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Geoingegneria per gestire il clima?

Il riscaldamento globale accelera, aumentano di frequenza e intensità gli eventi estremi. Senza una reale de-carbonizzazione, nell’attuale business as usual, si fanno avanti progetti di geo ingegneria climatica per ridurre le emissioni di gas serra. Ne esaminiamo due.

Il riscaldamento medio globale accelera, la frequenza ed intensità degli eventi estremi aumentano ed i danni sulle popolazioni ed ecosistemi diventano sempre più importanti. Nonostante questo, le emissioni globali di gas serra continuano a crescere, dato che si continuano ad utilizzare i combustibili fossili (carbone, olio combustibile e gas metano) e a sovra-sfruttare le terre; e invece che investire nella de-carbonizzazione, si propongono progetti di geo-ingegneria per contrastare il cambiamento climatico. Progetti criticati dalla comunità scientifica e il cui risultato è molto dubbio. Di questo parleremo in questo articolo, dove cercheremo di capire se ha senso investire in progetti di geo-ingegneria, analizzando in particolare due progetti, uno che agisce sulla atmosfera e uno sui ghiacci dell’Artico.

Figura 1. Riscaldamento medio globale alla superficie rispetto alla media del periodo pre-industriale (1850-1900). La linea punteggiata nera indica i valori medi di ogni mese. La linea blu indica la crescita lineare tra il 1980 ed il 2001 (0,11oC ogni 10 anni), e la linea rossa la crescita lineare tra il 2002 ed il 2024 (0,28oC ogni 10 anni). [I dati della temperatura a 2-metri vengono da Copernicus Climate Change Service (C3S/ECMWF).] 

Lo stato del clima della Terra

Il riscaldamento globale continua ed accelera: nel 2024 l’aumento della temperatura media globale è stato di 1,6oC, e nel 2023 1,48oC, come mostrato dalla Figura 1 (fonte ‘Copernicus Climate Change Service’, C3S: https://climate.copernicus.eu). Gli anni con temperature massime record continuano a succedersi perché il riscaldamento globale accelera: come mostra la Fig. 1, tra il 2002-2024 il riscaldamento medio globale è cresciuto di circa 0,28oC ogni 10 anni, mentre nei venti anni prima, tra il 1985-2004, era cresciuto meno della metà, di circa 0,11oC ogni 10 anni. L’accelerazione è legata ad una serie di motivi, tra cui il fatto che le emissioni globali di gas serra (e quindi il loro accumulo in atmosfera) continuano a crescere, i ghiacci dei poli si sciolgono e così diminuiscono l’albedo terrestre, l’oceano si scalda sempre di più ed è quindi sempre meno in grado di assorbire parte del calore dell’atmosfera. 

Il continuo riscaldamento porta un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, che causano sempre più danni a popolazioni ed ecosistemi, come evidenziato dalle alluvioni che hanno colpito l’Emilia Romagna e Valencia nell’ottobre 2024, e la Toscana a marzo 2025. Questo legame tra l’aumento della frequenza e l’intensità degli eventi estremi ed il cambiamento climatico è evidente dai rapporti del progetto che studia l’attribuzione degli eventi estremi (World Weather Attribution, https://www.worldweatherattribution.org). 

Malgrado queste continue evidenze, ed i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC: https://www.ipcc.ch) che dal 1990 dicono molto chiaramente che la causa principale di questo riscaldamento sono dovute alle attività umane, le emissioni globali di gas serra continuano a crescere, perché a livello globale continuiamo a ad utilizzare combustibili fossili (carbone, olio combustibile e metano) e a sovra-sfruttare la Terra. Ad esempio, EDGAR (‘Emissions Database for Global Atmospheric Research’ dell’Unione Europea: https://edgar.jrc.ec.europa.eu) riporta che le emissioni globali di gas serra nel 2023 sono state circa 53 Gt CO2-eq (Gt = giga-tonnellate, cioè miliardi di tonnellate), l’1,9% in più rispetto al 2022. Per il 2024 non ci sono ancora stime disponibili per i gas serra, ma se consideriamo solo le emissioni di anidride carbonica (CO2), ‘Global Carbon Budget’ (GCB, https://globalcarbonbudget.org) riporta un aumento dello 0,8% rispetto al 2023. 

