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I robot cinesi alla conquista del mondo

Complice il problema del progressivo invecchiamento della popolazione e le previsioni di drastico calo demografico, Pechino sta investendo molto per azzerare il divario tecnologico e diventare leader anche del settore della robotica.

Premessa

Un’analisi anche sommaria degli sviluppi in atto nel settore della robotica presenta un rilevante interesse, permette, tra l’altro, di intravedere alcune tendenze importanti sul fronte dell’evoluzione tecnologica, nonché sulla gara tra i vari Paesi – in particolare sul ruolo sempre più ingombrante della Cina e dell’Asia – e infine accende un faro sull’influenza delle nuove macchine nel mondo del lavoro. 

Per molti decenni le grandi promesse relative allo sviluppo della robotica sono andate per la gran parte deluse; nonostante qualche avanzamento, i singoli prodotti si presentavano sul mercato come molto costosi, ingombranti, rigidi, limitati in genere ad un solo compito. Così se pure è vero che il business è certamente cresciuto nel tempo, lo ha fatto meno di quanto ci si aspettasse. Le attese fantasiose dei media e dell’opinione pubblica in merito alle meraviglie dei robot, nonché quelle negative dei lavoratori e dei sindacati sulle conseguenze relative ai livelli di disoccupazione che l’introduzione di tali macchine avrebbe comportato non si sono, sino a ieri, materializzate che in misura molto ridotta.

Gli sviluppi tecnologici

Poi, lentamente, le cose hanno iniziato a cambiare. I robot si sono fatti sempre meno ingombranti, meno costosi, molto più flessibili e il mercato è progressivamente decollato. Ora le prospettive di sviluppo, con le conseguenze del caso, sembrano molto rilevanti.

Tradizionalmente è stato il settore industriale, a cominciare dall’auto, a fare la parte del leone sul mercato, mentre più di recente, accanto all’impiego in linea, i robot vengono sempre più utilizzati in attività sussidiarie, quali quelle del magazzinaggio e della logistica. Si va poi sviluppando il loro impiego anche nei servizi, in particolare in quello medicale e chirurgico, mentre avanza l’utilizzo militare. Inoltre, rispetto ad un iniziale predominio dell’hardware, si vanno affermando i ricavi nel software e nei servizi connessi. 

Inoltre si fanno avanti due novità molto significative: da una parte il comparto dei robot collaborativi (cobots) che sviluppano l’interazione e l’interazione uomo-robot; dall’altra, il settore si va rapidamente integrando con i programmi di intelligenza artificiale e machine learning, ciò che tende a ridefinire complessivamente le capacità e le applicazioni del tutto.

Va citato infine l’arrivo molto recente, e molto pubblicizzato soprattutto in Cina, dei robot umanoidi (c’è già stato, sempre in Cina, un primo ordine di 10.000 pezzi per l’assistenza agli anziani), che apparentemente rappresenterà la fase successiva dell’evoluzione industriale. 

Alcune cifre

A livello monetario il mercato mondiale dei robot, almeno secondo una fonte (Mordon Intelligence) viene valutato in 73,6 miliardi di dollari per il 2025 e in 185,4 miliardi per il 2030, con un tasso di crescita annuo previsto nel periodo superiore al 20%.

Nel 2024 la Cina ha installato circa 290.000 robot, contro un totale mondiale di 560.000 unità prodotte (International Federation of Robotics; altre fonti parlano rispettivamente di 295.000 unità e di 542.000), un’enormità rispetto ai 34.000 installati negli Stati Uniti nello stesso anno. Si registrano complessivamente più robot installati in Cina che in tutto il resto del mondo messo assieme (Tobin, Bradsher, 2025).

La quota della produzione mondiale cinese di robot è cresciuta nel 2024 sino ad un terzo del totale mondiale rispetto ad un quarto del 2023, superando quella del Giappone che sino a ieri era il Paese dominante sia a livello di produzione che di quote del mercato mondiale. Il Paese del Sol Levante ancora nel 2023 controllava una quota del mercato mondiale del 38%, passata al 29% nel 2024 e destinata a ridursi ancora nel 2025. Sempre nel 2023 la Cina ha installato nelle sue fabbriche più robot importati rispetto a quelli prodotti nel paese, ma nel 2024 circa i tre quinti del totale è stato invece prodotto in loco (Tobin, Bradsher, 2025). E nei primi otto mesi del 2025 la produzione cinese è ancora cresciuta di circa il 30%, guadagnando ancora quote di mercato.

