Top menu

I fondi pensione italiani, dopo Wall Street

Che effetto ha avuto lo tsunami delle borse mondiali sulla fresca finanziarizzazione delle pensioni italiane? Che ci fanno i titoli Lehman nel fondo dei metalmeccanici? Come proteggere il Tfr dai titoli tossici? Un’analisi sulla finanza in pensione

L’allarme è rientrato. Almeno per ora. Ma l’attenzione sul sistema dei fondi pensione italiani rimane alta, dopo il terremoto finanziario che sta cambiando il mondo. Molti i problemi sul tappeto. Ne elenchiamo solo alcuni per cercare di rendere la complessità della situazione. Per capire a che punto siamo e quali sono i rischi reali per i lavoratori italiani è necessaria preliminarmente un’analisi sull’esposizione dei fondi italiani ai prodotti “tossici” della finanza americana (subprime e titoli e obbligazioni Lehman Brothers); a cui deve seguire un’analisi approfondita delle tendenze oggettive nei rendimenti degli ultimi mesi e in senso storico degli ultimi dieci anni, analisi che inevitabilmente si lega allo studio dei comportamenti dei gestori che secondo la legge del 1993 hanno il compito di investire i soldi dei lavoratori; ci sono da studiare anche i comportamenti dei lavoratori italiani reduci da un “referendum” molto complicato sul Tfr; e infine – ultima, ma non in termini di importanza – è da affrontare la questione della tenuta dell’impianto legislativo che ha riformato il sistema delle pensioni negli anni novanta e che ha già modificato l’equilibrio tra previdenza obbligatoria pubblica e previdenza complementare. In questo articolo si faranno solo alcuni accenni alle prime due questioni, quelle più attuali legate alla crisi di Wall Street, rimandando ad altri contributi la valutazione complessiva delle riforme previdenziali italiane e del funzionamento della “seconda gamba” o del cosiddetto secondo pilastro: la previdenza integrativa.

Partiamo quindi dai titoli “tossici” e dagli effetti diretti dei dieci giorni che hanno sconvolto il cuore del capitalismo finanziario mondiale sul sistema dei fondi. Prima di tutto c’è da notare un primo paradosso. Le gestioni previdenziali che sono risultate più esposte ai titoli di banche a rischio o chiuse per insolvenza sono quelle di categorie professionali considerate forti e considerate tra le più “performanti” e aggressive. Alcune gestioni (dai dentisti ad altre categorie di professionisti) hanno rivelato una conduzione per lo meno allegra degli investimenti dei contributi dei loro aderenti e hanno dovuto ammettere un’esposizione molto forte rispetto ai titoli più coinvolti nella crisi. Per quanto sappiamo invece – dalle fonti ufficiali disponibili – l’impatto della crisi finanziaria sui fondi pensione negoziali italiani (quelli dei lavoratori dipendenti) risulta per ora limitato, a differenza di quello che sta succedendo per i fondi dei lavoratori dipendenti e autonomi americani. In Italia è stata molto ridotta e delimitata l’esposizione a prodotti “tossici” come quelli della Lehman Brothers (banca che tra parentesi i gestori consideravano tra le cinque migliori del mondo fino a pochi mesi fa, anzi fino alla vigilia dello scoppio della bolla) e sembra per ora abbastanza limitata anche l’esposizione generale verso altri prodotti finanziari che sono stati coinvolti nel terremoto di Wall Street.

Da notizie che ci provengono dall’interno del sistema e soprattutto dal monitoraggio della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, emerge un quadro abbastanza rassicurante sull’esposizione ai titoli “tossici”, ma all’interno di un quadro che mostra un forte calo dei rendimenti dovuto alla continua flessione delle borse negli ultimi mesi. Tale flessione era evidente anche molto prima dello scoppio della bolla dei subprime americani. Non è possibile neppure tacere le preoccupazioni dei Consigli di amministrazione dei fondi che stanno incalzando i gestori, hanno aumentato il monitoraggio sulle scelte di investimento e in certi casi hanno cominciato a chiedere un intervento della politica, come nel caso, per esempio, del fondo pensione dei metalmeccanici, Cometa, di cui parleremo tra poche righe.

