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È l’ora della politica industriale e degli investimenti pubblici

La produzione industriale italiana cala, l’export è in crisi, la domanda interna è asfittica, il debito sale. È urgente un cambio di passo, con un piano di investimenti pubblici, una cabina di regia per la politica industriale e il Green New Deal, una riforma fiscale e una politica dei redditi per chi ha di meno.

Il recente dato del calo della produzione industriale su base annua (-1,3%) fornito dall’Istat evidenzia la perdurante difficoltà dell’economia italiana. Non è trascurabile l’influenza dei fattori esogeni: il rallentamento dell’economia mondiale, le difficoltà della “locomotiva” tedesca, i problemi della Cina.

L’Italia è di fatto in stagnazione da tempo e non sono gli aumenti di pochi decimali a cambiare il segno della nostra condizione; in difficoltà è il nostro export, la produttività sale di meno di altri paesi (e non certo per colpa degli alti salari), la domanda interna è asfittica, il debito continua a salire. Non si avvertono segnali di cambiamento e discontinuità in questi mesi.

Particolarmente pesante è la flessione dell’industria automobilistica (-13,9%), ma anche altri settori vanno decisamente male: -4,6% il settore tessile e dell’abbigliamento, -4,1% la metallurgia, -2.9% macchinari e attrezzature. Il sistema industriale italiano è in grande difficoltà e sono anche inadeguate le sue classi dirigenti: si pensi che il più probabile futuro presidente di Confindustria (Carlo Bonomi) dirige un’impresa di 5 dipendenti.

Ci sono poi pesanti eredità che non trovano un’adeguata risposta: da anni l’Italia non ha una politica (pubblica) industriale e le scelte vengono delegate al mercato, a suon di agevolazioni fiscali (alle imprese) tra le più varie. Gli investimenti pubblici in questi anni sono crollati pesantemente e ora sono al palo: le risorse per il cosiddetto Green New Deal contenute nell’ultima Legge di Bilancio sono ben poche e molte di queste rinviate ai prossimi anni, nella ricerca e nell’innovazione siamo ancora in grandissimo ritardo, siamo il fanalino di coda per numero di laureati in Europa.

Difficile in questa situazione essere ottimisti.

Speriamo che il prossimo DEF (Documento di Economia e Finanza) atteso per il mese di aprile dia qualche segnale di cambiamento e discontinuità: serve un cambio di passo per gli investimenti pubblici, una cabina di regia per la politica industriale (che sappia indirizzare e sostenere le scelte giuste, sostenibili) e il Green New Deal, una riforma fiscale che tagli le tasse ai ceti medio-bassi e innalzi il prelievo sulle classi più ricche, le rendite finanziarie, gli indebiti privilegi. Va sostenuta la domanda (e i consumi interni) anche con quella che una volta si sarebbe chiamata una politica dei redditi: abbiamo salari mediamente bassi, un diffuso precariato con retribuzioni da fame, pensioni troppo modeste.

Un DEF che chieda un cambio di passo anche in Europa: gli investimenti sociali e del Green New Deal devono essere scorporati dai vincoli del Patto di Stabilità, che deve essere comunque radicalmente cambiato.

Questo è ciò che si dovrebbe fare e che – da tempo – chiede la campagna Sbilanciamoci!