Le fabbriche cinesi stanno installando un esercito di robot potenziati con i programmi di intelligenza artificiale; dunque le fabbriche cinesi sono ora più automatizzate in Cina che negli Usa, Germania o lo stesso Giappone, superate per il momento solo da Corea del Sud e Singapore (International Federation of Robotics). Il gap con questi ultimi Paesi si dovrebbe chiudere presto.

Va ricordato, a parziale attenuazione dei successi cinesi, che Pechino ha fatto, sì enormi passi avanti negli ultimi anni, ma presenta ancora qualche difficoltà nelle tecnologie più avanzate. Oggi le imprese cinesi sono ancora indietro rispetto a quelle dei concorrenti stranieri per quanto riguarda l’abilità nel produrre alcune componenti-chiave usate nei robot umanoidi (Tobin, Bradsher, 2025). Ma Pechino riuscirà plausibilmente a colmare i divari nell’arco di qualche anno. Nel comparto dei robot umanoidi, sulle prime 100 imprese quotate presenti nel settore 56 sono cinesi (Jennings, 2025).

Cina, Asia, Unione Europea

Le cifre dello sviluppo della robotica in Cina non devono essere considerate con troppa meraviglia; il Paese presenta numeri simili e anche più rilevanti per quanto riguarda l’estensione del mercato interno e i livelli produttivi in molti altri campi. Non si tratta soltanto dei settori più tradizionali, come il cemento o l’acciaio, nei quali il Paese produce più del 50% del totale mondiale e con un mercato interno di nuovo superiore al 50% del totale, ma anche in campi più avanzati. Se consideriamo tutto il comparto delle energie rinnovabili, dai pannelli solari alle turbine eoliche, dalle auto e dai camion elettrici alle batterie di accumulo, la produzione e il mercato cinesi rappresentano di nuovo più del 50% del totale mondiale e in certi casi molto di più; intorno a questa cifra si collocano poi anche il mercato e la produzione nel settore chimico, nonché in quello dei sistemi di telecomunicazione 5G, mentre il Paese supera abbondantemente il 50% di quella mondiale anche nella cantieristica navale. La produzione di elettricità in Cina è quindi superiore a quella di Stati Uniti e Unione Europea messi insieme. 

Persino nel settore dei chip, nel quale la Cina era sino a qualche anno fa molto indietro, la quota del mercato mondiale dei produttori cinesi dovrebbe ormai nel 2025 superare il 40% e cominciano ad invadere i mercati occidentali, anche se i prodotti relativi si concentrano ancora sulla fascia bassa del mercato. 

L’Economist suggeriva di recente come le produzioni cinesi ispirino un crescente terrore nelle imprese concorrenti straniere. C’era già stato un primo momento di panico in Occidente dopo l’ingresso della Cina nel WTO, nel 2001 e questo soprattutto negli Stati Uniti, dove il  “China shock” e il “China price” avevano suscitato un misto di sorpresa e di difficoltà nelle imprese concorrenti; ora siamo ad una seconda ondata, che si preannuncia almeno altrettanto devastante della prima: un “China shock 2” (Autor, Hanson, 2025).

Più in generale, l’Asia è da tempo il mercato complessivamente dominante, rappresentando ormai circa il 74% delle nuove installazioni di robot nel 2024, contro il 16% in Europa e il 9% nelle Americhe (Xinhua, 2025). Bisogna ricordare che quello asiatico è anche il continente di gran lunga prevalente nel settore industriale.

Per quanto riguarda i Paesi europei, la loro situazione, in questo come nella maggior parte dei settori industriali, appare in continuo ridimensionamento rispetto al quadro totale dopo i successi iniziali; e le speranze di riscatto appaiono molto ridotte, anche se sono presenti nel continente alcune imprese di un certo rilievo, per altro per la gran parte ormai controllate dal capitale extra-europeo (la ABB, svizzero-svedese, ma ora acquisita dalla giapponese Soft Bank, la tedesca Kuka, controllata da capitali cinesi, infine la danese Universal Robotics).

Da segnalare però l’ingresso della statunitense Tesla, con rilevanti risorse finanziarie e tecnologiche, nel comparto dei robot umanoidi.

Il lavoro, Cina e Giappone 

In questa sede evitiamo di entrare nel dibattito generale relativo all’influenza delle nuove tecnologie, e di quelle della robotica in particolare, sul mondo del lavoro. Vogliamo soltanto ricordare alcuni limitati aspetti della questione.

Per quanto riguarda in specifico il nostro settore, l’analisi dovrebbe tener conto di almeno tre distinti tipi di produzioni: quella dei robot tradizionali, quella dei cobot e infine quella dei robot umanoidi, che però presentano non sono un prodotto unico ma presentano differenze sostanziali in base all’utilizzo finale e non solo.

