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Il Fiscal compact è una scelta scellerata

Sciopero/Le decisioni del direttorio Merkel-Sarkozy hanno impedito alla Ue di uscire dalla recessione. È la sola zona al mondo a non esserci riuscita. Intervista a Benjamin Coriat dell’Università Parigi XIII, membro degli Economistes atterrés

PARIGI. Sciopero generale in Italia oggi, il 15 sciopero nazionale in Belgio. In Europa, qualcosa si muove. Ma i governi dei paesi Ue, in particolare nella zona euro, restano sordi, si aggrappano soltanto all’applicazione del Fiscal Compact come Tina (there is no alternative). Il lavoro è diventata la variabile di aggiustamento in Europa. Per capire cosa succede – e cosa potrebbe succedere – parliamo con Benjamin Coriat, professore di scienze economiche all’Università di Paris XIII e membro del collettivo di animazione degli Economistes atterrés.

L’economia europea è bloccata, la disoccupazione schiaccia le vite, ma ci sono alcuni segnali di protesta. Come vede la situazione?

“Per capire cosa succede bisogna partire dalla crisi del 2008 e dalle risposte date dalla Ue, con il trattato del Fiscal Compact. L’Ue ha scelto una via particolarmente catastrofica di fronte alla crisi. Le basi di questo approccio difettoso sono istituzionali: impossibilità per la Bce di comprare debito di stato, economia nella mani dei mercati finanziari, assenza di coordinamento sociale e fiscale nella Ue. E invece di affrontare la crisi e di approfittarne per trovare una soluzione, l’Europa ha solo irrigidito il Fiscal Compact, ha trasformato la clausola del 3% di deficit in quella dello 0%, ha imposto scadenza infernali per il rientro nei parametri. In altri termini, ha tolto l’intelligenza dalle deliberazioni politiche per imporre dei meccanismi automatici. Siamo stati presi in ostaggio dalla crisi del 2008: i deficit pubblici sono esplosi, mentre nel 2007 solo la Grecia era sotto procedura per deficit eccessivo. La crisi, invece di condizionare azioni contro la finanza, è servita per attaccare il lavoro e trasformarlo in variabile di aggiustamento”.

Perché?

“È stata la scelta folle dell’accordo tra Merkel e Sarkozy. Ha impedito alla Ue di uscire dalla recessione, sola zona al mondo a non esserci riuscita, mentre Usa, Giappone, emergenti almeno hanno evitato di uscire a pezzi. Con la scelta assurda del Fiscal Compact come risposta alla crisi, la Ue ha creato una situazione impossibile, dove la sola via d’uscita è l’attacco al lavoro. Non si tocca la concorrenza fiscale, quella sociale, il potere finanziario, quello delle banche”.

Il problema è che questo non funziona, con una disoccupazione e un precariato che stanno minando le basi della società.

“In Germania, in Francia, anche in Italia sono passate solo delle parti di questo programma, c’è una resistenza. Mentre in Grecia, Spagna e Portogallo il piano è stato portato a termine. Il problema è che non funziona: non assicura la ripresa economica per uscire dalla crisi e l’Europa rischia di affondare nella deflazione. Persino Draghi ha capito che è una scelta catastrofica. Il presidente della Bce ha esaurito le possibilità di politica monetaria. Adesso tocca alle scelte politiche. Ci parlano di trappola di liquidità, nozione di Keynes che spiega che anche tassi di interesse bassi non permettono di rilanciare la crescita. In realtà siamo di fronte a una trappola della finanza: tutti i soldi – che ci sono – servono alla finanza, sono utilizzati per continuare i giochi speculativi. Non è possibile investire, perché nessun investimento darà un rendimento comparabile a quello finanziario. Siamo di fronte a una falla istituzionale e a una trappola della finanza, che in realtà sono convergenti: bisogna rompere questo circolo vizioso.

Come?

“Per cominciare, cambiando le regole della finanza. L’Europa non ha osato farlo. In questo, la Francia ha una grande responsabilità: qui l’industria finanziaria è molto potente, la Francia è bloccata su questo fronte, al servizio delle banche. Non c’è altra soluzione che il rilancio dell’investimento pubblico: liberazione dal vincolo del debito, la Bce deve comprare debito pubblico; i deficit pubblici non devono più essere la priorità, ma al primo posto devono essere poste disoccupazione, povertà, recessione. L’alternativa tra politica dell’offerta e della domanda è un falso problema: non ci puo’ essere una politica a favore delle imprese senza un rilancio degli investimenti pubblici. In Francia c’è stato un trasferimento di 40 miliardi alle imprese, ma gli imprenditori sono scesi in piazza. Per la piccola e media impresa, l’effetto di questi trasferimenti sui margini è piccolo, visto che non c’è domanda”.

Bisognerebbe anche definire quale crescita, non solo un aumento dei consumi generalizzato.

“Certo, il progetto esiste: la transizione energetica, ecologica, l’industria delle energie rinnovabili, la diminuzione di Co2. Su questo fronte, l’Europa è in ritardo. La Germania, addirittura, ha rimesso il carbone al posto del nucleare. Ci sono investimenti anche nel digitale e nell’economia collaborativa, di condivisione, più economa in risorse”.

C’è una crescente dicotomia nord-sud in Europa. A che cosa porta?

“Dalla Germania è arrivato un colpo di freno. Nell’ultimo decennio, i salari sono aumentati del 12%, mentre la media europea è stata un aumento del 70%. C’è stata una crescita di competitività anche grazie ai salari. Ma contemporaneamente i salari nell’ex Germania est sono aumentati dell’80%. Si dimentica sempre questo: la Germania ovest ha fatto concessioni per l’est, che adesso rifiuta di fare verso l’Europa. La Germania è pero’ obbligata a muoversi un po’, come per esempio il salario minimo previsto per il 2016”.

L’estrema destra, che propone l’uscita dall’euro, ha successo, soprattutto nella classi popolari. Cosa proporre in alternativa?

“La grande questione economica è la concorrenza fiscale e sociale. Si puo’ progredire restando nell’euro o uscendo? Ci sono passi avanti, come per esempio il Lussemburgo, obbligato a fare concessioni sui paradisi fiscali. Uscendo dall’euro non arriveremo a nulla. L’ipotesi è la creazione di un serpente fiscale europeo, come c’era stato il serpente monetario, cioè una tassa sulle società intorno al 28-30%, con una divergenza del 4-5%. La stessa cosa sarebbe possibile sul salario minimo. Non solo del tutto pessimista. La soluzione neo-liberista sta fallendo. Nel 2008, c’era una finestra di possibilità che non è stata sfruttata. Ce ne sarà un’altra, perché l’attacco contro il lavoro non sta funzionando. Ci sarà un secondo tempo in Europa. Il vulcano esploderà, anche sul piano elettorale. In Grecia e Spagna è esploso, ma dalla nostra parte. In Francia, c’è il rischio Fronte nazionale. La soluzione neo-liberista sembra vittoriosa, ma sta fallendo nei fatti, persino la Gran Bretagna si è resa conto che con salari cosi’ bassi il deficit aumenta e quindi ha deciso di tassare multinazionali e banche”.