Nonostante evidenti segni di rallentamento, dovuti soprattutto a cause strutturali interne, Brasile, Russia, India e Cina promettono ancora di crescere sul medio-lungo termine
Tra il 2007 e il 2012 l’economia cinese sarà cresciuta, grosso modo, intorno al 60% e quella dell’India del 43%, mentre nello stesso periodo quella dei paesi sviluppati soltanto del 2-3% (Wolf, 2012). Ma, di fronte alle cifre piuttosto deludenti degli ultimi mesi, ci si interroga ora sulla eventualità che lo sviluppo dei paesi del Bric sia arrivato ad un punto critico.
I dati di base
Partiamo dalle cifre relative ai tassi di crescita del Pil per i quattro paesi del Bric. Per quanto riguarda la Cina, negli ultimi 33 anni la sua economia si è sviluppata in media del 10% circa all’anno. Nel 2010 eravamo al 10,2%, mentre nel 2011 si è scesi al 9,2%. Tutte le previsioni per il 2012 sono per un’ulteriore riduzione del tasso di crescita, con stime che vanno dal 7,5% – indicato dalle fonti governative, che di norma sottovalutano le previsioni- sino, grosso modo, al 9,0%.
Anche lo sviluppo dell’India è stato spettacolare negli scorsi decenni, anche se i tassi di crescita sono stati in passato più ridotti di quelli cinesi. Così dal 1991 e per un lungo periodo l’economia si è sviluppata un po’ più del 6% all’anno, ma poi le cose sono migliorate. Tra il 2005 e il 2008 il ritmo di crescita è così salito intorno al 9%; ma ora si manifesta un rallentamento e nell’ultimo anno fiscale il Pil è aumentato un po’ meno del 7%. Le previsioni più ottimistiche parlano di un 7,5%-8,0% per il 2012, ma c’è chi pensa, abbastanza realisticamente, anche a meno del 7%.
Il Brasile, dal canto suo, ha raramente conosciuto i livelli di aumento del Pil sopra ricordati. La crescita media tra il 2003 e il 2010 si è aggirata intorno al 4% annuo, ma va considerato che la situazione di partenza era più avanzata di quella di India e Cina. Nel 2010 si è avuta una punta piuttosto inusuale del 7,5%, ma nel 2011 il tasso di sviluppo si è fermato al 2,7% e le previsioni per il 2012 si aggirano intorno al 3%-3,5%.
Infine la Russia. Dopo il forte crollo dell’economia seguito alla caduta del comunismo, dal 1999 al 2008 il paese si è messo a crescere ad un tasso intorno al 7% all’anno. C’è stato però un crollo del -7,9% nel 2009 e, peraltro, una ripresa pari al 4% nel 2010. Il Pil è aumentato ancora del 4,3% nel 2011, grazie soprattutto ad una rilevante crescita della produzione agricola. Le previsioni per il 2012 sono per un certo rallentamento (3,3%-3,5%).
Alla fine possiamo affermare che, in effetti, si sta verificando in questo periodo una frenata nello sviluppo dei paesi del Bric, che dovrebbe continuare nel 2012. Peraltro, nel caso di Cina ed India, siano di fronte a cadute limitate, mentre per quanto riguarda la Russia e, in parte, il Brasile, esse appaiono parecchio più sostenute.
Le influenze esterne
Quali le cause di tale rallentamento?
Intanto possiamo affermare, in linea con molti analisti, e pure con qualche differenza tra i vari paesi, che i problemi dei Bric appaiono soprattutto di tipo interno, mentre l’impatto delle difficoltà dei paesi ricchi sulle loro economie, senza essere irrilevante, appare in generale sostanzialmente limitato e, in qualche caso, almeno in diminuzione. Certo, eventi quali un eventuale crollo dell’euro, una chiusura fortemente protezionistica degli Stati Uniti e/o un sostenuto ulteriore aumento del prezzo del petrolio potrebbero avere in futuro un’influenza rilevante, esclusa la Russia, che semmai sarebbe favorita da un’eventuale incremento dei prezzi del greggio. Ma il verificarsi di tali eventi appare perlomeno piuttosto incerto.
Le cause interne delle difficoltà
E veniamo alle cause interne. Alcune di esse, quali la corruzione o la cattiva distribuzione del reddito e delle ricchezze, sono comuni a tutti i Bric, sia pure con una differente importanza da caso a caso. Sulla attuale influenza della corruzione nel caso cinese si veda ad esempio Hough, 2012. Vogliamo invece concentrare l’attenzione sulle cause specifiche ai vari paesi.
Per quanto riguarda la Cina, è stato lo stesso primo ministro, Wen Jabao, a dichiarare qualche tempo fa che il modello di sviluppo cinese era sbilanciato e insostenibile. E’ pur vero che, come ricordava Arthur Lewis già parecchi decenni fa, i processi di sviluppo sostenuto generano in genere degli squilibri e che spetta poi alle politiche dei vari stati di governarli. Da molto tempo viene sottolineato come il modello fosse, tra l’altro, troppo dipendente dalle esportazioni e dagli investimenti e troppo poco dai consumi, troppo concentrato territorialmente, troppo basato su produzioni a basso valore aggiunto, con conseguenze molto rilevanti sull’ambiente. Di recente, poi, esso si è trovato di fronte alla minaccia dello scoppio di una grande bolla immobiliare e della crescita dei livelli dell’ inflazione. Ma di fronte a tali problemi, il sistema ha cercato di reagire e l’attuale moderato rallentamento del Pil appare, almeno in parte, come il frutto di una manovra pilotata, volta a raffreddare la bolla immobiliare e i tassi di inflazione. In termini di più lungo periodo i dati più recenti mostrano, da una parte, una progressiva redistribuzione territoriale degli insediamenti produttivi, in particolare verso la fascia centrale del territorio; inoltre, si manifesta una sostanziale riduzione dell’influenza delle esportazioni sul Pil (il loro peso è sceso dal 9,1% nel 2007 a meno della metà nel 2011, con tendenza ad un’ulteriore diminuzione nel 2012) e un riorientamento verso i consumi, cosa che peraltro non appare del tutto chiara dai dati ufficiali, che tendono a sottovalutare il peso di questi ultimi e ad enfatizzare invece quello degli investimenti (The Economist, 2012). Bisogna comunque sottolineare le difficoltà indubitabili del riorientamento.
