Che ruolo ha la spesa per il Pnrr nell’attuale manovra di bilancio del governo Draghi? All’aumento degli investimenti si affianca uno scenario preoccupante di contenimento della spesa corrente – compresa quella sociale – e dei consumi.
L’attuale dibattito sulla manovra di bilancio ha avuto scarsi legami con la questione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che in precedenza era stata per mesi al centro della discussione politica. E’ utile ricordare che alla crisi pandemica l’Unione europea ha risposto attivando il Next Generation EU, articolato in due strumenti: il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF), con un riferimento temporale che va dal 2021 al 2026, e il Pacchetto di assistenza alla ripresa (REACT EU), che copre il biennio 2021 e 2022. L’RRF si articola in prestiti e sovvenzioni. L’Italia dovrebbe ricevere nel corso degli anni 191,5 miliardi sull’RRF (68,9 di sovvenzioni e 122,6 sotto forma di prestiti), oltre a 13 miliardi dal REACT EU. L’utilizzo dei fondi, integrati per l’Italia da 30 miliardi di risorse nazionali, è tuttavia subordinato prima all’approvazione da parte degli organi europei e, successivamente, al rispetto nei tempi e nei contenuti del PNRR.
Il PNRR, nel rispetto delle indicazioni dell’Unione Europea, è stato approvato alla fine di maggio del 2021. Il piano prevede sei missioni (all’interno delle quali sono individuate 14 componenti); agli interventi di spesa si dovranno accompagnare riforme per la modernizzazione della struttura economica e sociale del paese, riassumibili in un forte impulso alla digitalizzazione e alla semplificazione del quadro normativo e regolamentare.
Gli effetti del PNRR nei documenti governativi
Come si legge nella premessa al PNRR, l’utilizzo dei fondi UE rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme, compensando, almeno nelle intenzioni, gli effetti delle politiche restrittive realizzate dopo la crisi del 2010-11. Nelle stime del governo “una valutazione preliminare dell’impatto del Piano è che esso possa aumentare il tasso di crescita potenziale dell’economia italiana di 0,5 punti percentuali in forza della maggiore spesa effettuata e circa 0,3 punti grazie alla piena attuazione del tipo di riforme programmate. Prima della crisi, il tasso di crescita potenziale dell’economia era stimato (con il metodo della funzione di produzione seguito a livello UE) a 0,6 per cento. In via prudenziale, si può valutare che l’attuazione del Piano porterebbe il tasso di crescita potenziale nell’anno finale del programma all’1,4 per cento” (PNRR p.27).
Conviene soffermarsi su queste valutazioni, partendo dalla ripartizione dei fondi per categorie economiche. Nel complesso, il 61,8% delle risorse è destinato a investimenti pubblici, il 12,2% è costituito da spesa corrente, il 18,7% sono incentivi alle imprese, il 5% trasferimenti alle famiglie e il 2,4% sono riduzioni di contributi datoriali. Si può aggiungere che la spesa per investimenti in costruzioni rappresenta il 32,6% della spesa complessiva e che il 10% è destinato alla R&S e alla realizzazione di piattaforme informatiche e database (PNRR pagg.253-254).
Nella scansione temporale degli effetti del piano il Pil dovrebbe risultare nel 2026 superiore del 3,6% rispetto a quello che sarebbe risultato in assenza del piano, in uno scenario di continuazione delle politiche sostanzialmente stagnazioniste degli ultimi. La crescita nel primo biennio dovrebbe derivare dagli effetti di domanda riconducibili agli investimenti in costruzioni. Nel secondo periodo, dal 2024, si ipotizza che la crescita sia il risultato dall’incremento dello stock di capitale. A questo riguardo si ipotizza che, concentrando gli investimenti in settori di maggiore efficienza, con un’elevata crescita del prodotto potenziale, l’elasticità del Pil allo stock di capitale pubblico sia pari a 0,17. In questo gruppo ricadono “investimenti materiali e immateriali nelle reti dei settori dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti, in particolar modo quando questi siano in grado di colmare divari strutturali e favorire la transizione ambientale e tecnologica” (PNRR, pag.248).
