Il nuovo presidente, Andry Rajoelina, si insedia il 19 gennaio. Dovrà affrontare un paese molto impoverito. E su cui grava, oltre al rischio di totale distruzione della foresta pluviale, l’accordo capestro con la Cina da 2,7 miliardi: un fish-grabbing.
Una grande kermesse tutta arancione, il colore della sua campagna elettorale costata ben 140 milioni di euro -in un paese dove il 90 percento della popolazione sopravvive con meno di circa due euro al giorno – tingerà lo stadio di Mahamasina da 22 mila posti. Così il nuovo presidente del Madagascar Andry Rajoelina intende festeggiare il suo insediamento sabato 19 gennaio ad Antananarivo, la capitale. E in arancione è stato già festeggiato sulle bianche spiagge delle isole a Nord (foto di Daniela Antonacci), santuari delle turismo occidentale non solo balneare, tra palme, barriere coralline, safari fotografici alla ricerca non di lemuri catta dalla lunga coda ad anelli (non ci sono a nord) ma di lemuri macaco, si chiama così la specie e camaleonti, o quanto meno alla ricerca di scenari paradisiaci, che sono anche la mecca dei turisti sessuali, in maggioranza italiani, francesi e polacchi anche nel 2018, come ricorda l’ultimo rapporto proveniente dagli Stati Uniti sulla prostituzione minorile.
Rajoelina, con la sua voce suadente da disk jockey – il suo lavoro originario prima di entrare in politica – ha già dichiarato che intende comporre al più presto la squadra di governo “con 21 ministeri” e nominare il nuovo premier subito dopo l’investitura, ha detto che vuole essere “il presidente di tutti”, un presidente “federale”, anche se non si sa bene cosa voglia dire in un paese con 18 diverse etnie, grande due volte l’Italia ma con la metà della popolazione, concentrata quasi unicamente sulle coste e nell’altipiano della capitale.
I malgasci lo chiamano “Dj” o “Tgv”, per la velocità con cui ha bruciato le tappe verso il potere. A 44 anni ha già alle spalle una esperienza da sindaco di una delle megalopoli africane, Antananarivo detta anche Tanà, e una precedente presidenza conquistata esattamente dieci anni fa nel 2009 però con un colpo di Stato, che gli è costato un disconoscimento della comunità internazionale, quindi un governo di transizione di cinque anni e infine la presidenza per altri cinque del suo ministro delle Finanze, l’ormai ex presidente Rajaonarimampianina, prima di queste elezioni presidenziali, dieci anni che hanno impoverito il Paese e dissestato ulteriormente le istituzioni, già minate da una corruzione capillare che pone il Madagascar al 155° posto su 180 nella graduatoria di Trasparency international.
Ora Rajoelina ha ottenuto la sua vittoria nelle urne, arrivando primo al ballottaggio con il suo rivale di sempre, il vecchio – 69enne – Marc Ravalomanana, eletto l’ultima volta alla presidenza nel 2002, lo stesso che aveva già spodestato con l’insurrezione del 2009 ma allora il 34enne Andry, figlio di un colonnello dell’esercito, aveva a spalleggiarlo i militari.
È più forte, adesso, è al potere con i complimenti dell’Unione Africana, dà finalmente ricevimenti con gli ambasciatori europei, anche se i risultati del voto del 19 dicembre scorso non sono stati propriamente un plebiscito per lui. Ha ottenuto il 55,66 percento dei consensi, surclassando di oltre dieci punti l’avversario, ma con un’affluenza di appena il 48 per cento, più bassa del primo turno del 7 novembre. E le accuse di frodi massicce- soprattutto compravendita di voti e circolazione di carte di identità false- che sono arrivate sia dall’avversario sia da 120 associazioni della società civile sono state alla fine messe a tacere dal verdetto della Suprema Corte costituzionale soltanto martedì scorso e dal plauso dell’Unione africana per il respingimento degli oltre 300 ricorsi di invalidità, considerati inammissibili per mancanza di prove. È probabile che a questo punto riuscirà a uscire indenne anche dalle residue difficoltà procedurali, dubbie dal punto di vista costituzionale, per ottenere finalmente la consegna simbolica delle chiavi del palazzo presidenziale, per insediarsi alla fine come presidente legittimo e riconosciuto internazionalmente entro la data prevista del prossimo 25 gennaio. Poi avrà un bel daffare.
