Guai a chi dà i numeri sulla crisi italiana. Il governo attacca l’Istat, in arrivo il nuovo presidente. La reazione dei ricercatori e del mondo scientifico
* * * Un gruppo di ricercatori dell’Istat
L’ultimo attacco all’Istat e alla sua credibilità, culminato con le parole pronunciate da Tremonti di fronte alla platea della Confcommercio mercoledì 24 giugno, è senz’altro il più grave nella storia della Repubblica. Il ministro dell’Economia ha esplicitamente ridicolizzato e delegittimato, davanti a milioni di telespettatori dei Tg nazionali, la più importante rilevazione dell’Istat, quella sulle forze di lavoro con cui si stima la disoccupazione e l’occupazione (1). Già nei primi giorni di giugno il Governatore della Banca d’Italia Draghi aveva dovuto subire la contestazione delle stime, basate sempre su dati Istat, del numero di lavoratori senza alcuna copertura di reddito in caso di disoccupazione. Poi, nell’ambito della più ampia strategia di mettere il silenziatore ad ogni soggetto (persino l’Ocse) che in qualche modo possa mostrare le condizioni oggettive del paese per quelle che sono, vi sono state una serie di contestazioni, tanto infondate quanto arroganti da parte di vari ministri ai dati dell’Istat, istituzione che, in realtà, esercita semplicemente la sua funzione pubblicando, come fa da decenni, indicatori congiunturali e strutturali che hanno l’unico difetto di descrivere una realtà diversa da quella che questo governo vorrebbe che apparisse.
La differenza rispetto al passato, quando a criticare e denigrare la statistica ufficiale erano principalmente associazioni di consumatori desiderose di apparire sulla stampa, improbabili centri studi (tipo Eurispes) o qualche avventato giornalista, è che l’attacco frontale è guidato dal “cuore dello stato”, dai ministri che nel Governo occupano i dicasteri più importanti (Tremonti, Sacconi, Scajola) e che dovrebbero esercitare la loro funzione con particolare cautela e responsabilità. Le ragioni dell’attacco non sono chiare ma certamente c’è la volontà di screditare i dati dell’Istat e in particolare convincere l’opinione pubblica dell’inaffidabilità della stima della disoccupazione. Poichè è certo che nei prossimi due anni il numero dei disoccupati non potrà che crescere, è più funzionale alla strategia di qualche ministro delegittimare l’indicatore ufficiale sull’occupazione e disoccupazione Istat per provare a fornire al pubblico qualche altro numero più addomesticato che suggerisca che la situazione del Paese in realtà stia migliorando invece che peggiorare. Anche se tale comportamento implica produrre un danno di lungo periodo all’intero Paese, incrinando seriamente la fiducia degli utilizzatori nei dati e nell’istituzione che ha l’obbligo di fornire informazione statistica a tutti cittadini e alle istituzioni, questi ministri hanno consapevolmente intrapreso questa strada funzionale al disegno di governare controllando l’opinione pubblica. Sia Tremonti che il ministro del Lavoro Sacconi hanno esplicitato pubblicamente di voler monitorare l’andamento dell’economia utilizzando informazioni alternative a quelle troppo “disfattiste” dell’Istat e della Banca d’Italia. Le critiche, disinvolte e ingiustificate, alle rilevazioni statistiche campionarie, talvolta definite impropriamente e dispregiativamente sondaggi, sono, infatti, state spesso accompagnate all’elogio dell’utilizzo di dati amministrativi dotati di virtù miracolose (2). Tralasciando la totale inconsistenza delle suddette critiche è opportuno sottolineare che l’uso di dati amministrativi nella statistica ufficiale non è affatto una novità. L’Istat utilizza da molti anni i dati amministrativi per produrre indicatori economici e sociali, effettuando un trattamento statistico e metodologico che garantisca che tali dati, nati a scopi gestionali, abbiano i requisiti di qualità richiesti alle statistiche ufficiali (3). Quindi, la contrapposizione evidenziata da Tremonti e Sacconi è palesemente strumentale: in realtà i dati amministrativi a cui fanno riferimento sarebbero migliori delle rilevazioni statistiche solo perché controllabili direttamente dagli interessati. Non a caso il decreto legge del primo luglio 2009 con l’art. 11 istituisce una ennesima nuova banca dati amministrativa sotto il controllo dei due ministeri che dovrebbe integrare varie fonti (Ministero del lavoro, Mef, Inps e Agenzia delle Entrate) per fornire informazioni per l’elaborazione delle politiche economiche e sociali del Governo.I ripetuti attacchi all’Istat minano ulteriormente la credibilità di una istituzione che già vive da tempo una sua profonda crisi. Non c’è dubbio, infatti, che l’Istat sia in una situazione di particolare vulnerabilità. Ai problemi strutturali di scarsi finanziamenti si sono sommati seri problemi gestionali dovuti