Con l’imminente fase 2 si prospetta una ripartenza differenziata in base ai settori e alle professioni. Ma quali sono e dove sono concentrati i lavori e gli occupati più a rischio contagio? Senza interventi compensativi che accompagnino la riapertura, le disuguaglianze aumenteranno. E il Sud ne farà le spese.
L’epidemia da Covid-19 non sembra invertire il proprio trend, ma i progressivi miglioramenti degli ultimi giorni lasciano presagire l’attuazione di una possibile fase 2 già dalla prossima settimana. Il Governo italiano dovrà necessariamente varare un programma cadenzato per la riapertura delle attività economiche, valutandone la fattibilità a partire dall’analisi dei rischi di contagio e diffusione per ogni specifico caso. È plausibile, dunque, che la ripartenza assuma ritmi differenziati a seconda dei settori economici e delle modalità operative delle professioni in essi impiegate. Tali differenze incideranno sui territori in ragione delle singole specializzazioni produttive che li caratterizzano. Tuttavia, senza un adeguato intervento compensativo per le zone che potrebbero rimanere potenzialmente “indietro” nell’avvio della fase 2, si corre il rischio concreto di creare nuovi divari territoriali ed esacerbare quelli già esistenti.
Con l’obiettivo di fare luce su questo aspetto, il presente articolo propone una stima dei profili di rischiosità delle attività ad oggi autorizzate e di quelle sospese dai recenti DPCM del Presidente del Consiglio. Tale stima è realizzata sulla base di dimensioni essenzialmente riconducibili al grado di interazione diretta con il prossimo (colleghi, clienti, pazienti) richiesto a ciascuna figura professionale per l’ordinario svolgimento delle mansioni che vi competono. Seguono alcune riflessioni sulle conseguenze che le riaperture differenziate potrebbero avere qualora venissero stabilite sulla base di tale criterio. Quest’ultima è una possibilità tutt’altro che remota in quanto il distanziamento sociale appare, secondo i più recenti studi[1], tra le dimensioni maggiormente rappresentative del profilo di rischiosità associato alle probabilità di contrarre la forma virale Covid-19.
Nello specifico, il presente contributo si avvale di due fonti informative: la banca dati Isfol-Istat riferita all’Indagine 2013 delle Professioni italiane e l’edizione 2019 dell’Indagine Forze Lavoro. La prima è stata utilizzata per definire i profili di rischiosità del contagio delle circa 800 professioni italiane sulla base di un modello predittivo che sfrutta una serie di informazioni utili a rappresentare il grado di interazione con il prossimo per ciascuna categoria professionale. La seconda è stata invece utilizzata per aggregare i valori predetti sul rischio di esposizione delle professioni a livello settoriale prima, e territoriale poi.
Il ragionamento di fondo si basa sull’assunto che il rischio di esposizione alla patologia virale in circolazione si manifesti nella misura in cui una data professione contenga, tra i requisiti richiesti per svolgerla, alcuni “meccanismi procedurali” che – senza una adeguata copertura vaccinale – espongono inevitabilmente chi la svolge, e coloro chi vi interagiscono, ai rischi del virus. Le domande contenute nell’indagine Isfol-Istat e selezionate dagli autori per rappresentare le “sfere di suscettibilità” sono le seguenti:
- B29 – Conoscenza delle più importanti attrezzature, delle politiche, delle procedure e delle strategie per promuovere effettive operazioni di sicurezza locale e nazionale per la protezione delle persone, delle informazioni, della proprietà e delle istituzioni;
- C11 – Essere consapevole delle reazioni degli altri e comprendere perché reagiscano in determinati modi;
- F6 – Il lavoro richiede di essere sensibile ai bisogni e ai sentimenti degli altri e di essere comprensivo e utile agli altri sul lavoro;
- G29 – Fornire assistenza personale, attenzione medica, supporto emotivo o altre cure personali ad altri (colleghi, clienti, pazienti);
- H21 – Nello svolgimento del suo lavoro, quanto è fisicamente vicino ad altre persone?
Nel primo stadio di analisi è stato individuato un sotto-campione costituito da 79 professioni (D) alle quali è stata assegnato, esogeneamente, un valore dicotomico y (0 – basso profilo rischiosità; 1 – alto profilo rischiosità). Sia il pool di professioni che lo stato di ciascuna di esse (40 professioni a basso rischio e 39 professioni ad alto rischio Covid-19) sono stati identificati sulla base delle recenti dichiarazioni del Comitato scientifico della Protezione Civile in merito alle attività e alle professioni maggiormente esposte alla patologia virale[2].
Grafico 1. Valori medi dei cinque indicatori per i due gruppi (0 – basso profilo rischiosità; 1 – alto profilo rischiosità)
Come mostrato dalla figura 1, i valori medi (compresi tra 0 e 100) che rappresentano le cinque dimensioni sopra elencate sono maggiori per le figure professionali esogeneamente identificate ad alto rischio e, viceversa, minori per le quelle definite a basso rischio.
