Il nuovo capitalismo è incardinato sul complesso militare-digitale che fonde gli interessi delle cosiddette Big Tech (Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft più Space X e Palantir) e l’apparato militare e di sicurezza Usa. Una polarizzazione del potere monopolistico delle piattaforme che favorisce l’intensificarsi dei conflitti.
Non c’è molto da stupirsi se, a meno di 24 ore dalla visita lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago (residenza privata di Donald Trump in Florida), Elon Musk abbia presentato il conto ricordando il (probabile) accordo tra la sua Space-X e il governo italiano. Per accedere ai servizi satellitari a orbita bassa Starlink che stanno rivoluzionando il settore aerospaziale nel dominio civile e, soprattutto, in quello militare, il governo sembrerebbe in procinto di trasferire a Space-X un miliardo e mezzo di euro. Così facendo, legherebbe l’Italia a doppio filo (rendendola tecnologicamente dipendente e verosimilmente permeabile per quanto riguarda le informazioni critiche che ribalzerebbero tra i satelliti di Musk) a uno dei principali esponenti del capitalismo digitale contemporaneo.
Né c’è da stupirsi del fatto che lo stesso Musk è stato invitato a partecipare alla telefonata tra Trump e Zelensky andata in scena poco dopo l’acquisizione dei risultati elettorali. Il sodalizio Trump-Musk e la disinvoltura con cui quest’ultimo invade spazi, come la gestione delle relazioni internazionali o di attività strategiche in campo militare, che tenderemmo a considerare preclusi alle multinazionali e ai soggetti che le controllano, è solo la punta dell’iceberg. La Space-X di Musk, che deve il suo ruolo di monopolista spaziale, almeno in parte, ai miliardi elargiti dalla NASA sin dal 2006 e alla base tecnologica, infrastrutturale e di conoscenza che quest’ultima ha sviluppato grazie a decenni di investimenti pubblici, è infatti parte dell’insieme di multinazionali che compongono il nuovo complesso militare-digitale statunitense. È la sinistra crasi tra grandi piattaforme – le cosiddette Big Tech (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, a cui si aggiungono attori meno noti ma altrettanto rilevanti come Space X e Palantir )- che, di fatto, controllano la rete Internet e una parte consistente dell’economia globale; e l’apparato militare e di sicurezza degli Stati Uniti. Un sistema di potere che ridefinisce i contorni del capitalismo: contribuendo a una polarizzazione senza precedenti del potere economico e tecnologico; alimentando diseguaglianze all’interno e tra i paesi; e favorendo l’intensificarsi di conflitti che sono, allo stesso tempo, un’assicurazione sulla vita per il potere monopolistico delle piattaforme e una diretta conseguenza della loro strategia espansiva. Lo Stato è dipendente dalle piattaforme poiché queste ormai controllano in modo esclusivo infrastrutture e tecnologie vitali in ambito civile e militare: per fare solo alcuni esempi, si pensi a un’improvvisa interruzione dei servizi cloud di Amazon o Microsoft che tengono in piedi mercati e servizi pubblici o alle conseguenze che lo spegnimento dei satelliti di Musk avrebbe sull’esercito ucraino che se ne avvale per condurre le sue operazioni.
D’altra parte, le piattaforme hanno bisogno dello Stato per avere supporto quando cercano di cannibalizzare i mercati esteri, per assicurarsi gli ingenti flussi di denaro che gli apparti di sicurezza investono per acquistare tecnologie e servizi digitali o per scongiurare il rischio che regolamentazioni ostili restringano la loro libertà di accedere alle informazioni private. E per avere una misura di quanto coloro che un tempo erano gli alfieri del libertarismo abbiano rapidamente virato verso una strategica alleanza con lo Stato, è sufficiente guardare a Mark Zuckerberg.
Il fondatore di Facebook (oggi Meta), quarto uomo più ricco al mondo, si è presentato a Mar-a-Lago portando in dote un milione di dollari per la cerimonia inaugurale e dichiarandosi disponibile a svolgere un ruolo attivo nella politica tecnologica della nuova amministrazione. Per essere ancora più convincente, ha rassicurato sulla sua intenzione di abbandonare la politica di “moderazione dei contenuti” posta in essere per blandire Biden subito dopo i fatti di Capitol Hill. Il colore politico diventa irrilevante: per le Big Tech quello che conta è preservare l’alleanza strategica tra capitale monopolistico e apparati dello Stato ad esso interconnessi.
Forse ancora più emblematico è il caso di Eric Schmidt, già amministratore delegato di Google e capo della Defence Innovation Unit del ministero della Difesa. In un recente policy paper della Hoover Institution (Defense Against the AI Dark Arts), Schmidt ha esortato gli apparati dello Stato ad “affidarsi” alle grandi piattaforme che, a suo dire, sarebbero le uniche in grado di scongiurare il sorpasso cinese in materia di Intelligenza Artificiale, considerando questo come uno scenario da incubo per le prospettive future degli Stati Uniti e dell’occidente.
La guerra, dunque, consolida il complesso militare-digitale e rafforza il potere economico delle piattaforme. La contrapposizione tra i due blocchi che si contendono l’egemonia, con l’emergere un analogo complesso militare-digitale che vede uniti il Partito Comunista e le grandi piattaforme cinesi, accresce il rischio di escalation e mette a repentaglio il già esiguo spazio per la democrazia e la cooperazione. L’Europa, in questo contesto, è un vaso di coccio. Alla subalternità militare nei confronti degli Stati Uniti si aggiunge una drammatica dipendenza dalle grandi piattaforme digitali. E Musk, da questo punto di vista, è solo uno dei vari esempi. Il tentativo europeo di acquisire autonomia nel campo delle connessioni satellitari con il progetto Iris2 è lodevole ma quantitativamente inadeguato e rischia di vedere la luce quando Space-X avrà già riempito l’orbita bassa delle sue costellazioni di satelliti. Peraltro, se l’Italia dovesse procedere con l’accordo per l’acquisizione del servizio Starlink starebbe fornendo a Musk il doppio delle risorse che prevediamo di conferire per il progetto Iris2.
1 Una versione più breve di questo articolo è stata pubblicata sul Fatto Quotidiano in data 13/01/2025.
Dario Guarascio, professore di economia e diritto a La Sapienza di Roma, interverrà insieme a Giulio De Petra del Centro Riforma dello Stato lunedì 20 gennaio alle 17,15 sul tema “Guerra e tecnologie: il complesso digitale-militare” a Roma presso la Fondazione Basso in via della Dogana Vecchia 5 all’interno del ciclo di incontri settimanali dal titolo “Guerre, pace, sistema mondiale” organizzati dalla Fondazione Basso e dal Dipartimento Saras della Sapienza Università di Roma.