a dei vertici (presidente e direttore generale) incapaci di affrontare la crescente complessità dei problemi emersi negli ultimi anni. In presenza di fondi complessivamente ridotti rispetto ad altri paesi europei e decrescenti in termini reali non sono stati identificati i settori e le aree a cui dare reale priorità strategica. Non si è tentato di frenare e razionalizzare le crescenti richieste europee, per lo più in forma di Regolamenti, che hanno messo sotto una incredibile pressione larghi settori dell’Istituto. Un esempio paradigmatico delle difficoltà gestionali e di programmazione è la vicenda che riguarda la Rete di rilevazione dell’indagine sulle forze di lavoro, struttura strategica per la qualità dei risultati della rilevazione stessa. Per anni si è trascinato un problema legato al tipo di contratto dei rilevatori senza proporre soluzioni e alla fine la rete è stata affidata ad una società esterna all’stat con serissimi rischi sulla qualità dei risultati (un’analisi nell’articolo di Francesca Pugliese in questo stesso sito).Un istituto di statistica più debole consente al Governo di portare sino in fondo il suo disegno e la nomina del nuovo Presidente, fortemente voluto da Tremonti, rischia di rappresentare l’inizio del ridimensionamento dell’autonomia dell’Istituto. Seppure in Parlamento è in corso di approvazione una nuova normativa che dovrebbe modificare i criteri di nomina del Presidente dell’Istat, fino ad oggi questo potere è saldamente in mano alla Presidenza del Consiglio. In passato l’Istat, pur avendo subito qualche tentativo di invasione di campo da parte governativa, è riuscito a mantenere di fatto una considerevole indipendenza anche grazie alla professionalità e integrità del suo personale. Il futuro dell’Istat e della sua autonomia risiede proprio nelle mani di questo personale e, in generale, della comunità scientifica come dimostra l’immediata reazione che ha suscitato l’inaccettabile sortita di Tremonti alla Confcommercio. Mentre la risposta ufficiale del presidente dell’Istat alle accuse infondate e offensive del ministro dell’Economia è stata, a dir poco inadeguata (4) e la politica è rimasta colpevolmente distratta, una reazione si è avuta da parte della comunità scientifica (5) e dai ricercatori dell’Istituto. Un appello che nel giro di pochi giorni ha raccolto oltre mille firme, con l’adesione di autorevoli docenti universitari e di una buona parte dei ricercatori e del personale interno, verrà presto consegnato al presidente della Repubblica per ricordare all’opinione pubblica che l’indipendenza e l’autorevolezza della statistica ufficiale sono beni pubblici e che un Istat autonomo dall’influenza dell’esecutivo, di qualsiasi colore esso sia, è un presidio della democrazia. In difesa dell’indipendenza dell’Istat si sono pronunciati anche gli economisti del lavoro dell’Aiel e la Sis (vedi qui). Il recente regolamento comunitario relativo alle statistiche europee (n. 223/2009 dell’11/03/2009), dove vengono sanciti i principi che disciplinano la produzione e la diffusione delle statistiche (indipendenza professionale, imparzialità e obiettività), dovrebbe costituire un ulteriore presidio alle eventuali scorribande dell’esecutivo.
(1) Ecco le parole di Tremonti “Sapete come fanno le statistiche? Hanno un campione di mille persone. Fanno le telefonate e chiedono: sei disoccupato? La risposta: vai a quel paese. Scrivono: molto disoccupato” Si veda il video alla pagina web. www.lavoce.info/multimedia/-Unfiledivoce/pagina230.html
(2) Si veda l’intervista di Sacconi sul Sole 24ore del 28 giugno scorso
(3) Vi sono, tra l’altro, nel quadro del Piano Statistico Nazionale, numerosi progetti in corso di svolgimento che sfruttando in modo estensivo le fonti amministrative (prevalentemente di fonte INPS e Agenzia delle Entrate) dovrebbero condurre nel corso dei prossimi due anni ad un considerevole allargamento dell’insieme degli indicatori offerti dalla statistica ufficiale.
(4) Il Presidente dell’Istat non ha ritenuto opportuno rispondere in prima persona ma ha fatto rilasciare dall’ufficio stampa mezza paginetta che non faceva alcun riferimento alle parole di Tremonti e si limitava a ricordare i criteri con cui viene rilevata la disoccupazione. In ben altro modo alcuni giorni dopo il Direttore dell’Eurostat Radermacher, passato a Roma per riunioni e verifiche già programmate, ha puntualizzato come sia importante che “i policy makers, le parti sociali e tutti i cittadini abbiano piena fiducia nelle statistiche ufficiali e le utilizzino per le loro decisioni” (si veda www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20090708_00/)
(5) Degni di particolare nota sono gli articoli della Saraceno su La Repubblica e di Trivellato su La Voce
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