Il legame tra la continua crescita delle emissioni di gas serra ed il loro accumulo in atmosfera, ed il riscaldamento medio globale è evidente, come ci ricordano gli ultimi rapporti di IPCC, che parlano di una relazione quasi-lineare tra l’accumulo ed il riscaldamento. Questa relazione quasi lineare mostrata nella Fig. 2 ed evidenziata dalla relazione lineare riportata in figura (y=0,0005 x + 0,3991, dove la variabile “y” rappresenta il riscaldamento medio globale e la variabile “x” l’accumulo di gas serra in atmosfera espresso in Gt), indica che un ulteriore aumento dell’accumulo di gas serra di 1.000 Gt di gas serra porterebbe ad un riscaldamento di 0,5oC (valore ottenuto moltiplicando x=1.000 per il coefficiente 0,0005 della relazione lineare). Quindi se continuiamo ad emettere circa 50 Gt ogni anno, in 20 anni avremo aggiunto altre 1.000 Gt ed alzato la temperatura media globale di 0,5oC. Se aggiungiamo 0,5oC al riscaldamento medio globale osservato nel 2023 o 2024 di circa 1,55oC, supereremo quindi i 2,0oC di riscaldamento. 

Figura 2. Relazione quasi-lineare tra l’accumulo di gas serra in atmosfera ‘x’ (asse orizzontale, dove i valori in Gt sono calcolati accumulando le emissioni annuali di gas serra) ed il riscaldamento medio globale ‘y’ (asse verticale, in gradi oC). [I dati di emissioni globali da Our World in Data, ed i dati del riscaldamento da C3S/ECMWF].

Per far fronte a questa mancanza di riduzione delle emissioni globali di gas serra, sono stati proposti progetti di geo-ingegneria per ridurre il riscaldamento globale, e quindi permettere un rallentamento della riduzione delle emissioni. Progetti che vengono molto criticati dalla comunità scientifica, da chi conosce la fisica e la chimica del sistema Terra, e le risposte degli ecosistemi a cambiamenti sostanziali dello stato chimico-fisico dell’atmosfera degli oceani. 

E’ quindi fondamentale capire cosa viene proposto, quale sia la scala spazio-temporale di questi progetti, e quali siano i possibili impatti negativi di questi progetti, prima di considerarli come una valida alternativa alla riduzione delle emissioni di gas serra. Di questo parleremo nelle sezioni successive focalizzandoci in particolare su due progetti di geo-ingegneria, il primo che ambisce ad aumentare l’albedo delle nubi ed il secondo che ambisce a rallentare lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico (e quindi anche qui, indirettamente, a modificare l’albedo dell’Artico).

E’ possibile rallentare il riscaldamento iniettando aerosol in stratosfera? 

Questo progetto cerca di modificare in maniera sostanziale la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre iniettando aerosol in stratosfera così da aumentare l’albedo terrestre. In sostanza il progetto cerca di replicare quello che succede dopo grandi eruzioni vulcaniche ma su una scala spazio-temporale globale, visto che le eruzioni vulcaniche devastanti quali quelle del Monte St Helens (1980) o del Monte Pinatubo (1991) hanno comunque avuto un impatto limitato sulla temperatura media globale. Infatti, si stima che l’esplosione del Monte Pinatubo, che ha immesso in atmosfera di circa 15 milioni di tonnellate (Mt) di aerosol, ha causato una riduzione della temperatura media globale per circa 4 anni, con un valore di circa 0,1oC dopo un anno, un picco di circa 0,2oC dopo 2 anni dall’eruzione, e quindi una decrescita fino a raggiungere lo zero a 4 anni dall’eruzione. Stime simili sono state riportate dopo l’esplosione di altri vulcani, quali il Monte St Helens (1980, USA; che ha portato all’immissione di circa 10 Mt di aerosol) o El Chichon (1982, Mexico; 7 Mt). 