Lo sviluppo della robotica in Cina, così come in Giappone, va anche collegata al forte declino demografico in atto nei due Paesi. 

In Cina la popolazione è in calo dal 2022; il numero dei nuovi nati è diminuito nel 2024 di quasi due terzi rispetto al 1987. Circa due terzi dei giovani di 18 anni di età si iscrivono all’università o ad altri istituti avanzati, questi giovani aspirano a percorsi di carriera per lo più al di fuori del lavoro in fabbrica (Bradsher, 2025). Secondo alcune proiezioni, entro il 2050 il Paese dovrà affrontare una carenza di 50 milioni di operai qualificati.

Dal canto suo la popolazione giapponese, che era di 124 milioni nel 2024, secondo alcune proiezioni scenderebbe a 116 milioni nel 2030, a 99 nel 2048, infine a 86 milioni nel 2060. Si perdono quasi un milione di persone ogni anno.

Ora, come detto Giappone e Cina sono i due Paesi leader nel mondo nella produzione e nell’installazione di robot. In ambedue i casi si continua a mantenere e sviluppare una forte base industriale in assenza di un numero adeguato di persone in età lavorativa, e dall’altra si cerca di ridurre il numero dei dipendenti occupati nelle singole fabbriche, questo per contenere i crescenti costi del lavoro.

Nel caso del Giappone, nonostante la robotizzazione spinta, il Paese si è di reso conto, dopo una lunga resistenza, di non potere funzionare senza integrare una quota di lavoratori stranieri. Così Tokyo ha dovuto aprire le porte all’immigrazione, anche se la popolazione appare in gran parte ostile a ciò, anche con rilevanti punte di razzismo; ormai il 3% degli abitanti dell’arcipelago è fatto di stranieri e le imprese chiedono una apertura ancora maggiore in tale direzione (Rousseau, 2025).

Il caso cinese appare diverso. Intanto, almeno per il momento, il Paese resiste all’ingresso di lavoratori stranieri. Normalmente, quando un Paese intraprende la via dello sviluppo, dapprima si specializza nella produzione di beni semplici, ad alta intensità di lavoro; poi, man mano che il processo va avanti e che i costi del lavoro aumentano, tende ad abbandonare le produzioni più tradizionali. 

Il caso cinese non sembra andare in questa direzione. Oggi un lavoratore del Dongguan guadagna circa 750 dollari al mese, mentre un corrispondente lavoratore indiano ne guadagna 195 (McMorrow ed altri, 2025). Si poterebbe pensare a questo punto che la Cina debba abbandonare le produzioni ad alto costo del lavoro lasciando il settore all’India e ad altri Paesi, ma la realtà non conferma tale ipotesi. Secondo uno studio dell’Harvard Growth Lab la Cina ha, anzi, aumentato la sua quota di esportazioni in molti settori tradizionali. Il fatto è che il Paese sta sostituendo nelle fabbriche il lavoro umano con i robot. Così dal 2011 al 2023 l’occupazione totale in 12 settori ad alta intensità di lavoro è diminuita in Cina del 26,5% nonostante il forte aumento dei livelli produttivi (McMorrow ed altri, 2025). 

Le persone che non riescono più a trovare un impiego stabile nell’industria, anche a causa dei citati processi di automazione, spesso si inseriscono nel settore della gig economy, che in Cina comprende ormai un numero molto elevato di lavoratori (The Economist, 2025). La pratica si va progressivamente estendendo in Asia. Il Paese ha introdotto alcune norme per tutelare in qualche modo tale tipo di personale, ma certamente si dovrebbe riuscire a fare di più.

Testi citati nell’articolo

-Autor D., Hanson G., We warned about the first China shock. The next one will be worse, www.nytimes.com. 14 luglio 2025

-Bradsher K., Enormous investments in factory equipment and artificial intelligence…, www.nytimes.com, 24 aprile 2025

-Jennings R., China holds dominant position in humanoid robot ecosystem, www.scmp.com, 19 febbraio 2025

-McMorrow R. ed altri, Homegrown robots help drive China’s global export surge, www.ft.com, 2 settembre 2025

-Rousseau Y., Le Japon en pleine schizophrénie face à l’immigration, www.lesechos.com, 3 ottobre 2025

The Economist, China’s precarious workforce, 20 settembre 2025

-Tobin M., Bradsher K., There are more robots working in China than the rest of the world combined, www.nytimes.com, 25 Settembre 2025

-Xinhua, China leads global industrial robot market with record installations: IFR, www.chinadaily.com.cn, 26 settembre 2025