In tal modo è stato definito il perimetro del training sample D = (X, y), in cui X ∈ R79 è il vettore che rappresenta l’indicatore sintetico costruito a partire dai cinque indicatori sopra elencati e y ∈ {0, 1}79 è il vettore associato. Per analizzare la relazione tra X e y, è stata introdotta una funzione latente f: x → R che consente di individuare quel valore di x per cui y=1, ossia P (y∗ = 1 | x∗, X, y).
La funzione latente f, conosciuta come funzione discriminante, è pari a f* quando x=x*. Per cui:
P(y∗ =1|f∗)= 1 / (1 + exp (-f*) (1)
P(y∗ =0|f∗)= 1 – P(y∗ =1|f∗) (2)
A valori crescenti di f aumenta la probabilità che y sia pari a 1 e viceversa.
Per questo primo stadio dell’analisi, la funzione latente f è stata stimata mediante un modello di regressione logistica f(x)=w^T x che restituisce informazioni sulla relazione l’indicatore sintetico e la probabilità che le 79 figure professionali vengano associate ad un alto profilo di rischio. Tale classificazione probabilistica è stata poi utilizzata per predire i profili di rischio per l’intero pull di professioni.
Grafico 2. Valori medi dell’indicatore sintetico per tutte le figure professionali in base ai profili di rischiosità predetti
Valori più alti, e quindi riferiti a una maggiore esposizione al rischio Covid-19, sono riportati da professioni le cui mansioni vengono tendenzialmente svolte tramite interazioni con altri soggetti che richiedono una certa prossimità fisica (in primis: pazienti, clienti e colleghi). Sintetizzando queste informazioni per grandi gruppi professionali (primo digit della classificazione CP2011 dell’Istat) si evince chiaramente come esista un maggior rischio di esposizione per le professioni caratterizzate da livelli medi di istruzione superiori e maggiori valori retributivi. Nello specifico, si fa riferimento alle attività legate alla dirigenza (0,55), quelle scientifiche e tecniche (0,66), tecniche (0,46) e quelle qualificate del terziario (0,46).
Al contrario, gli artigiani e gli operai specializzati e gli agricoltori mostrano un indice di rischiosità molto basso (0,04). Anche i conduttori di impianti, gli operai di macchinari e conducenti di veicoli (0,15), così come le professioni non qualificate (0,15), offrono risultati relativamente più bassi in termini di rischiosità.
Grafico 3. Valori medi dell’indicatore sintetico per gruppi professionali
I posizionamenti di ciascun grande gruppo professionale, per quanto permettano di offrire un quadro chiaro e sintetico dei risultati del modello, soffrono di un’elevata eterogeneità nei risultati delle singole professioni al loro interno. Il secondo gruppo professionale, per esempio, è caratterizzato dalla presenza di poche professioni ad altissimo rischio (essenzialmente medici, professori e insegnanti) e molte voci professionali perfettamente integrabili con la riapertura (architetti, ingegneri, informatici, fisici, matematici, statistici, etc.). L’elevato peso esercitato dalle prime, tuttavia, finisce per alimentare il grado di rischiosità medio del gruppo professionale di riferimento, e ciò rappresenta un elemento di cui tener conto nelle valutazioni di policy. Un altro esempio interessante in tal senso è quello delle professioni dell’artigianato (sesto grande gruppo professionale), tutte caratterizzate da un rischio basso o bassissimo ad esclusione di quelle dello spettacolo e dell’intrattenimento, che registrano i valori tra i più alti dell’intero panorama occupazionale della Penisola (si veda Appendice).
Aggregando i valori di rischiosità delle professioni per settori di attività economica in cui esse operano emerge un quadro molto chiaro. I servizi primari alle persone (sanità e istruzione) associano ad un’alta strategicità anche livelli elevati di rischiosità (0,90). Non è un caso che grandi attenzioni siano poste dall’opinione pubblica in relazione alla riapertura. Altri settori caratterizzati da un valore medio elevato sono la Pubblica Amministrazione (0,61) e i servizi collettivi e personali (0,55). A un livello intermedio si colloca la filiera turistica (0,40), le attività finanziarie ed assicurative (0,37) e le altre attività dei servizi (0,31). Una minore rischiosità è infine associata all’agricoltura (0,07) e alle costruzioni (0,13), così come alle attività dell’industria in senso stretto (0,16).
Grafico 4. Valori medi dell’indicatore sintetico per settori di attività economica
Per una lettura più immediata dei risultati, i valori predetti dal modello di regressione logistica sono stati utilizzati per classificare le circa 800 professioni analizzate in tre classi di rischio: basso, medio e alto. Nello specifico, i valori predetti compresi tra 0 e 0.25 compreso sono associati a un rischio basso; valori compresi tra 0.25 e 0.75 sono associati a un rischio medio; valori maggiori o uguali di 0.75 rappresentano professioni a elevato rischio Covid-19. È agevole notare come a profili di rischiosità maggiori corrispondano valori più elevati dell’indicatore sintetico utilizzato come predittore.