Quanto aerosol dovremmo iniettare ogni anno in stratosfera per contrastare un riscaldamento medio globale di 0,5oC?

Prendiamo come riferimento l’impatto dell’esplosione di El Chichon, St Helen o Pinatubo menzionati qui sopra, che hanno immesso in stratosfera circa 10-20 Mt di aerosol portando ad una riduzione della temperatura media globale di circa 0,1-0,2oC per circa 2-4 anni. Supponiamo di voler ridurre il riscaldamento meglio globale di almeno 0,5oC ogni anno: dobbiamo quindi immettere in stratosfera una quantità circa 5 volte maggiore di aerosol: parliamo quindi di circa 50-100 Mt di aerosol. 

Un articolo di Smith & Wagner (Smith, W, and Wagner, G, 2018: ‘Stratospheric aerosol injection tactics and costs in the first 15 years of deployment’. Environ. Res. Lett. 13) ha esaminato le capacità e i costi di vari metodi per iniettare particolato nella stratosfera inferiore (fino ad un massimo di 20 km di altezza), in grado di dimezzare l’aumento del forzante radiativo antropogenico a partire da qui a 15 anni. Lo studio ha concluso che nessun progetto di aeromobile esistente, anche con modifiche estese, può ragionevolmente adempiere a questa missione. 

E’ evidente che ci sono domande chiave a cui occorre rispondere prima di iniziare un progetto di geo-ingegneria su questa scala, tra cui le seguenti:

  • Quanto aerosol dobbiamo immettere l’anno in stratosfera per avere un effetto sostanziale sul riscaldamento medio globale? 
  • Supponiamo che la nostra stima di 50-100 Mt sia corretta: riusciamo a confermare con modelli numerici accurati che l’immissione di 50-100 Mt di aerosol porterebbe ad un effettivo raffreddamento della temperatura media globale di 0,5oC?
  • Quale potrebbe essere l’impatto della deposizione di mega-tonnellate di aerosol sul sistema Terra? Ad esempio, quale sarebbe l’impatto sulla circolazione globale atmosferica, la precipitazione, l’albedo dei ghiacci e dei ghiacciai? O l’impatto sugli ecosistemi e le comunità?
  • Riusciamo a garantire che un tale progetto non cambi la distribuzione della precipitazione in modo tale che un gruppo di Paesi si avvantaggia ed uno ha grossi impatti negativi?
  • Come si potrebbe gestire il ‘post-programma-geo-ingegneria’, nel caso si scoprisse ad un certo punto che questa tecnica di geo-ingegneria comporta più impatti negativi che benefici?

E’ possibile rallentare lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico con la geo-ingegneria? 

Un altro progetto di geo-ingegneria di cui ha parlato un articolo pubblicato su Nature a maggio (O’Callaghan, J, 2025: UK funds projects to test contentious Earth-cooling tech, Nature vol. 641, pg 567-568) ambisce a rallentare lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico con un sistema di generazione del ghiaccio durante i mesi freddi. Generazione che si basa sul pompaggio di acqua da sotto a sopra lo strato dei ghiacci: acqua che, congelando, porterebbe ad uno ispessimento del ghiaccio. Se funzionasse, questo progetto potrebbe rendere i ghiacci marini dell’Artico, che si creano durante i mesi freddi, più spessi e quindi rallentare il loro scioglimento durante i mesi caldi. 