Mentre il rallentamento dell’economia cinese sembra almeno in parte governato dai pubblici poteri, altrettanto non si può dire per quello indiano. Alcuni indici vistosi del malessere del paese sono costituiti dalla caduta degli investimenti diretti stranieri e di quelli in borsa. A livello interno si registra invece un doppio rilevante deficit, dei conti pubblici e di quello commerciale, un alto livello di inflazione e la caduta del tasso di cambio. Dietro questi indicatori si palesa una sostanziale paralisi dell’azione del governo, che sembra del tutto inerte di fronte anche ai problemi strutturali del paese, la corruzione, l’inefficienza della macchina pubblica, le gravi carenze delle infrastrutture, i rilevanti e persistenti problemi sociali.
Per le difficoltà attuali del Brasile si può fare riferimento ai temi finanziari-valutari da una parte per quanto riguarda le questioni di tipo più congiunturale, a quelli dell’economia reale dall’altra per quanto riguarda quelli più strutturali, anche se non si può fare una distinzione troppo netta tra i due. In relazione al primo aspetto, bisogna ricordare la sopravalutazione del real, spinta, tra l’altro, dall’arrivo di capitali speculativi esteri attratti dalle prospettive dell’economia e dagli alti livelli dei tassi di interesse. Ciò produce difficoltà per le esportazioni, minacciate peraltro dalle produzioni asiatiche, soprattutto cinesi, nonché degli alti livelli di inflazione. Il paese è tentato da provvedimenti protezionistici. Ma il rallentamento dell’economia è da mettere soprattutto in relazione ad alcuni limiti strutturali del paese. Come nel caso dell’India, si fa riferimento al livello dell’economia reale; gli investimenti del paese sono pari soltanto al 19% del Pil; ricordiamo che quelli della Cina si aggirano intorno al 45-50%. In particolare, si possono ricordare gli scarsi investimenti nella scuola e nella formazione, in ricerca e sviluppo, nelle infrastrutture. Ma, al contrario che nel caso dell’India, il governo brasiliano sembra determinato ad agire su vari fronti, come testimoniano una serie di misure di stimolo messe ora in atto.
Infine, è noto come la crescita nel tempo dell’economia russa dalla fine degli anni novanta in poi sia da attribuire quasi interamente alle esportazioni di petrolio e gas, mentre il settore industriale e quello dei servizi languivano. Il surplus commerciale del paese ha totalizzato circa 800 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2011 e le riserve valutarie hanno oggi raggiunto il livello di 500 miliardi di dollari. In tale periodo, mentre i prezzi del petrolio quadruplicavano, i budget pubblici sono cresciuti di nove volte e i salari di tre (Clover, 2012). Questo andamento ha così spinto in alto i redditi e la spesa sociale. Ma contemporaneamente il sistema si reggeva sulla corruzione e sulla criminalità. Ora si profilano all’orizzonte diverse minacce. Sul fronte politico quello di una crescente contestazione del regime da parte dei suoi cittadini, in particolare da parte delle classi medie e popolari delle città; sul fronte economico avanza l’ipotesi che la crescita delle importazioni superi gradualmente quella dell’esportazione di prodotti energetici (Clover, 2012) e che la bilancia delle partite correnti diventi negativa a partire dal 2015. L’unica possibilità che il paese ha di fronte è quella di cambiare in maniera sostanziale. Si tratta di sviluppare il settore industriale e dei servizi, di investire in ricerca e formazione, di ridurre il livello della corruzione e le malversazioni di una burocrazia famelica. Questioni a cui l’attuale regime sembra impreparato.
Conclusioni
Tutti e quattro i paesi, pur nella varietà delle loro situazioni, nel tentare di far avanzare i processi di sviluppo si trovano oggi di fronte ad alcuni problemi strutturali di tipo sostanzialmente interno; alcuni di essi, Cina e Brasile, sembrano stare affrontando tali problemi con determinazione, mentre l’India appare per lo meno esitante e la Russia non pare in grado di risolverli per ragioni connesse con l’attuale quadro politico. Ma in generale, viste le grandi potenzialità di sviluppo che tali paesi hanno davanti e una serie di atout che possiedono per far eventualmente fronte a degli shock improvvisi (Wolf, 2012) – come delle grandi riserve valutarie, delle finanze pubbliche abbastanza in ordine, dei conti con l’estero sostanzialmente positivi -, si può essere ragionevolmente ottimisti sul proseguimento di uno sviluppo sostenuto nel medio-lungo termine almeno per tre paesi su quattro, sperando che tali processi portino poi anche ad un minor livello di diseguaglianze e di corruzione.
Testi citati nell’articolo
-Clover C., Russia’s economy: unsustainable support, www.ft.com, 21 marzo 2012
-Hough D., Tackling corruption’s the key to stability in China, www.newstatesman.co.uk, 12 aprile 2012
–The Economist, Capital controversy- China “overinvestment” problem may be greatly overstated, 14 aprile 2012
-Wolf M., Hopes in emerging countries, www.ft.com, 10 gennaio 2012