Il decreto legge del governo modifica le norme penali, rendendo non perseguibile l’omessa dichiarazione fiscale e dimezza le pene per i comportamenti fraudolenti
Il governo ha varato un decreto legge per favorire il rientro dei capitali portati illegalmente all’estero. Colpisce che questo provvedimento sia stato adottato in un assordante silenzio e con un provvedimento d’urgenza come è un decreto legge. E colpisce anche che, dopo anni di critica radicale a condoni, scudi fiscali e sconti agli evasori, ora sia proprio un governo formato anche dal Pd a decidere che verso gli esportatori di capitali all’estero ci può essere un atteggiamento comprensivo.
Bisogna premettere che questo provvedimento non c’entra con l’eventuale accordo che l’Italia raggiungerà con la Svizzera sul superamento del segreto bancario. Gli sconti agli esportatori di capitali sono una decisione tutta dell’Italia, nessuno ce lo ha imposto. Il governo ha affermato che non è uno scudo fiscale. Di che cosa si tratta dunque? Il ministro Saccomanni ha dichiarato che il decreto legge non contiene alcuna forma di amnistia, ma solo un trattamento favorevole con sconti di pena per gli esportatori di capitali all’estero. Il ministro, purtroppo, non dice la verità, perché il decreto modifica le norme penali esistenti, rendendo non perseguibile l’omessa o infedele dichiarazione fiscale, punita finora da 1 a 3 anni. Ancora peggio: sono state dimezzate le pene per i comportamenti fraudolenti. Per di più, cancellando o dimezzando la pena massima, anche la prescrizione dei processi sarà più rapida e quindi gli esportatori di capitali illegali all’estero hanno buone probabilità di sfuggire del tutto alle sanzioni penali.
Enrico Letta ha giustamente rilanciato il conflitto di interessi. Problema tuttora irrisolto. Vedremo se sarà coerente. Purtroppo sembra dimenticare che, coerentemente, anche le pene per i reati societari vanno rafforzate, come il falso in bilancio che aspetta ancora un adeguamento delle pene.
Il contrario di quanto avviene con questo decreto, che fa seguito alla scomparsa della confisca, abrogata nella recente legge comunitaria. È vero: non c’è l’anonimato come nello scudo fiscale ideato da Tremonti e questa è una differenza importante. Ciò non toglie che purtroppo le idee di Tremonti influenzano anche questo provvedimento più di quanto non si voglia fare credere, e non a caso la proposta è uscita da un seminario in cui l’ex ministro era protagonista.
Affermare che i quattrini che entreranno grazie a questo provvedimento andranno a ridurre il costo del lavoro è propaganda a buon mercato e anche un poco pelosa perché il fondo per la riduzione delle tasse inserito nella legge di stabilità ha come primo compito la riduzione del debito.
Quanto pagheranno dunque coloro che hanno esportato illegalmente i capitali all’estero? Le sanzioni sono ridotte al 50 per cento del minimo, già abbassate, previdentemente, in un range tra il 3 e il 15 per cento per i paesi white list, quindi pagheranno l’1,5 per cento.
Chi ha esportato capitali ha ricavato i quattrini prevalentemente in due modi, o non emettendo fatture – quindi facendo nero – o falsificando i bilanci e le dichiarazioni dei redditi. Esportatori di capitali che prima hanno pagato regolarmente le tasse sono una rarità, probabilmente insignificante. Gli evasori, senza commettere reati fiscali, avrebbero esportato ben poco e si sarebbero esposti a controlli pericolosi (per loro) da parte delle Entrate e della Guardia di finanza.
Quando si decide per l’illegalità, come per l’esportazione dei capitali, di norma è illegale tutta la filiera. Il Sole 24 ore ha dedicato spazio e attenzione all’argomento e ha tentato di fare i conti in tasca a chi volesse fare rientrare i capitali esportati all’estero. In un istruttivo articolo ha calcolato 1.200 euro ogni 100.000 euro esportati, sulla base di una presunzione di guadagno del 6 per cento sul capitale che essendo capital gain verrebbe tassato al 20 per cento.
In sintesi: pene ridotte o cancellate, sanzioni ridotte alla metà del minimo, già ridotto, e pagamento di una presunzione di guadagno. Molto meno di quanto avrebbero dovuto versare in Italia se i redditi fossero stati regolarmente dichiarati. La conclusione è che se non lo si vuole chiamare condono o scudo fiscale gli assomiglia molto. Ma c’è anche un altro punto sottovalutato. L’Unione europea ha già messo in mora lo scudo fiscale di Tremonti perché condonava l’Iva (tassa europea non condonabile), anche se purtroppo la richiesta europea si è persa nella nebbia del ministero dell’economia. Se l’Italia non recupera l’evasione dell’Iva degli esportatori di capitali rischia un’altra figuraccia europea. In altri paesi come sappiamo la lealtà fiscale è presa molto seriamente e frodare il fisco può essere motivo di condanne pesanti. Perché mai l’Italia dovrebbe continuare con i condoni?