Il Mes nasce dalla visione di rigorismo controproducente che ha frenato il processo unitario e anche la sua versione aggiornata sembra senza condizioni solo per un primo periodo. Tuttavia l’Europa sta mettendo in campo strumenti di sostegno innovativi e potenti.
Il confronto nell’Eurogruppo e la preparazione del Consiglio dei capi di governo del 23 aprile sembrano ignorare le novità epocali che il conavirus sta scaricando sulle prospettive economico-sociali in tutto il mondo.
Le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, che seguono quelle della settimana scorsa di Goldman Sachs, certificano che si sta delineando la recessione dell’economia mondiale più grave da quella del ’29: dalla previsione per il 2020 fatta solo a gennaio scorso di +3,3%, si passa al -3%; nell’Eurozona si prevede -7,5% e in Italia -9,1%. Ma questa crisi segue quella del 2008 dalla quale non si era ancora usciti. Prima ancora dell’esplosione della pandemia, la Germania era già avviata alla recessione; negli USA, nel primo trimestre del 2020 si era verificato un calo della crescita dell’8%. Secondo il FMI, negli USA il tasso di disoccupazione nell’anno in corso è previsto triplicare (dal 3,7% al 10,4%); in Italia torneremo al 12,7% e in Spagna al 20,8%. E questi dati economici non colgono i mutamenti profondi e improvvisi che stanno colpendo l’opinione pubblica, che modificheranno gli stili di vita e il senso comune su molti aspetti della convivenza sociale. In tutto questo, la politica fa fatica a capire e non aiuta la comprensione dei mutamenti in corso che, invece, la superano.
In Europa, la corona-crisi potrebbe diventare anche il redde rationem per il processo unitario; tuttavia l’agenda su cui si scontrano i governi e le proposte difese o contrastate dai politici che su questo inseguono il consenso elettorale nei propri paesi sono ancorate ad una realtà di cui non sembrano avvertire lo stravolgimento in corso.
Prima della corona-crisi, la costruzione dell’UE aveva già particolarmente patito gli effetti della globalizzazione non governata. In paesi come USA, Cina, India, Russia, l’accresciuto squilibrio tra le sfere d’influenza dei mercati globalizzati e delle istituzioni pubbliche nazionali è stato attenuato dalle grandi dimensioni delle seconde. In Europa, la globalizzazione non governata, la crisi del 2008 e gli squilibri stato-mercato hanno colpito maggiormente i suoi paesi di dimensioni medio-piccole sorpresi nel guado del processo unitario. Si pensi solo al fatto che i 17 paesi dell’Eurozona sono gli unici al mondo a non avere una banca centrale mentre la BCE non ha uno Stato cui fare riferimento.
Con la corona-crisi, il frazionamento istituzionale dell’UE sta accentuando i suoi effetti negativi ostacolando le possibilità di fronteggiarla; diventano più evidenti le incongruenze delle modalità seguite nel processo unitario dominate dalle idiosincrasie nazionali e dalla fallacia logica del rigore ragionieristico applicato alla macroeconomia che non fa capire come, nell’insieme, debiti e credi – al pari dei difetti e delle virtù – siano complementari.
In questa situazione di grande cambiamento, anche il confronto tra MES ed Eurobond non ha più la rilevanza che continua ad essergli attribuita. I due strumenti rimangono tecnicamente diversi. Il MES nasce dalla visione di rigorismo controproducente che ha frenato il processo unitario; nell’Eurogruppo del 9 aprile, la prospettata riduzione delle sue condizionalità ne attenua la natura vessatoria, ma è stato confermato che “In seguito, gli Stati membri dell’area dell’euro rimarranno impegnati a rafforzare i fondamentali economici e finanziari, in linea con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle istituzioni UE competenti.” Dunque la ridotta condizionalità è a tempo! Gli Eurobond, invece, pur limitati alle necessità indotte dalla pandemia (Coronabond) costituirebbero il salto di qualità adatto a contrastare la corona-crisi e a rilanciare su nuove basi la costruzione europea.
