Dis-connessi/Nelle società neoliberiste in cui viviamo, l’individuo è prodotto dall’incontro tra le tecniche di governo politico, la disciplina morale e la razionalità economica.
Ne parlano Laval e Dardot nel loro recente lavoro La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, di cui si è già discusso su queste pagine. Nella fabbrica del soggetto neoliberista, l’io è spinto a «mutare per rinforzarsi e sopravvivere nella competizione». Il singolo si trasforma così in «esperto di se stesso, datore di lavoro di se stesso, inventore di se stesso, imprenditore di se stesso».
Al valore della collaborazione si sostituisce quello della competizione, e per restare appetibili sul mercato c’è bisogno di continui investimenti su se stessi, in termini di educazione e di formazione.
È questo il famoso capitale umano di cui parla anche Virzì nel film omonimo.
L’individualismo neoliberalista è ben diverso dall’etica del sé protestante che era alla base del primo capitalismo. Il controllo sistematico del sé e la visione del lavoro come mezzo di salvezza nell’aldilà lasciano il posto ad un modello fondato sul primato della libera iniziativa.
Questa libertà è però al tempo stesso una prigione: «Non siamo usciti dalla ‘gabbia d’acciaio’ dell’economia capitalista di cui parlava Weber. Per certi versi, si dovrebbe dire piuttosto che a ciascuno viene imposto di costruire, per conto proprio, una piccola ‘gabbia d’acciaio’ individuale» (La ragione del mondo). Laval e Dardot si ispirano alla genealogia del liberalismo elaborata da Michel Foucault. In particolare, è nella Nascita della biopolitica, il corso al Collège de France del 1979, che il filosofo francese tratteggia la differenza tra l’individualismo classico e quello neoliberista.
Per il secondo infatti «è necessario che la vita dell’individuo si inscriva non come vita individuale all’interno della cornice di una grande attività, quale potrebbe essere un’impresa o, al limite, lo Stato. Bisogna invece che questa si possa inscrivere nel quadro di una molteplicità d’imprese diverse, articolate ed incastrate l’una nell’altra» [trad. ndr].
L’individualismo contemporaneo presenta quindi il carattere della serialità e della molteplicità: il singolo è al tempo stesso imprenditore di se stesso e frammentato in un numero svariato di sé. Il lavoratore non esiste più, perché il salario è pensato come il ritorno di un investimento in capitale umano su se stessi.
Foucault ci mette tuttavia in guardia dal leggere tali mutazione come il prevalere di una razionalità fredda e calcolatrice, di tipo strettamente economico, sulla necessità di aggregazione sociale e di appartenenza. Al contrario, egli ci ricorda che l’ideale neoliberista di fare del rapporto costi-benefici il modello di tutte le relazioni sociali («un modello dell’esistenza stessa, una forma di rapporto dell’individuo a se stesso, al tempo, al suo entourage, al futuro, al gruppo, alla famiglia») miri a ridurre l’alienazione e a fornire dei punti di appoggio e dei valori “caldi” che compensino la portata disaggregante della competizione stessa.
Quest’ordine è, infine, la modalità che assume, oggi, il governo politico: «l’individuo diventa l’oggetto di governo, e questo riesce ad avere presa su di lui, nella misura in cui, e solo nella misura in cui, egli è homo oeconomicus».
La gabbia che ognuno di noi si costruisce per sopravvivere nella società neoliberista non è dunque né un accessorio, né una conseguenza secondaria del sistema di valori e di governo in cui siamo inseriti, bensì ne è il perno. La forma dell’homo oeconomicus è «l’interfaccia tra l’individuo ed il governo». Il governo del collettivo si articola quindi al governo dell’individuo, come peraltro Foucault aveva spiegato nel corso del 1978, Sicurezza, territorio, popolazione, in cui indica nel potere pastorale il modello del potere politico contemporaneo, ispirato all’immagine religiosa del pastore che conduce il gregge gestendo il movimento delle pecore una ad una, omnes et singulatim.
Bisognerebbe dunque partire da questa lettura delle forme che il potere, politico e morale, prende oggi per proporre un’articolazione del singolare e del collettivo che ci aiuti ad uscire dalla gabbia in cui ognuno è imprigionato e che dà al contempo la struttura della società nel suo insieme.