Secondo una schiera di liberisti, lo Stato dovrebbe mettere solo dare sgravi fiscali, finanziamenti a pioggia, salvare banche e aziende e lasciar fare al mercato. L’appello “L’Italia che vogliamo” pensa che serva a stabilire confini e modalità. Dal blog su Huffington Post.
In questi giorni diversi quotidiani e trasmissioni TV si sono interrogate su come si uscirà da questa emergenza, quale sarà il ruolo degli investimenti pubblici e dello Stato in economia. Si sono utilizzate espressioni come “economia mista” e – da parte degli opinioni conservatori e liberisti – di “sovietizzazione” dell’economia. La Confindustria ha messo le mani avanti e alcuni suoi esponenti hanno lanciato anatemi contro l’ipotesi della partecipazione pubblica al capitale azionario di alcune imprese strategiche.
Secondo questa schiera di liberisti ad oltranza lo Stato dovrebbe mettere solo i soldi, dare sgravi fiscali, dare finanziamenti a pioggia, salvare banche e aziende e lasciar poi fare il lavoro (sporco) al mercato e alle imprese. Una vacca da mungere. Un po’ come dopo la crisi del 2007-8. La bandiera di questo arraffone “liberismo di Stato” sono la “socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei benefici”. Insofferente del ruolo di regolazione dello Stato, questo liberismo è all’insegna della “libera volpe nel libero pollaio”, dove i polli spennati siamo noi.
Sono gli stessi che in questi anni hanno predicato – utilizzando strumentalmente l’argomento degli sprechi e della cattiva gestione – la privatizzazione del servizio sanitario: se avessimo fatto come suggerivano, pagheremmo ora un prezzo amaro. La realtà è che il modello della globalizzazione neoliberista ha fallito ed è insostenibile: in questi decenni sono cresciute a dismisura le diseguaglianze economiche e sociali; i cambiamenti climatici hanno quasi raggiunto un punto di non ritorno; si sono alimentati a dismisura nazionalismo e populismo; le tensioni finanziarie e della competizione mondiale possono portare ad esiti drammatici.
Per dirla con Polanyi non è la società ad essere un prodotto del mercato, ma viceversa: è il mercato ad essere incorporato nella società, ad essere una sua funzione. E questa, attraverso le sue istituzioni e il suo governo ha il dovere di stabilire regole, confini, modalità e procedure attraverso le quali il mercato funziona.
La politica, le politiche servono a questo. In un’emergenza sanitaria come questa e in quella economica che ci accompagnerà per molto tempo, la ripresa di un ruolo attivo delle istituzioni e delle politiche pubbliche è fondamentale. La sfera privata, il mercato vanno rispettati: ma senza lo Stato non ci si salva e non è possibile costruire una società giusta e sostenibile.
E’ questo il senso di un appello per l’Italia che vogliamo sottoscritto da più di 2 mila esponenti di associazioni, rappresentanti delle forze sociali, intellettuali, personalità, ecc., tra cui la segretaria della FIOM Francesca Re David, Rosy Bindi, Giovanni Moro, Raniero La Valle, Padre Alex Zanotelli, Susanna Camusso, Giovanni Moro, Rossana Rossanda, dirigenti di associazioni come l’ARCI, ilWWF, Cittadinanzattiva, la Rete della Conoscenza, Legambiente, la Rete Disarmo, Antigone, Lunaria, il CNCA, ecc. Oggi non è più rinviabile una massiccia politica di investimenti pubblici, di rafforzamento del welfare e del servizio sanitario pubblico, di una riconversione ecologica dell’economia.