Tuttavia anche nell’ambito degli strumenti già utilizzati nell’UE, sono altri quelli che si stanno dimostrando più decisivi. La BCE sta già intervenendo a sostegno dei paesi membri in ragione dei loro specifici bisogni generati dalla corona-crisi. L’acquisto di titoli pubblici nazionali sui mercati secondari per 1150 miliardi di euro entro il 2020 (ma non si escludono aumenti) non è più vincolato alla partecipazione di ciascun paese al capitale della BCE. I Collaterali a garanzia che vengono accettati dalla BCE per i prestiti alle banche ordinarie si sono ampliati a quelli con basso rating come quelli greci; questo è anche un segnale di difesa di tutti i titoli di stato dell’Eurozona. Naturalmente, il mercato primario dei titoli (dove la BCE non interviene per il regime di “divorzio” esistente tra Banca centrale e Tesoro) e quello secondario sono diversi, ma tra loro stanno diventando sempre più comunicanti. Gli acquisti ingenti e prestabiliti della BCE sul mercato secondario comunque influenzano le emissioni di titoli pubblici sul mercato primario. Anche se per il momento non esistono titoli dell’UE (Eurobond) e i governi stanno molto litigando per crearli o meno, titoli di paesi europei sono già nel bilancio della BCE per 2200 mld, (circa il 15% del PIL dell’Eurozona). D’altra parte, non è un caso se il nostro spread sia rimasto sostanzialmente stabile e su valori di gran lunga più bassi rispetto alla situazione molto meno grave del 2011 (quando raggiunse 574),
Dunque la BCE sta già facendo interventi simili a quelli sui quali i rappresentanti governativi nell’Eurogruppo stanno animatamente discutendo e che nel nostro paese stanno diventando motivo di spaccatura anche nella maggioranza. Assistiamo ad un ritardo e ad una inadeguatezza della politica rispetto ai cambiamenti storici che il Coronavirus sta accelerando.
Tuttavia, la BCE e la politica monetaria non possono risolvere, da sole, i problemi strutturali cresciuti negli ultimi anni che riguardano l’evoluzione delle condizioni dell’offerta e della domanda nell’economia reale e le serie possibilità di nuove e più grandi bolle finanziarie.
Il sostegno finanziario, comunque fatto (coronabond, MES, altre tipologie di prestiti erogati dagli stati nazionali, dalla BCE o dalla Commissione europea, ecc) aiuta senz’altro a risolvere impellenti carenze di liquidità e le diverse modalità fanno anche differenza. Tuttavia, le difficoltà dal lato dell’offerta (la fragilità dei sistemi produttivi generati dalla combinazione tra delocalizzazioni e protezionismi) e dal lato della domanda (il venir meno dei redditi interni e del commercio internazionale), quando si prolungano per motivazioni strutturali, non sono risolvibili con iniezioni di liquidità che, invece, a fronte di una riduzione sensibile dei livelli produttivi, alimentano bolle finanziarie. Gli squilibri prolungati e disomogenei nei diversi settori produttivi tra la riduzione dell’offerta e la crescente liquidità potranno dar luogo a variazioni differenziate dei prezzi settoriali, con aumenti, che potranno convivere con spinte recessive (reces-flazione) e depressive (depres-flazione). Per contrastare questi nuovi squilibri, i mercati avranno ancora più bisogno dell’interazione con le istituzioni.
Tra gli “effetti collaterali” del Coronavirus c’è anche la plateale conferma di quanto sia incongruente la logica del “divorzio” tra Banca centrale e Tesoro. E’ stato del tutto dimenticato che il debito pubblico può essere finanziato anche dalla banca centrale in qualità di prestatore di ultima istanza. Ed è proprio quanto sta accadendo negli USA e in GB, che non sono bloccati da fondamentalismi ideologici. Il finanziamento monetario della spesa pubblica alimenterebbe l’offerta e contemporaneamente la domanda (i redditi da essa generati); la liquidità così creta non alimenterebbe pericolose bolle. La finanza cesserebbe di essere fine a sé stessa e recupererebbe il suo ruolo funzionale rispetto all’economia reale. Mettere nell’agenda dell’EU anche questo punto sarebbe più lungimirante che discutere di MES e Eurobond e delle loro possibili varianti.