Era un operatore sociale e culturale «a piedi scalzi», militante (anche se lui preferiva la definizione di persuaso, coniata da Michelstaedter e ripresa da Capitini), e fino in fondo politico, però fuori dai partiti e dai politicismi cui ci siamo abituati da troppo tempo.
Ho conosciuto Goffredo Fofi negli annI ’80. Aveva dato da poco vita al mensile “Linea d’ombra” e prima di questa aveva avviato l’esperienza di Ombre Rosse e partecipato ad altre riviste come i Quaderni Rossi e i Quaderni Piacentini. Dopo “Linea d’ombra” avrebbe dato vita – tra le altre riviste – anche a “La terra vista dalla Luna”, “Lo Straniero” e “Gli Asini”. Fofi era tante cose insieme: operatore sociale, pedagogo, attivista nonviolento, direttore e animatore di riviste e redattore di case editrici, critico letterario e cinematografico e tanto tanto altro. Tutto si intrecciava e si sovrapponeva nel suo lavoro.
Negli anni ’80 ero Segretario per l’Italia del Servizio civile internazionale, i cui volontari lui aveva conosciuto negli anni ‘50 e ‘60: era curioso di sapere cosa fosse diventato lo Sci negli anni più recenti. Proprio a metà degli anni ‘50 si era trasferito in Sicilia per lavorare con Danilo Dolci e poi in lungo e in largo aveva attraversato l’Italia a conoscere e a lavorare con gli ultimi in un paese afflitto dalle conseguenze della guerra. Aveva avuto una borsa di studio da Olivetti e lavorato con il Cepas (la scuola per assistenti sociali, finanziata dall’imprenditore di Ivrea), partecipato a tanti progetti ed iniziative sociali. Aveva frequentato figure come Aldo Capitini ed Edoardo Marcucci e introiettato la nonviolenza e la disobbedienza civile fino alla scelta radicale del vegetarianesimo per rispetto di tutti gli esseri viventi. Aveva fatto ristampare innumerevoli volte da diverse case editrici “Le tecniche della nonviolenza” curato dal filosofo perugino.
Era radicale nelle sue opinioni e nelle sue scelte. Non poteva vivere ed operare senza stare affianco e accanto ai gruppi e alle organizzazioni impegnate nel lavoro sociale: nei Cemea e nel Movimento di collaborazione civica, nei Quaccheri, nei gruppi di Danilo Dolci e Aldo Capitini e più recentemente con la comunità di Capodarco, Progetto Sud di Lamezia Terme, Lunaria, Asinitas, Else, l’Ics e tanti altre organizzazioni, che sarebbe troppo lungo elencare. Era un operatore sociale e culturale «a piedi scalzi», militante (anche se lui preferiva la definizione di persuaso, coniata da Michelstaedter e ripresa da Capitini), e fino in fondo politico, però fuori dai partiti e dai politicismi cui ci siamo abituati da troppo tempo. Apprezzava l’anarchismo (sociale) e il socialismo (non stalinista), ma riconosceva il valore dell’esempio e del magistero di tanti sacerdoti che aveva conosciuto e apprezzato nel loro lavoro, da Mons. Raffaele Nogaro a don Tonino Bello. Di quest’ultimo aveva sempre messo in pratica il suo invito: «Non bisogna solo consolare gli afflitti, ma bisogna anche affliggere i consolati».
Goffredo fustigava i conformisti, i «tengo famiglia», gli opportunisti, gli ipocriti, oppure non li considerava proprio. Era disinteressato ai soldi e con quelli che aveva finanziava gruppi sociali e riviste. Era sobrio ed era il contrario della vanità e della retorica. Ognuno, per lui, doveva fare la sua parte: «Fai quel che devi, accada quel che può», ricordando l’invito di Salvemini.
Ha scritto tantissimi libri e lavorato in case editrici come Garzanti e Feltrinelli. Il suo “L’immigrazione meridionale a Torino” (1964) fu rifiutato da Einaudi perché dava fastidio alla Fiat e pubblicato da Feltrinelli. Per ultimo si riuscì a convincerlo – non so come – a dare vita alle Edizioni dell’Asino (2008) e pubblicammo oltre 200 titoli, la gran parte senza alcun valore commerciale, ma di incommensurabile valore culturale e storico. Ripubblicammo testi introvabili, autori dimenticati (ma ancora attuali), manuali per l’azione, opuscoli. Non si poteva chiamarlo maestro, perché lui rispondeva: «Sono solo un maestro di scuola elementare».
Il suo ultimo libro è un ricordo di Alex Langer, di cui si sono celebrati il 3 luglio i 30 anni dalla morte. Il titolo di quel libro è “Continuate in ciò che è giusto”. Aveva ragione Langer quando affermava che è una sciocchezza dire che «nessuno è insostituibile». Goffredo non era e non sarà sostituibile. Però l’unicità delle sue idee, ma soprattutto della sua opera ci potranno accompagnare a continuare in ciò che è giusto.