Voleva tornare alla scuola con il maestro unico e le lezioni solo al mattino, invece ha rilanciato le domande al tempo pieno. Che adesso sfonda anche al Sud: più 35%. Per accontentare davvero la libera scelta delle famiglie, servirebbero 10.000 insegnanti in più. Invece, ci aggiorna il ministero, ne avremo 37.100 in meno
Pensava sicuramente alle scuole primarie del Nord, Maria Stella Gelmini, quando per mesi si è sbracciata a ripetere che il tempo pieno non era in discussione e che, anzi, dai tagli sarebbero probabilmente derivati nuovi margini per ampliarlo. Anche lì, certo, anche a Brescia e a Bergamo devono arrivare le forbici che tagliano ogni spazio di flessibilità (e anche lì , certo, deve sfolgorare il nuovo sole del “maestro unico”), ma neppure Tremonti può permettersi di liquidare in quattro e quattr’otto il modello vincente, quello attorno a cui girano gli equilibri di vita delle tante mamme che lavorano. A Milano è a tempo pieno il 95% delle classi, e siamo ben sopra l’80% in tutta la Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna, in parti della Toscana. Perfino a Roma, la città dove per decenni sono stati i tempi dei ministeri a condizionare quelli della scuola di base, le classi a tempo pieno sono ormai più del 53%. Tutt’altra storia, invece, nelle regioni dove il modello più diffuso è stato quello a 30 ore settimanali (due pomeriggi coperti): é da lì, dalla soppressione di quello “scandaloso spreco” fatto di tre insegnanti ogni due classi che doveva arrivare il grosso dei risparmi pretesi dal ministero dell’economia. Da Palermo, da Catania, da Napoli, da Bari, e dai tanti luoghi del Mezzogiorno dove le donne che hanno un’occupazione stabile sono assai meno che nel Centro-Nord e dove il tempo pieno ha avuto sempre vita più grama. Non perché non sarebbe prezioso, e forse più che in altre aree del paese, ma perché i Comuni non hanno mai fatto davvero quello che dovevano; e anche perché a tanti insegnanti in fondo è sempre andata meglio così. Avanti tutta, dunque, con i modellini succinti delle 24 e delle 27 ore settimanali, ottimi per le mamme benestanti e iperprotettive, perfetti per le famiglie che adorano i quattro canonici pomeriggi settimanali dedicati a scherma, piscina, danza, e quant’altro, eccellenti per chi apprezza e capisce le magnifiche sorti e progressive di una maestra davvero unica. E naturalmente rassicuranti anche per quei tanti enti locali che tutto hanno in mente tranne che dedicare risorse e impegno ad adeguare edifici e locali scolastici, organizzare refezioni, assicurare trasporti. Dev’esserci stata qualche settimana, forse un paio di mesi, in cui Gelmini la “determinatissima” – come la chiama il suo mentore Berlusconi – deve davvero avere pensato di poterla fare franca. Nonostante un movimento che ha tenuto botta per tanto tempo, e nonostante la contrarietà di parte consistente dell’opinione pubblica. Nonostante l’alleanza, in moltissime realtà, tra insegnanti e genitori. Nonostante le reazioni freddine che si sono più volte manifestate anche dalle parti della maggioranza. Proteste e contrarietà di fronte alle quali il ministro se l’è inizialmente cavata dando alle famiglie la libertà di scelta tra i diversi orari nella scuola primaria. Salvo poi scrivere previsioni degli organici per le nuove prime classi che hanno al centro un solo modello orario: quello delle 27 ore, l’unico che consente i risparmi previsti dal governo, soprattutto dopo il rinvio al 2010-2011 di quelli che dovrebbero derivare dal riordino della scuola secondaria superiore. Ma le cose sono andate in modo molto diverso. Se l’ultimo comunicato stampa del ministero, ai primi di marzo, parlava ancora di un “lieve aumento “ delle domande di tempo pieno, due settimane dopo i numeri delle iscrizioni sono lì, a spiegare impietosamente che l’operazione non è andata come si sperava a viale Trastevere. E a dire che, se la si vuole confermare, avrà sicuramente costi pesanti in termini di consenso. Perché i modelli a 24 e a 27 ore non sono stati affatto gettonati e sono stati anzi richiesti da non più del 10% delle famiglie. Perché in sei casi su dieci, i genitori hanno chiesto le 30 ore con due pomeriggi coperti la settimana. E sopratutto perché la domanda di tempo pieno è cresciuta strepitosamente in tutto il paese (10,6% nel Nord, 7,8% nel Centro) e in particolare in quel Mezzogiorno (35%) che avrebbe invece dovuto, secondo le previsioni, assicurare il massimo contributo alla logica dei tagli. Fatti due conti, si parla di 3.200 classi e di circa 10.000 insegnanti in più. Che cosa è successo ? Richiami e indiscrezioni fanno capire che Gelmini è furibonda con i dirigenti scolastici, a cui rimprovera neppure troppo implicitamente di non avere sostenuto abbastanza le decisioni del governo, di essere stati infidi e sleali. Ed è verosimile che una parte di loro possa avere direttamente o indirettamente consigliato le famiglie a chiedere il massimo per non perdere tutto. Ma è anche probabile che proprio il modo con cui sono state prese le decisioni, così arrogante, così ideologico, così incapace di mettersi in sintonia con gli insegnanti, l’opinione pubblica, le esigenze concrete, i problemi delle diverse aree territoriali abbia spinto molte famiglie a riflettere, le abbia messe sull’avviso. Che molte, insomma, abbiano capito che si sta giocando una partita molto importante, anche al di là della questione della scuola elementare e dei suoi modelli e tempi di funzionamento. E che bisogna reagire, tentare di opporsi, farsi sentire. Perché non pensare, inoltre, che abbiano potuto pesare, in particolare nel Sud, anche le rassicurazioni del leader più amato dagli italiani? Berlusconi ha promesso più volte non solo che il tempo pieno non sarebbe stato compromesso ma che poteva crescere addirittura del 50 o del 60 per cento. E forse c’è chi, anche in questo come in mille altre cose, si è fidato. E ha creduto che finalmente, se era lui a dirlo, perfino le inerzie dei comuni e le resistenze degli insegnanti potevano finalmente dissolversi. Ma a sciogliersi come neve al sole potrebbe essere , tra qualche settimana, qualche consenso. Quando, fatti e rifatti mille volte i conti, molti capiranno che non è affatto vero – come ancora in questi giorni ripete Gelmini – che questa volta le famiglie hanno potuto scegliere liberamente il quadro orario più adatto ai propri figli. Perché delle due l‘una. O sull’onda delle libere scelte delle famiglie Gelmini contraddice le pretese di Tremonti – e questo francamente pare improbabile – o a molte famiglie verrà negato quello che hanno chiesto.
Refresh: nella serata del 23 marzo il governo ha dato ai sindacati tutte le cifre dei tagli, che confermano quanto scritto in quest’articolo: a molte famiglie verrà negato quel che hanno chiesto. Si prevedono infatti dal prossimo anno scolastico 9.968 posti in meno nella primaria, 15.542 nella scuola di primo grado, 11.347 nella scuola secondaria. (vai al sito della Flc-Cgil, oppure della Cisl scuola, o su tutto scuola)
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