Il primo elemento riguarda proprio i prodotti più velenosi, che hanno inquinato in pochissimo tempo tutto il sistema finanziario. Per quanto riguarda in particolare i prodotti Lehman, la Covip, in una recente audizione in Parlamento tenuta dal presidente facente funzioni, Bruno Mangiatordi, ha sostenuto che su 600 fondi analizzati, solo 16 avevano acquistato azioni o obbligazioni della banca americana fallita. Secondo i dati forniti ai parlamentari (la relazione in commissione si può scaricare sia da www.covip.it, che da www.senato.it), risulta che non solo il numero dei fondi esposti è stato limitato, ma che è stata ridotta anche la quota di patrimonio legata a tali prodotti “tossici”: solo lo 0,5%. E se questa è la media dell’esposizione patrimoniale, anche a livello di singoli portafogli l’esposizione verso Lehman Brothers non ha superato mai l’1%. L’audizione di Mangiatordi in Commissione al Senato ci ha rivelato comunque due notizie importanti. La prima riguarda l’attivazione della stessa Covip nel momento in cui si è manifestata la crisi dei subprime. I commissari della vigilanza hanno preso contatto con tutti i fondi pensione italiani, già prima dell’estate, per verificare la presenta di investimenti legati ai fondi immobiliari americani crollati con lo scoppio della bolla. La seconda “mossa” della Covip è stata quella più recente: la riattivazione del monitoraggio su tutti i tipi di esposizione dei portafogli dei fondi ai titoli a rischio. Una terza notizia correlata – di cui si è parlato poco sui giornali in questi giorni – riguarda la richiesta dei fondi (esaudita) di aumentare il limite di detenzione di liquidità, che secondo le norme deve stare entro il 20% del patrimonio. La richiesta è stata accettata in via temporanea, vista l’eccezionalità della situazione.

Per quanto riguarda l’esposizione dei fondi negoziali (o fondi chiusi, o contrattuali), ovvero dei fondi delle categorie di lavoro dipendente italiani, i titoli Lehman compaiono appunto solo in 16 casi su 600. I responsabili della Covip, come è d’obbligo rispetto alla loro funzione istituzionale, non fanno i nomi dei fondi di cui parlano. Sappiamo però da notizie giornalistiche e da verifiche dirette quali sono stati i fondi pensione negoziali che si sono ritrovati nel portafoglio i titoli spazzatura o tossici. Tra essi, il fondo pensione contrattuale più importante, quello dei metalmeccanici. Parliamo di Cometa, 3,6 miliardi gestiti. Anche in questo caso, comunque, l’esposizione a Lehman Brothers equivaleva allo 0,10%. I prodotti finanziari della banca americana erano poi concentrati in uno solo dei comparti del fondo, ovvero la linea “reddito”. Da quello che si è potuto sapere, non è chiara ancora l’esposizione complessiva del fondo ad altri prodotti bancari che sono stati coinvolti successivamente nella crisi. In ogni caso è anche significativo il fatto che il presidente di Cometa, Fabio Ortolani, abbia chiesto un incontro urgente con il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi per valutare un’eventuale richiesta di sostegno straordinario. Cometa, d’altra parte, è reduce da molti mesi di performance scarse che hanno abbassato i rendimenti e quasi sempre li hanno portati al di sotto del rendimento del Tfr.

