L’europarlamento ha detto no al bilancio pluriennale su cui i paesi membri si erano accordati. Forse i cambiamenti saranno minimi, ma l’unica istituzione europea eletta dai cittadini ha mandato ai governi un segnale importante
Così è avvenuto ciò alcuni si auguravano, ma non osavano del tutto sperare.
Il parlamento europeo, la massima ed unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini dell’Europa, ha bocciato la proposta di bilancio pluriennale su cui i presidenti ed i governi dei paesi membri si erano accordati l’8 febbraio 2013, rivedendo al ribasso la proposta avanzata dalla Commissione europea nell’autunno del 2012.
La bocciatura è avvenuta ad ampia maggioranza: 506 voti contrari alla approvazione, 161 favorevoli, 23 astenuti. A parere del parlamento la proposta non può essere accettata in quanto è ritenuta troppo restrittiva per la gestione delle prossime politiche settennali.
Il parlamento ha sancito che il bilancio di austerità deciso dai 27 governi dell’Unione non è ricevibile dai rappresentanti eletti dai quasi 500 milioni di cittadini dell’Unione.
Sul carattere di austerità del bilancio pluriennale, ci siamo già occupati in un nostro intervento, Sette anni di austerity nei conti europei
Il Consiglio europeo aveva operato riducendo nel complesso il budget rispetto a quanto proposto dalla Commissione europea, che invece aveva formulato una ipotesi più espansiva. I tagli inoltre sono stati non distribuiti in modo proporzionale tra le varie voci di bilancio. Infatti erano limitati nelle voci “redistributive” del bilancio, sulle quali maggiori erano i rischi di veto da parte dei singoli paesi membri dell’Unione, quindi negli aiuti diretti alla produzione agricola ed alle politiche di coesione tra i paesi europei. Invece si erano concentrati nelle voci di “crescita” che supportano sia una domanda pubblica diretta da parte della Commissione europea sia la qualità della crescita e dello sviluppo centrato sulla conoscenza, ricerca ed innovazione, ovvero sulle voci che supportano direttamente la domanda aggregata e fattori di competitività comuni e collettivi. L’esatto opposto di quanto era nelle intenzioni della Commissione la quale, in una logica di bilancio di crescita, voleva premiare la “crescita” di tutti e penalizzare la “redistribuzione” a favore di pochi. Questo purtroppo non era una novità negli esiti del confronto tra Commissione europea e Consiglio europeo. Anche nel passato il Consiglio, che è espressione governativa dei paesi membri molto più di quanto lo sia la Commissione, aveva ridimensionato e riequilibrato il bilancio a fini redistributivi più che di crescita. La novità è stata che per la prima volta il Consiglio europeo era intervenuto, su pressione dei governi “euro-scettici” e con l’avvallo di quelli “pro-austerità” riducendo il valore assoluto del bilancio pluriennale rispetto non solo alla proposta della Commissione, quanto rispetto al bilancio pluriennale precedente 2006-2013.
Il parlamento europeo, con il suo voto del 13 marzo, ha bocciato questa scelta. Non è nuovo il parlamento ad inviare messaggi forti ai paesi membri ed al Consiglio europeo in particolare. Nel gennaio 2006, nella discussione sul budget pluriennale 2007-2013 il parlamento aveva espresso parere negativo.
Il parlamento aveva anche uno strumento procedurale da utilizzare: un quinto dei membri del Parlamento avrebbe potuto chiedere la procedura con voto secreto e questo avrebbe aperto la strada alla bocciatura. Il bilancio pluriennale deve essere approvato dalla maggioranza assoluta del parlamento, costituita da 378 parlamentari, e le assenza in aula come pure le astensioni contano come voto contrario. I parlamentari che fanno riferimento ai partiti che sono al governo nei singoli paesi, governi che nel Consiglio europeo si erano avvalsi della minaccia del diritto di veto tutelando interessi “redistributivi” piuttosto che di “crescita”, in presenza di voto secreto avrebbero potuto sentirsi meno vincolati al mandato governativo che poco pesano nel parlamento, oppure parlamentari governativi che ritengono che il loro paese abbia tratto pochi vantaggi redistributivi dalla soluzione raggiunta dal Consiglio europeo avrebbero potuto rigettare l’ipotesi di accordo. Al contempo i parlamentari che fanno riferimento ai partiti che non sono al governo nei singoli paesi avrebbero potuto confermare la loro preferenza per un bilancio più espansivo, e spesso, nell’attuale scenario dei governi dei singoli paesi europei, il loro orientamento è progressista piuttosto che moderato o conservatore.
Ma non vi è stato bisogno di tutta questa alchimia procedurale legata al voto secreto. Il parlamento ha proceduto a voto palese e la maggioranza dei no è stata schiacciante. Forse la crescente protesta verso la politica di austerità che attraversa il sud dell’Europa, ma ora anche il disagio sociale in alcuni paesi del nord Europa, ha costituito una pressione sui parlamentari per un no al bilancio pluriennale di austerità.
Ora cosa accade, dopo questo no? La strada è molto stretta, e non illudiamoci che il budget cambi in modo significativo.
Il parlamento pone quattro condizioni per la approvazione futura del bilancio, e manda le sue richieste per la discussione in seno al Consiglio europeo.
Le condizioni sono: 1) flessibilità nella gestione delle poste di bilancio da un anno all’altro e tra posta e posta; 2) la possibilità di revisione nel corso dell’esercizio; 3) maggioranza qualificata del Consiglio europeo e non l’unanimità nella fase di revisione; 4) maggiori risorse proprie per la gestione del bilancio che devono sommarsi a quelle messe a disposizione da parte degli stati membri.
La prima condizione conferirebbe alla Commissione europea maggiore flessibilità nella gestione del bilancio per adattare impegni e pagamenti in relazione alla situazione congiunturale dell’economia europea e alle priorità politiche ritenute rilevanti per la “crescita economica”, piuttosto che per la “redistribuzione tra paesi”. La seconda condizione assicurerebbe una revisione del budget pluriennale a metà esercizio al fine di adattarlo alla evoluzione di medio periodo dell’economia europea. Questa condizione è strettamente associata alla terza condizione, con la quale si prevede il superamento del veto da parte di alcuni paesi introducendo la procedura di revisione mediante maggioranza qualificata dei Paesi, riducendo così il potere dei paesi “euroscettici” che hanno lavorato con forza per indebolire il ruolo propositivo della Commissione europea nella definizione del budget. Infine, la quarta condizione intende accrescere le risorse a disposizione della Commissione prevedendo che una maggiori risorse possano provenire in via diretta mediante, ad esempio, la tassazione sulle transazioni finanziarie oppure la tassazione sulle emissioni inquinanti che sono responsabili dell’effetto serra.
Infine, un ulteriore aspetto critico su cui il parlamento è intervenuto è quello del gap tra impegni e pagamenti in quanto si segnala come questa pratica del deficit programmato rischi di porre in discussione la sostenibilità dei programmi di spesa che non hanno copertura totale, e che al contempo rendono inaccettabile la pratica di spostare a futuri esercizi l’onorabilità del debito contrattato. Si tratta quindi di una bocciatura del deficit strutturale che rischierebbe di portare a rivedere al ribasso gli impegni successivi.
Ora si apre una negoziazione tra Consiglio europeo, costituito dai presidenti e dai capi di governo dei paesi membri, da un lato, e parlamento europeo e Commissione europea, dall’altro. Non illudiamoci che il Consiglio riveda in modo significativo il bilancio pluriennale, almeno nei suoi valori assoluti, ma certo è che il parlamento europeo, unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini, ha mandato ai governi un segnale importante.