Ponendo l’attenzione sul profilo di rischiosità più alto, il dato nazionale riportato in Tabella 1 indica come, considerando il totale dei settori economici, il 28,9% degli occupati risulti esposto a un alto rischio; una percentuale che, in termini assoluti, corrisponde a circa 6,6 milioni di occupati. La quota si riduce fino al 18% (pari a circa 2 milioni di lavoratori) per coloro che sono impiegati nei settori attualmente sospesi (non autorizzati all’apertura). Al contrario, la percentuale aumenta significativamente se si considerano i soli settori attualmente autorizzati, con un valore percentuale di circa il 39,3% (circa 4,6 milioni di lavoratori).
Il differenziale tra i due macro-gruppi, apparentemente controintuitivo rispetto alle tesi qui esposte, deriva dal differente criterio adottato nelle fasi iniziali della pandemia, orientato a salvaguardare le attività strategiche e necessarie, in primis quelle sanitarie, caratterizzate da un altissimo rischio contagio.
Tabella 1. Profili di rischiosità degli occupati impiegati nei settori attualmente sospesi e in quelli autorizzati
Questi valori percentuali appaiono ulteriormente informativi quando proiettati su scala provinciale (Figura 1). Data la composizione settoriale dei territori, si configura una situazione doppiamente penalizzante per le zone dell’Italia meridionale in cui il peso dei lavoratori nei settori ad alto rischio appare maggiore rispetto a quello ravvisato nelle regioni centrali e settentrionali. Ciò si osserva sia nei settori attivi, sia in quelli attualmente sospesi. Sebbene in quest’ultimo caso l’eterogeneità provinciale risulti più marcata, è indubbio che complessivamente la situazione più gravosa si prospetti per le aree meno avanzate del paese.
Figura 1. Percentuale dei lavoratori con alto profilo di rischio impiegati nei settori autorizzati e attualmente sospesi, per provincia
Tuttavia, questa evidenza potrebbe avere una spiegazione comune. Da un lato, per quanto riguarda i settori autorizzati, l’effetto composizione delle attività produttive è tale per cui numerose delle attività essenziali per le quali la chiusura è scongiurata sono concentrate nelle regioni del centro-nord, e proprio in quest’ultime convergono occupati con profili di rischio bassi e medi. Al contrario, tali percentuali sembrano ridursi nel Meridione, in cui il grado di diffusione delle attività essenziali associate a figure professionali con livelli di rischio meno allarmanti è sensibilmente inferiore. Ciò fa sì che, in termini percentuali, osservando i soli settori autorizzati, gli occupati a rischio maggiore “pesino” maggiormente nei territori in cui sono meno diffuse molte delle attività industriali che impiegano lavoratori meno esposti al rischio Covid-19.
In merito ai settori sospesi, è possibile formulare considerazioni analoghe. I territori del Mezzogiorno sono essenzialmente trainati dal settore terziario (ristorazione, turismo, servizi diretti alla persona), con un peso più ridotto per ciò che attiene alle divisioni industriali. Se si seguisse come criterio decisionale quello utilizzato per realizzare il presente modello predittivo, è verosimile che si paleserebbe una situazione di maggiore stallo nei territori in cui si concentrano le attività più esposte al virus. Questo varrebbe a dire che l’Italia ripartirebbe a più velocità, con il rischio concreto di creare ex novo ulteriori divari territoriali e inasprire quelli già presenti[3]. Le asimmetrie evidenziate in un simile scenario, tutt’altro che improbabile, richiederebbero sin da subito un intervento pubblico atto a neutralizzare gli effetti distorsivi ascrivibili a un lockdown a tempi differenziati.
Appendice: prime voci professionali* a maggior e minor rischio per grandi gruppi professionali
*al terzo digit della classificazione Istat CP-2011.
Note
[1] Barbieri T., Basso G., Scicchitano S. (2020), “Lavoratori a rischio di contagio da Covid-19 e misure di contenimento dell’epidemia”, Nota INAPP n. 16, 16 aprile; Leibovici F., Santacreu A. M., Famiglietti M. (2020), “Social Distancing and Contact-Intensive Occupations”, Federal Reserve Bank of St. Louis, 24 March.
[2] la Repubblica, 9 aprile 2020: https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/04/09/news/lavoro_lavoratori_coronavirus_rischio_contagio-253607985/
[3] SVIMEZ (2020), L’impatto economico e sociale del Covid-19 e Mezzogiorno e Centro-Nord.
* Serenella Caravella, Università degli Studi di Roma Tre
** Mirko Menghini, Unioncamere – Si.Camera
Il lavoro è stato sviluppato nell’ambito della Convenzione tra la Società SI.CAMERA–SISTEMA CAMERALE SERVIZI e il Dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre per la realizzazione di studi e ricerche sui temi dell’innovazione, sviluppo, sostenibilità e competitività del sistema imprenditoriale italiano.