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Europa, un varco incerto per la politica fiscale

Con la riunione dei capi di Stato Ue del 23 aprile si è forse aperto un varco per una politica fiscale europea. Ma si tratta di un varco tutto in salita, con un’ipoteca tedesca sull’iniziativa. Per affrontare l’emergenza e il post epidemia servono grandi risorse europee e maggiore libertà d’azione a livello nazionale.

Con la riunione dei capi di Stato dell’Unione europea del 23 aprile si è forse aperto un varco per la possibilità di una politica fiscale europea. Ma si tratta – ad oggi – di un varco stretto e scivoloso, tutto in salita. Rimane da chiarire quale sarà l’entità di questa politica, come verrà declinata nel concreto e quali saranno i principali beneficiari.

Se, da un lato, l’accordo europeo per creare un “Fondo per la ripresa” (Recovery Fund) legato al bilancio Ue è un successo della convergenza tra Italia, Spagna e Francia, dall’altro lato la Germania ha messo un’ipoteca sull’entità e le modalità dell’iniziativa.

Berlino ha ottenuto che non si parli di EuroBond, ma il Fondo per la ripresa sarà finanziato anche con titoli emessi dalla Commissione europea. Non sono stati decisi i tempi di costituzione del Fondo né l’entità delle risorse a disposizione, ma per la manovra fiscale europea finalmente si passa dal ridicolo 1% del Pil comunitario – 166 miliardi di euro – a discutere su un ordine di grandezza di 1.000 miliardi di euro.

I terreni di scontro con la Germania e le resistenze del Nord Europa sono ancora tutti sul tavolo. Il primo fronte aperto riguarda le modalità di spesa del Recovery Fund: quanti trasferimenti a fondo perduto e quanti prestiti? E con quali criteri per la distribuzione tra paesi? Si terrà contro degli effetti dell’epidemia o della debolezza delle economie? E i fondi saranno usati alla vecchia maniera, o saranno orientati a costruire un’economia più giusta e sostenibile?

Il secondo fronte è sul finanziamento del Recovery Fund: quante saranno e come avverranno le emissioni di titoli, e con quale ruolo della Banca centrale europea? Ci saranno nuove imposte che finanziano la Ue, o maggiori trasferimenti dai paesi?

Spetterà alla Commissione, in prima istanza, dare delle risposte: nelle prossime settimane si capirà qualcosa di più. Nel frattempo Angela Merkel fa sapere che il Fondo per la ripresa dovrà essere mirato e temporaneo. Un’affermazione che non tiene conto della sostanza dei problemi. Primo, perché anche quando la pandemia sarà sotto controllo, si tratterà di fare i conti con economie colpite diversamente dalla crisi, con disuguaglianze economiche e sociali ancora più profonde all’interno dell’Unione.

Secondo, perché l’Europa è già nel mezzo di un’altra crisi, quella ambientale. Per far fronte all’emergenza dovuta al coronavirus, l’Ue ha sospeso il Patto di Stabilità e Crescita, assicurando ai governi una maggiore libertà di spesa, e ha concesso ampia flessibilità sugli aiuti di Stato.

Sarebbe il momento di generalizzare questa rottura con le vecchie restrizioni alla spesa pubblica nazionale: tutti gli investimenti pubblici e le spese per la riconversione “verde” dell’economia dovrebbero essere esclusi dal calcolo del deficit ai fini delle regole fiscali europee; i divieti agli “aiuti di Stato” dovrebbero essere rimossi per consentire la riconversione dei sistemi produttivi, ancora largamente basati sulle fonti fossili.

Solo con questo doppio binario – grandi risorse europee e maggior libertà d’azione per le politiche fiscali nazionali – la politica fiscale europea inizierebbe ad avere un ruolo per affrontare l’emergenza e il dopo-epidemia.