruzione dello Stato sociale in Italia è stata la combinazione tra espressione di bisogni sociali, conflitti sulle condizioni di vita, capacità di risposta delle forze politiche e sindacali, originalità nella definizione di nuove istituzioni del welfare, ruolo svolto da alcuni protagonisti delle riforme sociali del paese. A partire dagli anni Ottanta tale combinazione di fattori è andata riducendosi e all’arena delle politiche nazionali si è affiancata l’azione di nuovi soggetti privati – imprese, finanza, organizzazioni di terzo settore – e l’introduzione in alcuni ambiti di misure a scala europea.
La parabola dello Stato sociale nella forma che aveva caratterizzato buona parte del XX secolo in Italia e in altri paesi è andata così esaurendosi. Le traiettorie nazionali si sono differenziate in modo significativo, mentre l’Unione Europea non ha ancora affermato una cornice comune per il rinnovamento di un welfare a scala continentale. Il contesto economico ha portato a un assestamento (e in alcuni casi all’erosione) delle attività di welfare. Sul piano sociale si sono registrati un diffuso impoverimento, nuovi rischi e insicurezze, affrontati in modo parziale da politiche di contrasto alla povertà nel quadro di più complessi meccanismi di governance. (6) A livello nazionale, europeo e internazionale, i processi economici, sociali, demografici e politici delineatisi a partire dalla fine del XX secolo hanno aperto un capitolo nuovo di questa vicenda, chiudendo il “secolo breve” dello Stato sociale.
NOTE
1. Per una panoramica delle tesi che hanno accompagnato la revisione del welfare state si rinvia a A.O. Hirschman, Retoriche dell’intransigenza. Perversità, futilità, messa a repentaglio, Bologna, Il Mulino, 1991.
2. Su questi nuovi modelli, Y. Kazepov, D. Carbone, Che cos’è il welfare, Roma, Carocci, 2007; E. Pavolini, Le nuove politiche sociali, Bologna, Il Mulino, 2003.
3. C. Saraceno, Il welfare. Modelli e dilemmi della cittadinanza sociale, Bologna, Il Mulino, 2013.
4. OECD, Public social spending is high in many OECD countries, Social expenditure update 2019, OECD, Parigi.
5. Cfr. M. Paci, Stato sociale e redistribuzione del reddito, in C. Carboni (a cura di), Classi e movimenti in Italia. 1970-1985, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 250.
6. Sui mutamenti sociali ed economici subentrati negli ultimi decenni si rinvia da ultimo a C. Ranci, E. Pavolini, Le politiche di welfare, Bologna, Il Mulino, 2015, capitolo 3.
Chiara Giorgi, Ilaria Pavan, Storia dello Stato sociale in Italia, Il Mulino, 2021, pp. 520