Tra i pochi fondi che hanno dichiarato di possedere titoli Lehman ci sono poi anche Fonchim, secondo fondo pensione italiano in ordine di importanza, il fondo dei lavoratori chimici, considerato il battistrada dei fondi pensione made in Italy. Fonchim gestisce oggi 1,6 miliardi di euro e ha dichiarato una esposizione per lo 0,18% in obbligazioni Lehman Brothers sul totale del patrimonio gestito. Le obbligazioni, secondo fonti giornalistiche, si sono concentrate in due comparti, mentre complessivamente il peso di tutte le azioni Usa nel portafoglio risulta inferiore all’1%. Fonchim risulta invece abbastanza esposto nella parte dei bond, con un 5,83% del comparto Moneta di cui circa il 3% della Morgan Stanley e della Goldaman Sachs. Tutto il resto, ovvero circa il 60% riguarda bond di banche europee. Altri fondi che sono risultati parzialmente esposti ai fondi Lehman sono Previmoda, il fondo pensione dei lavoratori dell’industria tessile e della moda e il fondo Fondoenergia, con una esposizione esigua pari allo 0,008%. Altri nomi che sono comparsi nella lista dei fondi che avevano acquistato Lehman sono Solidarietà Veneto, il fondo pensione dei lavoratori autonomi del Veneto, Previcooper, dipendenti della distribuzione cooperativa con una esposizione molto esigua (0,029) e Fopen, il fondo pensione dei lavoratori dell’Enel. Fa pensare anche l’esposizione dichiarata di Previambiente, il fondo pensione dei lavoratori dell’igiene ambientale che si è caratterizzato in questi ultimi anni come uno dei fondi più avanzati dal punto di vista dell’investimento responsabile e perfino etico. Anche se molto esigua, anche Previambiente ha dovuto dichiarare un’esposizione dello 0,09% ad azioni Lehman Brothers. Nel portafoglio dei lavoratori ambientali italiani ci sono però anche obbligazioni Goldman Sachs e Morgan Stanley.

Questo per quanto riguarda direttamente Lehman e soci. Il problema da affrontare però con una certa urgenza riguarda gli andamenti generali dei fondi e quindi la questione dei rendimenti e dei costi. Davanti alla Commissione Finanze del Senato, Mangiatordi ha teso a ridimensionare e relativizzare la flessione dei rendimenti. Dall’inizio del 2008, infatti, si è registrata, per il comparto dei fondi pensione, una flessione del 3,4%, che è considerata dagli esperti abbastanza contenuta soprattutto se confrontata all’andamento delle borse. Ma nel confronto con l’andamento del Tfr, lo scostamento è più evidente: dato che la rivalutazione del Tfr mostra un segno positivo, più 3,1%. All’interno del pianeta dei fondi, il sistema dei fondi negoziali mostra di essere stato più prudente, più controllato e meno esposto alla volatilità rispetto ai fondi di investimento normali e alle gestioni previdenziali che oggi risultano più esposte. E questa tenuta deve essere attribuita non solo all’impianto legislativo italiano, che vieta una propensione troppo pronunciata al rischio finanziario, ma anche alla recente presa di posizione del mondo sindacale, e in particolare della Cgil, che recentemente ha voluto dare uno stop ai tentativi (decreto 703, per esempio) di rendere più aggressivi e quindi più rischiosi i fondi negoziali. Così , se tutto il sistema ha fatto registrare una flessione del 3,4% dall’inizio del 2008 ad agosto, i fondi pensione chiusi sono andati meglio (o meno peggio) di tutti gli altri prodotti, visto che la loro flessione è stata del 2,5% contro il 5,5% delle perdite dei fondi aperti. Clamoroso anche il confronto con i piani individuali pensionistici, ovvero i Pip, che non solo hanno costi di gestione ancora molto superiori, ma hanno fatto registrare perdite dell’8,8%.

I fondi negoziali sono strumenti previdenziali basati sui tempi lunghi e in base a questi parametri devono essere giudicati e valutati. Da alcuni dati provvisori sugli andamenti dei fondi negli ultimi dieci anni (dal 1998) ci si può rendere conto delle reali performance sia in relazione al Tfr sia in relazione ai benchmark di riferimento. Una delle caratteristiche della prudenza a cui i fondi pensione sono obbligati riguarda finora la limitata esposizione ai piani azionari. Così come risulta molto importante la battaglia per mantenere il riferimento al benchmark, piuttosto che affidarsi ad altre variabili (il Var, Value at risk, per esempio). Nei portafogli dei fondi negoziali rimangono solidi e centrali i titoli di Stato. Secondo i dati Covip, le esposizioni ai titoli azionari risulta in media del 20%. Si tratta di capire quindi che tipo di strumenti sono diventati nel tempo i fondi pensione, quali asset hanno scelto (e da quello che si vede hanno una netta prevalenza i titoli di Stato) e perché ci sono così grandi differenze tra i rendimenti e i costi dei singoli fondi. Ma questo è già un altro discorso.