Come per il progetto di iniezione di aerosol in stratosfera, anche in questo caso la scala che il progetto dovrebbe avere per garantire un impatto misurabile sulla temperatura media globale lo rende di difficile realizzazione. Se consideriamo gli ultimi 20 anni, ogni anno il ghiaccio Artico si riduce in estensione di circa 90.000 km2, e ci si aspetta quindi che da qui al 2050 verranno persi circa 1 milione di km2. Per riuscire a rallentare sostanzialmente questo scioglimento, occorre quindi garantire una produzione di ghiaccio che copra una superficie confrontabile con quella che si scioglie, diciamo quindi di circa 90.000 km2. Occorre inoltre che il ghiaccio che si forma sia spesso abbastanza per non sciogliersi completamente durante i mesi caldi. Per riuscire a garantire una tale produzione di ghiaccio occorrerebbero migliaia di impianti di pompaggio/droni sottomarini (robot). Migliaia di sistemi di pompaggio/droni che, tra l’altro, avrebbero bisogno di energia per funzionare. 

I proponenti di questo progetto vogliono provare la sua efficacia e stimare i suoi costi e benefici, applicandolo su un’area piccola, una baia con un’area di qualche centinaio di km2, con caratteristiche diverse dal mare aperto lungo il quale il ghiaccio Artico si forma e scioglie ogni anno. Ammesso che questo primo test porti dei risultati positivi, ci si chiede se lo stesso sistema funzionerebbe in mare aperto, garantendo un impatto su una superficie equivalente all’area di riduzione della superficie dei ghiacci. Ci si chiede inoltre quale sarebbe l’impatto reale del pompaggio di acqua salata al di sopra del ghiaccio esistente, dato che la presenza del sale marino abbassa la temperatura di scioglimento.

Inoltre dobbiamo tenere conto che lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico è dovuto in parte all’aumento della temperatura dell’atmosfera, che porta ad un suo rapido scioglimento in superficie, ed in parte all’aumento della temperatura degli oceani e a variazioni della sua circolazione. Anche in questo caso, occorrerebbe avere dei modelli accoppiati del sistema Terra in grado di descrivere in maniera sufficientemente accurata le correnti marine, e l’interazione atmosfera-onde oceaniche-correnti oceaniche-ghiacci, in modo da stimare correttamente il possibile impatto di questo progetto.

Le domande chiave a cui occorre rispondere prima di iniziare un progetto di questa scala sono simili a quelle identificate prima per progetti di iniezione di aerosol in stratosfera:

  • Quanti sistemi di pompaggio dovremmo istallare per produrre abbastanza ghiaccio per avere un impatto sul riscaldamento medio globale? 
  • Quale potrebbe essere l’impatto di questi sistemi di pompaggio di acqua salata al di sopra di strati di ghiaccio normalmente formati da acqua dolce, sulle caratteristiche del ghiaccio? Ad esempio, la presenza di una maggiore concentrazione di sale, non potrebbe causare un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci? O quale sarebbe l’impatto sulla circolazione a grande scala dell’oceano? E quale sarebbe l’impatto di questi sistemi di pompaggio sugli ecosistemi marini?
  • Come si potrebbe gestire il ‘post-programma-geo-ingegneria’, nel caso si scoprisse ad un certo punto che questa tecnica di geo-ingegneria comporta più impatti negativi che benefici?

Alcune considerazioni generali sui programmi di geo-ingegneria

Torniamo a parlare in generale di progetti di geo-ingegneria. Queste solo le ragioni principali per cui la comunità scientifica ha molti dubbi che programmi di geo-ingegneria possano contribuire a ridurre l’impatto delle continue emissioni di gas serra:

  1. Non risolvono il problema della riduzione delle emissioni di gas serra, ma semplicemente spostano il problema ad anni futuri, quando il problema sarà ancora più grave, dato che nel periodo in cui si investe in progetti geo-engineering si continua ad emettere gas serra, e si divertono risorse che sarebbero meglio utilizzate a ridurre le emissioni stesse;
  2. Hanno una dubbia probabilità di successo, dato che la fase di disegno e test a piccola scala non è in grado di valutare i possibili effetti che il progetto potrebbe avere sul sistema Terra (sia sul clima che sugli ecosistemi);
  3. Per avere effetto, dovrebbero essere realizzati su una scala spazio/temporale, di risorse, di finanziamenti annuali, di tecnologie necessarie, tale da poter avere impatti negativi disastrosi sugli ecosistemi; inoltre, è logico chiedersi se non avrebbe un impatto più efficace e durato investire questi soldi in progetti che portino ad una reale riduzione delle emissioni;
  4. È ad oggi impossibile stimare il possibile impatto di un progetto di geo-ingegneria se non effettuandolo, dato che i modelli numerici attuali del sistema Terra non sono in grado di simulare il loro potenziale impatto in maniera sufficientemente accurata. Sarebbe quindi meglio investire nella riduzione delle emissioni di gas serra, e nella modellistica del sistema Terra, così da avere un impatto diretto sulla riduzione delle emissioni e sulla costruzione di modelli capaci di simulare realisticamente il loro possibile effetto, e quindi utilizzarli per stimare il loro impatto. 
  5. La potenziale gestione del ‘post-progetto-di-geoingegneria’ rimane estremamente complesso. 

