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Il civismo come ponte tra Stato e società

Il volume “Cittadinanza” di Giovanni Moro da poco pubblicato da Mondadori è uno strumento utile e agile – una sorta di manuale – per interpretare e scandagliare un concetto e una realtà da tempo in profonda trasformazione.

Il volume Cittadinanza di Giovanni Moro da poco pubblicato da Mondadori è uno strumento utile e agile – una sorta di manuale – per interpretare scandagliare un concetto e una realtà da tempo in profonda trasformazione.

Con un approccio pedagogico e didascalico (una qualità, per quanto ci riguarda, che non ci stancheremo mai di sottolineare) il libro di Moro è molto efficace e ordinato, ma nello stesso tempo scientificamente rigoroso ed intellettualmente stimolante, politicamente convincente.

Dopo la doverosa ricostruzione dell’affermazione della cittadinanza come base normativa, sociale e culturale degli Stati contemporanei, Giovanni Moro propone un dispositivo della cittadinanza moderna su tre pilastri: l’appartenenza (l’identità), i diritti e i doveri, la partecipazione. Si tratta di tre elementi che concorrono a costruire la cittadinanza, ma dietro queste tre categorie fondamentali sono tante le complessità, le sfumature e le declinazioni che rendono il quadro in continua trasformazione.

Si pensi al tema delle appartenenze e delle identità, di fronte al fenomeno dell’immigrazione (che è forse il tema che richiama con maggiore forza le aporie e le prospettive della cittadinanza contemporanea), ma anche di fronte al contrasto tra cittadinanza nazionale e cittadinanza cosmopolita oppure – in un contesto di cittadinanza plurale – alla differenza e al genere. Oppure al tema dei diritti e doveri, dentro la rottura della cornice statale e dell’affermazione della globalizzazione. O ancora, per la partecipazione il rapporto tra la rappresentanza (anche questa svuotata dalla globalizzazione) e le nuove forme di partecipazione dal basso, la cittadinanza attiva.

Inevitabilmente viene sfumato -fino alla separazione- il rapporto tra cittadinanza/cittadini e nazione/nazionalità: oggi siamo italiani, europei, ma anche cittadini del nostro comune e della nostra regione, soggetti a norme e regole compatibili, ma diverse. Sul nostro passaporto c’è la dizione Repubblica Italiana, ma anche Comunità Europea. E molti dei nostri emigranti sono cittadini nel  paese dove vivono e cittadini in Italia. 

Questo processo subisce uno stop di fronte al tema dell’immigrazione, dove la paura, l’ipocrisia e la discriminazione fermano un’evoluzione che di dovrebbe essere naturale di fronte a bambini che nascono in Italia o persone che vivino qui da anni. 

Si rafforza invece la tematizzazione complessa del rapporto tra cittadinanza e democrazia. Senza la democrazia (in una dittattura), molti dei diritti dei cittadini vengono meno. Senza cittadinanza – con gli abitanti/denizen eterodiretti o succubi – la democrazia perde di anima e diventa un simulacro di sé stessa. Giovanni Moro giustamente vede nella citatdinanza attiva – che coniuga la tutela dei beni comuni, la promozione dei diritti e l’empowerment – una risorsa preziosa per rafforzare il rapporto non scontato tra cittadinanza e democrazia.

La democrazia e la cittadinanza si rafforzano l’una con l’altra se queste sanno bene interpretare le tre dimensioni che T. Marshall ci ha proposto ormai 70 anni fa come organiche ai diritti e alla cittadinanza: la dimensione politica, civile e sociale. Generalmente le democrazie moderne si sono più o meno concentrate sulle prime due dimensioni, lasciando alla terza la possibilità di essere realizzata a seconda delle risorse disponibili. Il politologo Giovanni Sartori diceva cinicamente che i diritti sociali non sono altro che “un capitolo di bilancio”.

Eppure senza la presenza armonica delle tre dimensioni (cioè con l’assenza e la derogabilità dei diritti sociali), si indebolisce la cittadinanza nel suo complesso e anche i diritti civili e politici ne risentono: non sarà un caso che i discriminati e i poveri (e i neri in america) votano di meno che le classi sociali benestanti. Quando Karl Marx ne la Questione ebraica (che Giovanni Moro cita all’inizio) dice che dietro il cittadino c’è sempre un operaio, un artigiano, un commerciante, un contadino, ecc. ci invita non ad abbandonare quel concetto e quella realtà in sé (anzi il testo rappresenta un apprezzamento delle rivoluzioni democratiche). Ci invita però a non usarla in astratto, ma nella concretezza delle condizioni sociali delle persone. E – partire dalla concretezza delle persone – ci aiuta a fare di questo concetto, per forza di cose universale e generalizzante- una categoria/identità sociale, giuridica e politica sulla quale costruire una democrazia fondata sull’eguaglianza e la giustizia.