Se in Italia una forte componente dell’ambientalismo ha avuto e ha una base nella cultura scientifica lo si deve anche a Giorgio Nebbia. È stato tra i primissimi a introdurre l’analisi del ciclo delle merci, con una particolare attenzione alla quantificazione e qualificazione degli effetti ambientali, in qualche modo antesignana della moderna Life Cycle Analysis.
Con la precisione del chimico riusciva a dissezionare in modo analitico i temi senza mai perdere però una capacità di lettura complessiva, storica e culturale, che ha sempre contrassegnato la sua cifra. Era parte del nucleo storico dell’ambientalismo e per me, giovane studente in fisica, fu davvero un incontro importante.
Era l’aprile del 1977: mentre a Bologna il mouvement discuteva le tesi di Toni Negri su Stato e rivoluzione, ci riunivamo a Verona per discutere di nucleare e energie alternative. Con Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri, anche Giorgio Nebbia era coinvolto nella strutturazione del movimento antinucleare, nato in Italia come altrove su impulso anche di personalità del mondo scientifico.
Nel 1981 a Bologna, dove studiavo, con il Comitato per il controllo delle scelte energetiche riuscii a organizzare un convegno contro il nucleare assieme alla Flm. Fu un momento importante: questa combinazione tra una organizzazione antinucleare e il sindacato dei metalmeccanici aveva attirato l’attenzione di Giorgio Bocca – e grazie anche all’abilità di Marcello Stecco responsabile stampa del sindacato – che scrisse, per la prima volta, un ampio articolo – una pagina su la Repubblica – dando spazio alle tesi antinucleari espresse da esponenti della comunità scientifica. Certamente l’intervento di Giorgio Nebbia, assieme a quelli di Mattioli, Scalia e De Santis avevano colpito per la forza e la base scientifica degli argomenti.
Così pochi anni dopo, nell’affrontare la tesi di laurea sugli effetti ambientali e sanitari del carbone, gli chiesi di poter essere seguito per una parte – merceologica – del lavoro, mentre per quelli specificamente fisici il relatore era Enzo De Santis, che ci ha lasciato qualche anno fa.
Era il modo migliore, scrivere una tesi, per poterlo frequentare e «usarne» le competenze e, dunque, per imparare qualcosa. Già: non sono tante le persone da cui davvero si impara qualcosa nella vita e, per me, Giorgio Nebbia è stato tra questi pochi. Come capita, ci siamo poi persi di vista e sentiti pochissimo. L’ultima volta un anno fa: ringraziandolo per la bella recensione del libro su Greenpeace Italia – pubblicata in queste pagine – aggiungevo due righe per ricordargli quel periodo della tesi e come abbia influito sulla mia formazione. Questo, per fortuna, gliel’ho potuto scrivere, ricevendo una risposta altrettanto affettuosa. Ciao Giorgio.
* Direttore di Greenpeace Italia
Articolo pubblicato dal Manifesto il 4 luglio 2019
Se in Italia una forte componente dell’ambientalismo ha avuto e ha una base nella cultura scientifica lo si deve anche a Giorgio Nebbia. È stato tra i primissimi a introdurre l’analisi del ciclo delle merci, con una particolare attenzione alla quantificazione e qualificazione degli effetti ambientali, in qualche modo antesignana della moderna Life Cycle Analysis.
Con la precisione del chimico riusciva a dissezionare in modo analitico i temi senza mai perdere però una capacità di lettura complessiva, storica e culturale, che ha sempre contrassegnato la sua cifra. Era parte del nucleo storico dell’ambientalismo e per me, giovane studente in fisica, fu davvero un incontro importante.
Era l’aprile del 1977: mentre a Bologna il mouvement discuteva le tesi di Toni Negri su Stato e rivoluzione, ci riunivamo a Verona per discutere di nucleare e energie alternative. Con Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri, anche Giorgio Nebbia era coinvolto nella strutturazione del movimento antinucleare, nato in Italia come altrove su impulso anche di personalità del mondo scientifico.
Nel 1981 a Bologna, dove studiavo, con il Comitato per il controllo delle scelte energetiche riuscii a organizzare un convegno contro il nucleare assieme alla Flm. Fu un momento importante: questa combinazione tra una organizzazione antinucleare e il sindacato dei metalmeccanici aveva attirato l’attenzione di Giorgio Bocca – e grazie anche all’abilità di Marcello Stecco responsabile stampa del sindacato – che scrisse, per la prima volta, un ampio articolo – una pagina su la Repubblica – dando spazio alle tesi antinucleari espresse da esponenti della comunità scientifica. Certamente l’intervento di Giorgio Nebbia, assieme a quelli di Mattioli, Scalia e De Santis avevano colpito per la forza e la base scientifica degli argomenti.
Così pochi anni dopo, nell’affrontare la tesi di laurea sugli effetti ambientali e sanitari del carbone, gli chiesi di poter essere seguito per una parte – merceologica – del lavoro, mentre per quelli specificamente fisici il relatore era Enzo De Santis, che ci ha lasciato qualche anno fa.
Era il modo migliore, scrivere una tesi, per poterlo frequentare e «usarne» le competenze e, dunque, per imparare qualcosa. Già: non sono tante le persone da cui davvero si impara qualcosa nella vita e, per me, Giorgio Nebbia è stato tra questi pochi. Come capita, ci siamo poi persi di vista e sentiti pochissimo. L’ultima volta un anno fa: ringraziandolo per la bella recensione del libro su Greenpeace Italia – pubblicata in queste pagine – aggiungevo due righe per ricordargli quel periodo della tesi e come abbia influito sulla mia formazione. Questo, per fortuna, gliel’ho potuto scrivere, ricevendo una risposta altrettanto affettuosa. Ciao Giorgio.
* Direttore di Greenpeace Italia
Articolo pubblicato dal Manifesto il 4 luglio 2019