Evitiamo la spirale geo-tecnologica che avvantaggia solo pochi e non risolve il problema

Dall’era pre-industriale (1850-1900), l’uomo sta effettuando un esperimento globale di geo-ingegneria: bruciando combustibili fossili, sta aumentando la concentrazione dei gas serra in atmosfera, causando un aumento della temperatura media globale estremamente rapido. Un riscaldamento di circa 1,5oC sull’arco di tempo di ~ 100 anni, mai visto in precedenza. 

Da almeno il 1990 (quando iniziano a circolare i rapporti di IPCC), tutti, incluso i politici, i decisori, gli investitori e gli amministratori delegati delle maggiori compagnie del mondo, tra cui quelle petrolifere, sanno che questo esperimento di geo-ingegneria aumenta la temperatura media della Terra, e causa impatti sempre più gravi su ecosistemi e popolazioni. Sappiamo anche che l’unica soluzione efficace è la riduzione delle emissioni, ovvero dell’utilizzo dei combustibili fossili e dello sfruttamento insostenibile. Sappiamo anche che abbiamo le tecnologie per affrontare il problema e raggiungere zero emissioni nette di gas serra, ed abbiamo le risorse finanziarie per decarbonizzare. Ma dato che la decarbonizzazione ha un impatto sostanziale sul sistema economico-sociale attuale, invece che decarbonizzare si propone di investire in progetti di geo-ingegneria in modo da poter continuare ad utilizzare i combustibili fossili rallentando la decarbonizzazione. 

In questo modo non solo il problema non viene risolto, ma viene reso ancora più complesso dal fatto che investendo in questi progetti si tolgono risorse alla mitigazione (intesa come riduzione delle emissioni di gas serra), e si posticipa la risoluzione del problema che nel frattempo diventa sempre più difficile da risolvere (dato che l’accumulo di gas serra in atmosfera continua, visto che si sprecano risorse essenziali in progetti che non riducono le emissioni, ma anzi potrebbero aggiungerne). 

Torniamo quindi alla domanda posta all’inizio dell’articolo: ha senso finanziare progetti di geo-ingegneria per rallentare il riscaldamento globale? 

Penso che se la finalità fosse comprendere il loro impatto sul sistema Terra, il finanziamento di questi progetti avrebbe senso, dato che aumenterebbe la nostra conoscenza di come il sistema Terra reagirebbe a tali modifiche. Ma se la finalità del finanziamento fosse quella di utilizzare questi progetti per giustificare un rallentamento della decarbonizzazione, non avrebbe senso, dato che ogni dollaro speso in progetti di geo-ingegneria non verrebbe speso per la riduzione delle emissioni. 

Il problema del cambiamento climatico si risolve riducendo le emissioni: più si rimanda tale riduzione, più il sistema si scalda e gli impatti negativi sulle popolazioni e gli ecosistemi crescono. È imperativo raggiungere gli obiettivi della riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 (rispetto ai valori del 1990, ‘Fit-for-55’), e zero-emissioni-nette entro il 2050. Priorità va data ad azioni che si avvicinano a questi obiettivi. 

Link a siti citati nell’articolo:

Roberto Buizza è professore di fisica della Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

Per approfondimenti: