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Il piano inclinato dell’università 

Meno risorse, più precariato, un ruolo sociale messo in discussione e una stretta alla libertà accademica: dagli Stati Uniti all’Italia le università sono sotto tiro. Se ne parla il 18 marzo al convegno della Scuola Normale a Firenze.

Il futuro dell’università – in Italia come negli Stati Uniti – appare pieno di insidie. Negli Usa un editoriale del 15 marzo del New York Times denunciava la stretta autoritaria dell’amministrazione Trump contro le università, fatta di tagli ai finanziamenti, chiusura di programmi di ricerca, intimidazioni a docenti e ricercatori. Negli ultimi giorni le misure introdotte dal governo degli Stati Uniti hanno visto il licenziamento di 1.000 persone dal Department of Education, che verrà ridimensionato, tagli di fondi per 400 milioni di dollari alla Columbia University e per 800 milioni alla Johns Hopkins University, dove 2.000 persone resteranno senza lavoro. 

Di fronte a questi preoccupanti sviluppi, nel marzo 2025 la Federazione europea delle Accademie delle scienze (ALLEA) – di cui fa parte l’Accademia dei Lincei – ha espresso “gravi preoccupazioni sulle crescenti minacce alla libertà accademica, negli Stati Uniti e altrove (…), tra cui gli ordini dell’esecutivo per bloccare programmi federali di ricerca per miliardi di dollari su temi come il cambiamento climatico e le questioni di genere”. 

Restrizioni alle iniziative di ricerca e di dibattito si sono moltiplicate di recente anche in Europa, in Paesi che vanno dall’Ungheria alla Germania, e sono state documentate dai volumi di Tomaso Montanari “Libera università” (Einaudi 2025) e di Donatella della Porta “Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica” (Altreconomia, 2024).

In Italia stanno cambiando molti assetti istituzionali dell’università e ci sono seri problemi di ridimensionamento, come ha denunciato di recente la Rete di 130 Società Scientifiche italiane. Vediamo alcuni aspetti chiave sul ruolo svolto dalle università e sulle politiche in corso.

I laureati: pochi ed emigrati. In Italia tra il 2021-22 e il 2023-24, il numero di studenti universitari totali è rimasto stabile, a poco meno di due milioni, ma gli studenti delle università statali sono diminuiti di 40 mila (sono ora 1 milione e 562 mila), mentre quelli delle università private telematiche sono aumentati di 50 mila (sono ora 274 mila). Nel nostro Paese si registra una delle percentuali più basse di laureati sul totale della forza lavoro tra i Paesi europei, pari a meno del 20%, con un limitato aumento negli ultimi vent’anni. Il sistema economico del Paese tende a offrire ai giovani posti di lavoro con qualifiche e salari modesti e con condizioni di lavoro precarie.  

Uno degli effetti dei bassi salari e della precarietà del lavoro è stata la forte emigrazione dall’Italia di giovani laureati, documentata dalle ricerche della Fondazione Nord Est. Nel periodo 2011-23 sono 550 mila i giovani italiani tra i 18 e 34 anni che sono emigrati all’estero, oltre 50 mila nel 2023 e tra questi il 43% – circa 21 mila giovani – era laureato, almeno con una laurea triennale. Molti dei laureati emigrati sono docenti e ricercatori. Nel corso di un decennio si valuta che siano andati a lavorare all’estero circa 14 mila ricercatori e ricercatrici italiane. 

Risorse insufficienti per l’università e la ricerca. L’Italia registra una percentuale della spesa per ricerca pubblica sul prodotto interno lordo (PIL) tra le più basse d’Europa: è stata a lungo intorno allo 0,50% del PIL, è salita allo 0,70% con i finanziamenti straordinari del PNRR, ma con l’esaurirsi di quei fondi rischia di tornare ai livelli di partenza. Secondo i dati Ocse nel 2021 la spesa per l’università in Italia era pari all’1,5% della spesa pubblica totale, contro il 2,5% della media dei Paesi UE. Nel 2024 il governo Meloni ha ridotto il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) di 173 milioni – promettendo ora di aumentarlo di 336 milioni nel 2025 -, non ha dato coperture per i circa 300 milioni di spesa aggiuntiva per l’adeguamento Istat degli stipendi del personale, non ha finanziato i 340 milioni aggiuntivi previsti dal piano straordinario per le assunzioni del governo precedente, ha introdotto il limite del 75% al rinnovo del turnover del personale che va in pensione. Molti atenei hanno subito un grave ridimensionamento delle risorse disponibili. 

Docenti e ricercatori precari. In Italia i professori e i ricercatori di ruolo sono diminuiti dai 62 mila del 2006 ai 48 mila del 2024; data l’elevata età media dei docenti, nei prossimi tre anni intorno al 10% dei professori ordinari e associati andrà in pensione. Sono cresciute invece le figure precarie: ci sono oggi circa 9 mila “RTDa” (ricercatori a tempo determinato di tipo A) e oltre 20 mila assegnisti di ricerca, che rappresentano circa il 40% di tutto il personale docente e di ricerca. Per il reclutamento di giovani ricercatori il governo aveva presentato nel 2024 in Senato il Ddl 1240 che moltiplicava ulteriormente le figure precarie; il Ddl è stato ora sospeso, mentre è stata finalmente introdotta la figura del contratto di ricerca. Resta un vuoto di regole e di risorse che aggrava le prospettive dei giovani. 

La crescita delle università telematiche. Il governo sta preparando nuove modifiche in diversi aspetti del sistema universitario. Le iniziative che hanno creato maggior preoccupazione sono le misure che hanno favorito la forte crescita delle università telematiche private –  in alcuni casi di proprietà di fondi d’investimento stranieri. Le regole attuali sul numero di docenti, sulla quota di docenti strutturati e sulle modalità di svolgimento degli esami non garantiscono la qualità dell’insegnamento universitario. Nel 2022 il rapporto medio studenti-docente nelle università telematiche era di 384 a 1, contro i 28 studenti per docente nelle università classiche. 

L’appuntamento di Firenze. Per riflettere sul ruolo delle università – sul contesto internazionale e sugli sviluppi in Italia -, sulle risorse disponibili e sui cambiamenti istituzionali in corso, la Scuola Normale Superiore organizza martedì 18 marzo a Firenze, l’incontro “Il futuro dell’università in Italia”, che si svolgerà a Palazzo Strozzi  dalle 10.00 alle 13.30, presso la classe di scienze politico-sociali. Tra i relatori ci saranno il direttore della Scuola Luigi Ambrosio, il preside della Classe Guglielmo Meardi, il Rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari, Luca Paolazzi della Fondazione Nord-Est, Maria Luisa Meneghetti dell’Accademia dei Lincei, Luigi Burroni dell’Università di Firenze, docenti e ricercatori della Scuola come Donatella della Porta, Mario Pianta, Lorenzo Zamponi, Daniela Chironi. L’evento potrà essere seguito anche online, o vedendo poi il video dell’evento.