Negli ultimi dieci anni la popolazione si è molto immiserita: nel 2012 era il 70 e non il 90 percento sotto la soglia di povertà mentre il reddito medio è sceso sotto i 63 dollari mensili. L’analfabetismo, che interessava il 30 percento degli abitanti nel 2011, oggi è stimato al 50 percento e questo rende quasi pleonastica la mancanza di tutele per la libertà di stampa.
La distruzione di ciò che resta delle immense foreste pluviali e secche per fare legna da ardere, carbone, per lasciare spazio a coltivazioni di riso e patate dolci, secondo la tradizione del Tavy, in un’economia agricola di sussistenza o a coltivazioni di vaniglia e caffè in mano ad aziende straniere e soprattutto il taglio degli alberi per esportazione illegale di legni pregiati come ebano e palissandro, ottimi per i parquet delle case di Amsterdam e Parigi, che vede implicati funzionari ministeriali e doganieri sono tutte attività che non sono state contrastate. Così si è quasi dimezzato il patrimonio boschivo dell’isola negli ultimi sessant’anni. E così negli ultimi dieci anni sono andati persi altri 90 mila ettari l’anno. Il centro del paese, un tempo verde – come mostrano i rilievi del satellite europeo Sentinel – ora è marrone, desertificato, e persino il ministero dell’Ambiente e delle Foreste era stato indotto a varare un piano (Redd+) per tentare di salvaguardare gli ultimi 415 mila ettari di foresta originaria, una delle 10 zone di biodiversità del pianeta, dalla definitiva distruzione seguendo le direttive Onu dell’Agenda per il 2030.
Ma Tgv-Rajoelina avrà una grana ancor più grande da affrontare nell’immediato futuro: un’enorme operazione di fish-grabbing. Soltanto due giorni prima di dimettersi l’ex presidente Hery Rajaorimampianina ha firmato un grande accordo commerciale con la Cina, che è già il primo partner economico del Madagascar. A margine di questo accordo l’Agenzia malgascia per lo sviluppo e il consorzio Tahie, che riunisce sette società cinesi dedite alla pesca industriale, hanno siglato un’intesa del valore di 2,7 miliardi di dollari per lo sfruttamento decennale dei mari malgasci attraverso l’impiego di 330 enormi pescherecci da 14 e 28 metri con celle frigorifere e probabilmente elicotteri al seguito per individuare i branchi. L’accordo, privato e quindi in gran parte segreto, prevederebbe la “produzione” di 130 mila tonnellate di pesce l’anno – pari all’intero pescato 2016 – per rifornire il “mercato locale” e poi da vendere – “il surplus” – all’estero, cioè in Cina, naturalmente a prezzi imposti dallo stesso consorzio Tahie. “Mangeremo sabbia”, avevano protestato i piccoli pescatori di Anakao. E anche secondo il Wwf l’intesa desertificherà le risorse ittiche malgasce, aumentando la povertà e provocando danni ambientali.
In campagna elettorale Dj-Rajoelina aveva giudicato l’accordo “non del tutto legale”, quindi facendo pensare che fosse rinegoziabile. Non fa ben sperare però che tra i primi commenti positivi alla sua elezione a presidente ne sia arrivato uno dalle autorità di Pechino che ricorda il rispetto degli accordi di partenariato e ne auspica addirittura uno sviluppo. Un auspicio che suona come una minaccia.