Ove si procedesse invece a privilegiare gli investimenti a bassa efficienza (con elasticità pari a 0,07), il differenziale di crescita nel 2026 si limiterebbe all’1,8%. Sulla solidità delle stime dell’elasticità del Pil rispetto allo stock di capitale non sono in grado di esprimere opinioni.
Il bilancio pluriennale 2022-2024
Gli effetti previsti nel primo triennio di applicazione del PNRR hanno trovato una quantificazione nel bilancio pluriennale 2022-2024. I quadri programmatici macroeconomici e di finanza pubblica incorporano gli interventi riconducibili al PNRR. È utile soffermarsi sul biennio 2023-2024, quando verrà meno il rimbalzo dell’attività produttiva seguita all’uscita dalla pandemia. Nella Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef) è prevista una crescita del Pil del 2,8 nel 2023 e dell’1,9 nel 2024. Questi dati devono essere confrontati con le deviazioni dallo scenario basse esposte nel PNRR: nel 2023 la deviazione è stimata all’1,9%, evidenziando quindi un effetto della manovra complessiva di finanza pubblica aggiuntivo rispetto al PNRR. Nel 2014 al contrario l’incremento previsto nel quadro programmatico del Nadef, pari come detto a 1,9, è inferiore alla deviazione dallo scenario base dovuto al PNRR, pari a 2,4. Sia pure in un quadro previsivo, si può intuire che gli interventi previsti dal PNRR trovino compensazione in azioni restrittive in altre componenti della domanda aggregata.
Nel biennio 2013-2014 la crescita è determinata dalla domanda nazionale, con un ruolo preminente svolto dagli investimenti (per larga parte attribuibili al PNRR) che dovrebbero crescere a tassi in media del 4,5%. Al contrario, l’incremento dei consumi nazionali si riduce nel 2024 all’1,5%. E’ poi significativa la contrazione della spesa della pubblica amministrazione, che dovrebbe registrare nel 2023 un incremento dello 0,4% e una diminuzione dell’0,2% nel 2024.
Si deve inoltre ricordare che si prevede una crescita del costo del lavoro dell’1,5% con aumenti medi di produttività sempre nel biennio dello 0,25%. Con il deflatore del Pil che aumenta ogni anno dell’1,5%, appare evidente che la dinamica retributiva sarà molto contenuta e che una crescita apprezzabile dei consumi delle famiglie potrà derivare solo da una contrazione del tasso di risparmio, proseguendo la tendenza del biennio 2020-2021.
Ulteriori considerazioni possono essere tratte dal quadro programmatico di finanza pubblica, sempre esposto nella Nadef. L’indebitamento netto dovrebbe scendere al 3,3%, dal 9,4 del 2021, il disavanzo primario dovrebbe praticamente annullarsi al termine del periodo di previsione, dal 6% del 2021. Una significativa riduzione della spesa corrente, dal 44% del 2022 al 43% del 2024 (Nadef, p.63) dovrebbe poi verificarsi per effetto della riduzione in termini relativi di tutte le voci di spesa. La spesa corrente, esauriti gli effetti delle misure anticovid dovrebbe infatti convergere verso un livello inferiore nella parte corrente a quello registrato negli anni precedenti la crisi.
L’impostazione della politica di bilancio è perfettamente coerente con la premessa al Nadef: “la strategia di consolidamento della finanza pubblica si baserà principalmente sulla crescita del PIL stimolata dagli investimenti e dalle riforme previste dal PNRR. Nel medio temine sarà altresì necessario conseguire adeguati avanzi primari. A tal fine, si punterà a moderare la dinamica della spesa pubblica corrente e ad accrescere le entrate fiscali attraverso il contrasto all’evasione” (Nadef, pag.9).
In altri termini, il continuo miglioramento dei saldi di finanza pubblica, dato il ruolo del PNRR nella promozione degli investimenti pubblici (che dovrebbero collocarsi al 3,5% del Pil), implica la compressione della spesa corrente, anche in quelle componenti che la crisi pandemica ha dimostrato essere inadeguate da ogni punto di vista, sia nei livelli retributivi dei dipendenti dello Stato, sia nella qualità e quantità dei servizi pubblici fondamentali. Il PNRR sembra dunque svolgere un ruolo di sostituzione della spesa corrente con interventi in conto capitale sia diretti in opere pubbliche, sia indiretti sotto forma di contributi agli investimenti privati. D’altro canto non sembra che, per le dinamiche retributive che si annunciano, la domanda privata possa sostenere tassi di crescita capaci di recuperare il ritardo accumulatosi negli ultimi decenni.
Le regole europee
L’impostazione del bilancio pluriennale, oltre che frutto di scelte nazionali, è anche il riflesso dell’incertezza che regna sulle regole europee che saranno applicate nei prossimi anni. Come viene ampiamente descritto nella Nadef, è stata attivata la clausola di salvaguardia generale, evitando l’avvio di procedure sanzionatorie per disavanzi e debiti eccessivi; nello stesso tempo sono rimaste in vigore le procedure.
Data l’accumulazione di debito pubblico avutasi in questi anni e l’esigenza di non compromettere le prospettive di ripresa, si pone certamente l’esigenza di rivisitare le regole di finanza pubblica dell’Unione europea. Nella Nadef si sottolinea che la caduta del Pil del biennio 2020-21, ha determinato una forte divaricazione fra reddito effettivo e reddito potenziale, sempre ammettendo che le modalità di calcolo di questo aggregato siano affidabili. Questa divaricazione ha reso ammissibile l’adozione di politiche fiscali moderatamente espansive, tendenti appunto a recuperare i livelli di attività pregressi. Il recupero annunciato per l’anno in corso e per quelli successivi determinerà peraltro una rapida chiusura dell’output gap. Per l’Italia si stima che il divario sarà colmato nel 2024. Negli anni successivi, sempre che le previsioni siano verificate, emergerà un output gap positivo nel senso che il reddito effettivo risulterà superiore a quello potenziale (qualunque sia il significato che si voglia attribuire a questa configurazione macroeconomica).
Se non saranno introdotte nuove regole intelligenti, data la preferenza comunque accordata alle spese in conto capitale rispetto a quelle correnti, emergerebbe la necessità di introdurre tagli alle spese correnti in misura superiore a quelli al momento previsti. Nella stessa Nadef (pag.81) emerge una viva preoccupazione per questa prospettiva.
Si deve poi tenere presente che il ricorso ai fondi del RRF, nel quadro predisposto dal PNRR, implica di per sé un significativo aumento del rapporto debito pubblico-Pil. Anche sotto questo aspetto una radicale riformulazione della regola del 60% – definita nel Trattato di Maastricht – appare necessaria.
Quali spazi per spesa corrente e consumi?
Il PNRR è uno strumento importante di inquadramento delle scelte di finanza pubblica nel prossimo quadriennio. Per le sue dimensioni, riporta il livello degli investimenti pubblici a quelli registrati negli anni di crescita sostenuta dell’economia italiana. Ma, nel contesto ideologico che domina l’Unione europea, il PNRR con la sua enfasi sugli investimenti, sembra implicare una significativa compressione o un mancato recupero della spesa in importanti settori della vita nazionale, quali la sanità e l’istruzione, settori per i quali le azioni previste dal PNRR non sono di portata particolarmente significativa.
Deve essere poi sottolineato che gli effetti positivi dell’azione di finanza pubblica sono tanto più significativi e duraturi quanto più il quadro macroeconomico è coerente con un’appropriata distribuzione del reddito, presupposto essenziale per una crescita adeguata dei consumi interni. Dinamiche retributive che penalizzino il mondo del lavoro non sono certamente compatibili con prospettive di sviluppo continuo. In questo senso l’assenza d’ogni riferimento alle problematiche distributive nei documenti governativi rende il quadro programmatorio, sia di finanza pubblica, sia macroeconomico, assai opaco. Qualcuno può legittimamente pensare che oggi in Italia le esigenze più urgenti richiedano un rafforzamento qualitativo e quantitativo della spesa sociale in un quadro macroeconomico appropriato anche sul piano distributivo.